Populismo penale e populismo politico pt. 3: un quadro comparato

Intervista a Cesare Antetomaso (Giuristi democratici)

17 / 3 / 2020

Pubblichiamo la terza e ultima parte di una lunga intervista fatta da Serena De Bettin all’avvocato Cesare Antetomaso, membro dell’esecutivo nazionale dei Giuristi Democratici (vedi la prima e la seconda parte). Dopo aver approfondito la connessione fra il populismo penale ed il populismo politico, la strumentalità del diritto amministrativo alla repressione (anche) penale e il sacrificio delle tutele costituzionali sull’altare della retorica securitaria, è necessario – a maggior ragione in una fase di “emergenza” come quella che stiamo vivendo durante la pandemia di Covid-19 - comprendere se esistano tendenze comuni a livello europeo. È inoltre necessario domandarsi quale sia il ruolo della riforma della prescrizione penale e come le novità legislative stiano trasformando l’essenza stessa del processo penale.  

Sarebbe possibile tratteggiare, alla luce delle recenti novità normative su piano internazionale, un’ipotesi di comparazione fra le diverse concezioni di ordine pubblico che caratterizzano i Paesi europei?

Le cattive prassi hanno una facilità ad estendersi maggiore di quelle buone, potremmo dire scherzando. Ma di fatto, insieme ad un determinato pensiero di tipo repressivo che si sposa molto bene con tendenze politiche populistico-sovraniste, abbiamo visto anche fuori dall’Italia esempi poco edificanti di ordinamenti che hanno cercato di trovare anch’essi delle scappatoie dalla CEDU, nel tentativo di limitare fortemente dei diritti fermamente riconosciuti. Pensiamo, ad esempio, alla legge propugnata dal Ministro dell’Interno francese che prevede i fermi di polizia prolungati, il divieto di accesso alle manifestazione e le perquisizioni all’ingresso di alcune zone dell’area metropolitana, così riprendendo alcuni spunti che erano propri del decreto Minniti. Tutto questo, come vediamo, è riuscito solo in parte ad attenuare la forza del movimento di contestazione francese, però, a lungo andare, può ovviamente influire su un allentamento, perché è chiaro che la popolazione nota che la repressione si atteggia in un certo modo ed è portata giocoforza a non essere poi così partecipe né votata al martirio rispetto ad esigere il rispetto di determinate prestazioni sociali.

È poi illuminante l’esempio della Germania: la promulgazione di norme penali ad hoc per manifestanti che venivano da ogni parte del continente in occasione del convegno del G20 di Amburgo è di una perfidia molto particolare e ha portato ad avere reati tutto sommato bagatellari puniti con pene davvero molto consistenti. Inoltre, anche come Giuristi Democratici Europei, abbiamo osservato con grandissimo sconcerto anche come il principio di tassatività della legge penale sia stato infranto in maniera così palese. Anche i colleghi ed i compagni spagnoli ci ricordano la ley Mordaza spagnola, che punisce alcune manifestazioni di dissenso politico con sanzioni amministrative ingentissime.

Il concorso di tutto questo dà il segno di una stretta all’interno di alcuni Paesi, per cui si stanno avendo notevoli problemi per far fronte a questo tipo di sanzioni, che effettivamente finiscono per incidere sull’esercizio di diritti fondamentali di qualunque democrazia. Questo è un quadro sicuramente allarmante. È ben vero che abbiamo una Corte europea che dovrebbe intervenire per tenere saldo il rispetto di determinati diritti, però sta di fatto che, nel frattempo, le norme producono effetti. Io ritengo, come anche altri, che i giudizi di costituzionalità che verranno sollevati non potranno fare altro che dichiarare, anche tornando al caso specifico del nostro Paese, l’incostituzionalità di molte previsioni introdotte sia dai decreti Minniti, sia dai decreti Salvini, che però nel frattempo producono effetti. Ci sono infatti soggetti fortemente limitati nei loro diritti, per non parlare di altro, che vedono compromessa proprio la partecipazione alla vita sociale e conoscono anche mortificazioni di tipo economico. Questo è una cosa su cui tenere alta la guardia e che ci sollecita anche una riflessione sulla debolezza della risposta politica a questo tipo legiferazione.

