Primo gennaio 1994: l’attualità della rivoluzione zapatista

1 / 1 / 2022

«Porque acaba un año y empieza otro y creen que así nomás el calendario va a cambiar las cosas, pero qué va a ser, para cambiar las cosas hay que luchar, mucho, en todas partes y en todo tiempo, que sea que no hay descanso». Subcomandante Galeano.

Un altro anno è passato, e come ogni capodanno ricordiamo l’anniversario del levantamiento zapatista, il sollevamento in armi da parte della popolazione indigena maya del Chiapas, che decise di morire per la vita, di nascondersi il viso col passamontagna per essere vista. Giusto un anno fa, il ventisettesimo anniversario veniva celebrato con la “Dichiarazione per la vita”, un comunicato congiunto fra l’organizzazione zapatista ed organizzazioni europee ad annunciare la grande impresa della Gira por la vida, la volontà di percorrere i cinque continenti per rafforzare le alleanze anticapitaliste ed incontrare “ciò che ci rende uguali”.

In questo ventottesimo anniversario il cuore e la mente sono pieni di suggestioni derivate dalla prima tappa della Gira zapatista, quella europea. Come tutte le iniziative lanciate dall’EZLN in questi tre decenni, ancora una volta veniamo travolti dalla potenza del loro messaggio, semplice e complesso allo stesso tempo ma sempre attuale, con una capacità analitica che forse ai movimenti europei manca da troppo tempo. Perché come osservato nella Otra campaña o nell’Escuelita zapatista (solo per citare due esempi fra i molti),il focus non è sulle conquiste ottenute dal movimento guerrigliero, ma su quelle che devono ancora venire.

Questo nonostante la grande attenzione che questo viaggio ha portato con sé, mettendo in fibrillazione i movimenti europei che probabilmente in prima battuta hanno pensato di poter trarre nuova linfa per le loro generazioni più giovani grazie al racconto del mito zapatista. Ma questo è stato solo un effetto secondario dei tre mesi di permanenza della delegazione zapatista in Europa: solo una piccola parte degli incontri è stata impostata sulla storia della rivoluzione zapatista, mentre la maggior parte hanno avuto come punto centrale la condivisione dell’organizzazione anticapitalista europea nei suoi svariati ambiti, da approfondire e spiegare ai compagni e alle compagne zapatiste col duplice obiettivo di conoscerci meglio ma anche di rivedere quelle stesse pratiche con occhi nuovi, di sincera curiosità e meticoloso approfondimento.

Questa modalità analitica ci ha permesso di ripercorrere le contraddizioni interne al movimento anticapitalista europeo (con tutte le migliaia di differenze che vi intercorrono) non più con sguardo di vergogna, ma cogliendone le sfide per il futuro. Sapendo che se parte di noi lavora all’interno del mercato del lavoro capitalista questo deve esserci di stimolo alla creazione di cooperative e lavoro “altro”, e che se determinati temi (come quello del cambiamento climatico) fanno confluire folle oceaniche alle manifestazioni ma poi nella costruzione di alternative giorno per giorno ci si trova in proporzioni molto inferiori, forse bisogna consolidare il sentimento di comunità nel nostro territorio. Spesso è stato sottolineato come per l’EZLN i giorni di combattimento armi in spalla siano stati dodici, ma tutte le conquiste arrivate nei ventotto anni successivi siano frutto dell’organizzazione, non delle armi. Organizzarsi quindi come parola d’ordine, non come imposizione o come lascito, ma come obiettivo comune.

Obiettivo comune ora rappresentato anche dalla Gira por la vida stessa. Arrivati a questo punto è già ora di far fruttare le nuove relazioni create in questo anno di lotta: il nemico è uno, il capitalismo neoliberale, e non c’è più tempo. L’accelerazione di avvenimenti climatici estremi degli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti, nonché come il malgoverno mondiale abbia agito in questi due anni di pandemia. La gira zapatista stessa dunque diventa carico collettivo, da sognare e immaginare insieme nella ricerca di resistenza e ribellione nei cinque continenti. Questo perché, come detto in diversi incontri, se i potenti si coalizzano globalizzando il potere, noi dobbiamo globalizzare la resistenza dal basso. E in questo le organizzazioni europee devono avere la capacità di mettere al servizio dell’obiettivo comune i propri strumenti alla luce di quanto trascorso in quest’anno: non stiamo più parlando di solidarietà col Chiapas, ma di mettere in pratica ciò che ci può portare fuori dal capitalismo, in una parola, ancora una volta l’organizzazione. 

L’augurio per questo ventottesimo anniversario è quindi anche questo: che qui in Europa, sia chi segue lo zapatismo da vent’anni come chi vi si è approcciato in quest’ultimo anno, cerchi la maniera di organizzarsi collettivamente in forme autonome a partire dai territori, perché sol* siamo nulla, e ancor più dopo questo anno dobbiamo avere la consapevolezza che sol* non siamo.