Prescrizione e autoritarismo: dal 1° gennaio 2020 il via al Processo Infinito

Le proteste dei giuristi sono rimaste inascoltate

26 / 12 / 2019

Manca sul serio poco al 1° gennaio 2020, giorno in cui entrerà in vigore la contestata riforma della prescrizione penale, fino a quella data continuerà a trovare applicazione la disciplina oggi vigente, come risultante dalla c.d. riforma Orlando, realizzata con la l. 23 giugno 2017, n. 103. Una scelta resa addirittura impellente, non avendo seguito la sospensione a marzo 2020, così come accaduto per la riforma delle intercettazioni.

A inaugurare il nuovo anno, tra lo sconforto immenso dei penalisti italiani, sarà la previsione inserita esattamente un anno fa nella legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici" (cd. legge Spazzacorrotti). La novella prevede la sospensione del corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del decreto penale.

Le astensioni delle Camere Penali sul punto sono state numerosamente accolte, da ottobre a dicembre migliaia di Avvocati italiani hanno condiviso le ragioni della protesta estendendola anche a settori della giustizia civile e amministrativa. Ciononostante il Ministro della Giustizia Alfonso Buonafede non è arretrato di un millimetro, ignorando le richieste di modifiche della legge avanzate dal mondo dei giuristi tutto, avvocati, magistrati e professori universitari di procedura penale di tutt’Italia.

La riforma sconvolgerebbe di fatto il mondo del processo penale. Ma in primis, è utile spiegare, che cos’è l’istituto della prescrizione e qual è la sua ratio nel nostro ordinamento.

Come noto, la prescrizione è legata al trascorrere del tempo, e in diritto penale determina l’estinzione del reato. Le norme del codice penale a riguardo sono inserite nel Titolo IV “Della estinzione del reato e della pena” agli artt. 157 e ss. Il fondamento razionale di tale istituto sta nel venir meno dell’interesse punitivo dello Stato: non avrebbe molto senso perseguire il reato per il quale sia scomparso ogni allarme sociale e sia trascorso un tempo tale da far venire meno ogni carattere di prevenzione speciale.

La prescrizione è interconnessa saldamente a diversi principi cardine del nostro sistema penale. In primis, il diritto di difesa dell’imputato: affinché il medesimo non sia sottoposto permanentemente a un processo infinito, oltre che, sul piano processuale, per non violare il medesimo diritto data la difficoltà precipua di reperire prove a propria discolpa, per via di un lasso temporale considerevole ormai trascorso. Il principio di non colpevolezza: la Costituzione stessa specifica all’art. 27 comma 2 che “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, considerando il processo quale unico mezzo mediante il quale alla presunzione d’innocenza si sostituisce quella di colpevolezza. Il principio di rieducazione della pena: il trascorrere del tempo potrebbe infatti compromettere la necessità di un processo di reinserimento sociale del reo. Infine il rispetto del principio della ragionevole durata del processo: positivizzato nell’art.111 della Costituzione che rimanda espressamente all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani.

È inoltre ormai consolidata la valenza “sostanziale” e non più processuale dell’istituto, facendone valere il principio ex art. 2 comma 3 c.p. sulle successioni di leggi penali nel tempo ed il correlato principio del favor rei. Nel silenzio della riforma, data l’inesistenza di un regime transitorio, si direbbe, secondo i principi espressi dalla Sentenza Taricco, che potrà essere invocata, successivamente al 1° gennaio, il principio di irretroattività del regime più sfavorevole per chi abbia commesso reati prima di tale data, ma di questa questione intertemporale sarà certamente investita la Corte Costituzionale nei prossimi mesi.

A conti e spiegazioni fatti, la prescrizione non deve essere intesa come “uno strumento difensivo per ricavare l’impunità degli imputati che delinquono”, così come inopportunamente sbandierato dal movimento politico ideatore della riforma.

Una domanda normale da porsi in questa sede è su quanto incida la prescrizione nei processi penali italiani. Secondo l’ultima rilevazione effettuata da Eurispes con la collaborazione dell’Unione delle Camere Penali e resa nota nell’ottobre 2019, la prescrizione è un motivo di estinzione del reato che incide per il 10% sui procedimenti arrivati a sentenza e rappresenta poco più del 2% del totale dei processi monitorati (quasi 14.000).

Le vere motivazioni della lunga durata dei processi in Italia hanno tutti a che fare con le disfunzioni degli Uffici di Procura o degli organi giudicanti, con la mancanza di personale addetto, con l’inesistenza di strumenti all’avanguardia e con la perenne penuria di risorse dell’apparato di Giustizia: nessuna attività difensiva contribuisce dunque al tempo della prescrizione.

Appare inoltre chiaro che la legge 3 del 2019 è assolutamente inadeguata a diminuire i tempi dei processi, come pacificamente inteso anche dalle forze di Governo che hanno stabilito ad hoc un incontro (il 7 gennaio 2020). Da come strutturata, tale riforma inciderebbe criticamente solo sulle posizioni delle persone sottoposte a processo penale, ma attenzione, non si parla solo di coloro condannati in primo grado, ma anche di quanti assolti, frustando altresì anche la domanda di giustizia proveniente dalle vittime, che la riforma vorrebbe invece soddisfare, riducendo il numero dei reati caduti in prescrizione.

La riforma, in parole povere, non è nient’altro che una “pezza” volta a coprire l’inefficienza di uno Stato che non riesce a garantire i giusti tempi per il processo, che avrebbe necessitato, unicamente e prima di ogni qualsivoglia riforma di tal stregua, di nuovi strumenti volti a snellire i tempi processuali, che ad oggi vengono rimandati al nuovo anno, nella già applicazione della nuova legge.

Non aver rimandato l’applicazione di tale riforma, rende chiaro quale sia il fine inseguito dal Ministro Buonafede e dal MoVimento 5 stelle: il consolidamento di un mantra demagogico e populista, che invoca la giustizia e la certezza della pena per chi delinque, in maniera assolutamente autoritaria, in barba ad ogni concezione del Giusto Processo.