Non ho ovviamente la ricetta in tasca, ma da operatore del diritto orientato sicuramente posso dire che oggi tocchiamo con mano quanto il cd. pensiero debole e dunque lo smantellamento di strutture politiche organizzate abbia davvero nuociuto tantissimo alla tenuta del tessuto democratico del nostro Paese. Ci sono situazioni di movimento che fanno un lavoro lodevolissimo in molte realtà, non solo per il mutualismo, ma anche per quanto riguarda la riappropriazione dei beni pubblici alla collettività, però se tutto questo non reclama una giusta rappresentanza all’interno del panorama politico istituzionale del nostro Paese, purtroppo saremo destinati a scontrarci con delle strette populistiche e repressive sempre più costanti.

Quindi sarebbe bene che tutto quello che oggi si muove nella società, penso ad esempio al sindacalismo e soprattutto a quello conflittuale (pensiamo a quanto accaduto a Prato, alle misure irrogate ai lavoratori che avevano la sola colpa di effettuare la tipica lotta sindacale), tutti i settori che si occupano del lavoro e dei bisogni primari si riconnettessero, per ricreare un tessuto partecipativo che possa avere uno sbocco anche in senso politico-istituzionale. Mi rendo conto che sia un discorso alieno o comunque un po’ estraneo al dato tecnico, ma non riesco a vedere il dato tecnico staccato dal dato di partecipazione politica, perché alla fine noi tutto questo po’ po’ ce lo ritroviamo perché, come dire, qualcuno ha costruito nell’immaginario collettivo timori e preoccupazioni di un certo tipo, ha cambiato significato ad alcuni termini (come ci siamo detti in precedenza “sicurezza”, ad esempio) e ha fatto perdere di importanza il quadro generale a gran parte della popolazione. Nel momento in cui si ritornerà ad avere chiaro questo fatto da parte di tutti (operatori giuridici e soggetti politici che agiscono sul territorio) e quindi si uscirà anche dalla propria battaglia, seppur sempre significativa, e si rivedrà un orizzonte comune, si comincerà ad invertire la rotta.

Che ruolo gioca, alla luce di quanto detto sino ad ora in merito alla correlazione fra populismo penale e populismo politico, la nuova riforma della prescrizione penale?

È un tassello importante, perché dà in pasto all’opinione pubblica il “fine processo mai” come la soluzione ai problemi della giustizia penale, che noi sappiamo essere tutt’altri. Innanzitutto tende a far dimenticare che c’è già stata una legge, ovverosia la n. 103/2017 (legge Orlando), che aveva già cambiato radicalmente questo istituto. Basti dire, giusto per fare qualche esempio, che i tempi per la prescrizione del reato di rapina aggravata oggi sono pari a ventotto anni. Insomma, un tempo più che congruo per poter svolgere un giudizio. Dieci anni e mezzo, poi, per una resistenza a pubblico ufficiale; diciotto per una corruzione.

Questo per dire quanto da un lato sia una norma manifesto, ma dall’altro in realtà frustri anche le aspettative delle persone offese dal reato, che non vedranno mai la fine del processo né la soddisfazione della pretesa civile avanzata in sede di giudizio penale con la costituzione di parte civile. La frustrazione sarà quindi più o meno generale, si arriverà a punire persone che ormai, a distanza di decenni o anche solo un decennio dai fatti, sono persone che hanno completamente cambiato stile di vita, si sono (magari anche in virtù di un recupero attuato in modo positivo) inseriti nella società ed hanno abbandonato strade che erano al di fuori del corretto vivere sociale.

Si arriverà dunque alla summa iniuria, come avrebbero detto i latini, però è chiaro che comunque si giungerà effettivamente ad una punizione, ed è anche chiaro, tra l’altro, che con tutta una serie di fattispecie che negli anni hanno visto crescere le pene edittali, si arriverà non poter garantire la fruizione di pene alternative, perché saranno pene talmente elevate, da non consentire, almeno in prima battuta, di poter accedere a misure alternative. dal punto di vista del danno che farà a livello sociale, è un’autentica bomba ad orologeria. Leggendo le esternazioni soprattutto del dott. Davigo che non hanno più fine e non si pongono più alcuna remora di nessun tipo, tendo a credervi quando ha detto che questo è solo il primo passo per poter eliminare il giudizio di appello, per poter anche inserire la reformatio in pejus, che è quello che il mio professore Franco Cordero definiva “la richiesta tipica di chi si approccia al diritto con un potere reazionario di primo livello”.

Ma una delle più colossali sciocchezze che si sentono dire riguardo la riforma della prescrizione è che si ridurranno comunque le impugnazioni e questo non corrisponde al vero: lo può dire solo chi è digiuno completamente di esperienza processuale penale oppure è in mala fede. Le impugnazioni rimarranno esattamente le stesse e per gli stessi motivi per cui vengono proposte oggi: per ottenere l’assoluzione, il riconoscimento di un’attenuante, riduzione della pena, concessione di misura alternativa o anche solo per rinviare l’evento nefasto. È dunque anche questa una argomentazione assolutamente spuntata e buona da dare in pasto solo a chi analizza le cose superficialmente. Insomma, una serie di strumenti che fa orrore, soprattutto a chi ha in mente i capisaldi della Costituzione repubblicana e della CEDU.

Sinceramente, è un momento molto particolare questo, anche perché (e faccio un parallelo forse ardito) gli stessi cantori della bontà di questa riforma dicono “è vero, non è questo il modo con cui si velocizza il processo, ma adesso noi faremo le leggi per velocizzare il processo”. Ma noi sappiamo cosa vuol dire nella politica italiana (e ahimè, romana) dire “adesso”, quando i governi sono soggetti ad una durata, pur in presenza di una legge elettorale diversa rispetto alle precedenti e che forse negli ultimi anni ha assicurato un po’ di continuità (ad ognuno il giudizio se questa stabilità sia o meno positiva) come quelle che abbiamo recentemente conosciuto. È lo stesso tipo di ragionamento che facevano i propugnatori della riforma costituzionale di qualche anno fa, volendo costruire un edificio partendo dal tetto. Anzi, ci hanno lasciato una legge elettorale che in un delirio di onnipotenza presupponeva l’entrata in vigore di una riforma costituzionale sonoramente (viva dio!) bocciata dalla nostra popolazione. Quindi costruire oggi un fine processo mai in assenza di tempi certi sul processo, ha come effetti quelli che già oggi vediamo sull’omicidio stradale, per cui la Corte d’Appello, sapendo che i tempi di prescrizione sono lunghi, semplicemente rinvia di volta in volta la discussione (questo è un esempio personale).

Quindi questo è il quadro: il quadro di una norma assolutamente propagandistica che però, purtroppo, avrà degli effetti assolutamente deleteri e che davvero sembra essere pensata per chi ha in testa il carcere non più come extrema ratio ma come unica ratio. Tra l’altro, ci sarebbero degli strumenti attraverso i quali poter perseguire comunque il raggiungimento di un minore “rischio” da questo punto di vista. Al di là degli strumenti massicci per i quali si può dire “non ci sono le risorse”, che è un discorso falso ma che viene comunemente portato avanti, si consideri l’idea di almeno raddoppiare l’organico dei magistrati, perché è evidente che il sistema non tiene; magari rivedere anche, senza toccare i diritti acquisiti che per me sono sacri, il loro trattamento economico, perché, prevedendo una professione di carriera sostanzialmente indipendente dal suo rendimento, ha un importo sinceramente fuori da ogni concezione logica.

Da questo punto di vista ci sono, secondo me, dei veri e propri privilegi (e questo lo riconoscono anche taluni magistrati, per fortuna). Si dovrebbe fare quel tipo di manovra. Ma dicevo, fuoriuscendo da questo: ci sono una serie di norme che sono state sollevate dalle varie commissioni che si sono svolte. Abbiamo avuto in questo Paese diversi tavoli, tra cui quello riguardante la riforma dell’ordinamento penitenziario che è rimasto lettera morta, come anche quelli sulla giustizia penale. Sforzi di vari soggetti e operatori del diritto sono rimasti carta straccia, mentre in realtà sono consigli che, laddove vi fosse la volontà seria politica di porre rimedio a questi problemi, costituirebbero materiale assolutamente utilizzabile.

Per esempio, una cosa che sostengo da tempo (e che è forse l’unica cosa positiva della riforma Orlando) è la previsione per cui diverrebbe atto interruttivo della prescrizione (e sappiamo che tre processi su 4 si prescrivono in fase di indagini preliminari - quindi quando viene detto che ci sono gli stratagemmi e gli artifici degli avvocati per allungare i tempi di prescrizione in realtà si dice una cosa falsa sapendo di mentire, perché appunto i ¾ dei processi si prescrivono prima di arrivare a dibattimento-) anche l’interrogatorio davanti alla PG e non solo quella davanti al PM.

Pensiamo anche all’introduzione, giustissima, dell’art. 415-bis del codice di rito, ovverosia l’avviso della conclusione delle indagini preliminari: il fatto che sia –bis ci fa capire che è stato inserito in un corpo normativo precedentemente formato e quindi, benché non gli manchi nulla per essere considerato atto interruttivo della prescrizione, appunto, poiché la norma che elenca gli atti interruttivi della prescrizione non lo contiene (essendo entrata in vigore prima dell’introduzione dell’art. 415-bis c.p.p.), esso arriva tante volte a giochi fatti o a pochissimo tempo prima del decorso della prescrizione. Inserirlo fra gli atti interruttivi interromperebbe utilmente la prescrizione in molti procedimenti.

Ovviamente la strada maestra è quella della depenalizzazione di tutti quei reati che intasano le aule dei tribunali senza alcuna ricaduta positiva sui drammi che vorrebbero contrastare. Su tutti, la cd. legge stupefacenti e i reati legati all’immigrazione. Ma vogliamo parlare anche di quanto oggi, con gli ultimi purtroppo tragici eventi di cronaca, si evidenzi la stupidità (perché ci vogliono dei termini forti per far capire quanto siano scellerate certe scelte normative) dell’inserimento del reato di omicidio stradale? Non è sanzionando, ma prevenendo la stigmatizzazione dei comportamenti sociali. Una volta, questa è una cosa che uso dire spesso, nella mia generazione era visto malissimo accostarsi all’alcol in epoca adolescenziale. Oggi questa cosa è tollerata: è tollerata la sbronza a tutti i livelli sociali e invece questa cosa va assolutamente rivista. Una cultura della prevenzione dal punto di vista dell’alcol e dello stupefacente porta poi alla dissuasione.

Pensare che il trattamento sanzionatorio sia dissuasivo rispetto a determinati comportamenti antisociali, ce lo dimostrano gli USA, è assolutamente pletorico. Peraltro, tutti i reati legati all’immigrazione e tutta una buona serie di reati che oggi intasano i ruoli della giustizia potrebbero e dovrebbero essere prescritti. Ci sono già vari tavoli, nonché le commissioni ministeriali e hanno già individuato una serie di interventi che, se fatti oggi, deflazionerebbero (e di molto) l’attività processuale. Ancora, per esempio l’abolizione dell’appello per motivi di merito in caso di assoluzione in prima istanza. Tutto sommato potremmo accettare, anche se non tutti i colleghi avvocati sono d’accordo, la semplificazione delle motivazioni per quanto concerne alcuni reati, ad esempio quelli di competenza del giudice monocratico, che come sappiamo sono quelli in maggior numero insieme a quelli del giudice di pace, perché in questo paese (viva dio) la grande criminalità fa ancora notizia perché, per l’appunto, di grandi crimini non se ne commettono tantissimi. La gran parte del carico penale in questo modo potrebbe essere deflazionata, ma questo non porta consensi elettorali e non viene sostenuto. Io penso che se solo un politico guardasse ad un orizzonte neanche di lungo, ma di medio termine, alla fin fine avrebbe anche un ritorno politico, ma purtroppo oggi si guarda nemmeno all’indomani, ma si guarda all’ora. Anche i social media ci hanno portato a questa situazione, per cui  guarda alla reazione ad horas del pubblico, a partire dai sondaggi, ma se si continua a ragionare in questo modo non se ne esce.

Sarebbe corretto ritenere che il processo penale stia perdendo la sua natura di “luogo delle garanzie” per assumere le vesti di strumento di “salvaguardia sociale”, sempre in ottica populista?

In realtà quello di cui stiamo parlando è dovuto al fatto, lo accennavamo in precedenza, di un paradigma culturale che è cambiato. Oltre che un cambio è un ritorno al passato, assolutamente da scongiurare, per cui il giudice deve diventare la bocca della legge, con tentazioni di ancien regime che vanno denunciate con forza, perché il vero nemico del diritto e della legalità repubblicana è proprio chi propugna il processo infinito, perché ci esprime il suo disprezzo per il valore stesso del processo. Giustamente la domanda diceva il processo oggi: proprio la matrice accusatoria, quindi  gli apporti di sapere delle parti oggi sono assolutamente ritenuti superflui.

C’è chi pensa che tutto sommato colui nei cui confronti si esprime un’ipotesi di condanna sia di fatto un fortunato, colui che è uscito dal processo in base a chissà quale brillante escamotage ad uscirne assolto, quando in realtà l’ipotesi punitiva c’era e avrebbe eventualmente dovuto trovare riscontro, eventualmente modulando l’entità della pena, ma trovando riconoscimento in una condanna. Questa è effettivamente una tendenza presente ed è ben triste perché tutto sommato pareva, oserei dire pare, scongiurata proprio dall’intervento e dall’essere la nostra giurisdizione aperta agli apporti della Corte EDU, che tutto sommato aveva svolto un ruolo benefico, però vediamo oggi anche quante resistenze ci sono alla pubblicazione ad esempio proprio sulle misure di prevenzione sulla famosa sentenza de Tommaso.

Questo è indice del fatto che qualcuno magari non si ritiene sovranista di nome, ma di fatto lo è, vuole riportarci indietro a qualcosa che secondo me non era conosciuto nemmeno con il precedente codice di rito, quindi davvero ad una situazione di tipo autoritario, non facendo così i conti con il fatto che soprattutto coloro che propugnano questo tipo di impostazione non si rendono conto di quanto questa impostazione non si confaccia assolutamente ad uno stato democratico, ma è tipico di quelle che chiamavano “democrature”, che noi avversiamo.

Ad esempio si svolge il Congresso di ricostituzione di un’associazione di avvocati progressisti turchi che era stata sciolta e noi come Giuristi Democratici siamo stati e saremo più volte nei processi nei quali sono imputati nostri colleghi di questi Stati “sfortunati”, che in realtà non sono stati sfortunati, ma hanno governi scellerati che perseguono politiche di contrazione. La contrazione del diritto finisce per colpire tutti: se non si inquadra questo, se non c’è un nuovo cambiamento di paradigma culturale da questo punto di vista costituzionalmente e convenzionalmente orientato, per usare una formula che talvolta si tende a credere che sia priva di senso ma in realtà è di senso profondissimo, è difficile capire che tutto ciò che viene propugnato oggi è un’involuzione e va in parallelo soltanto con visioni politiche, sciali e culturale reazionarie: non si potrà mai accompagnare ad una visione anche solo minimamente progressista. Anche perché spallata dopo spallata allo stato di diritto si avrà un bel dire ed un bel fare da parte di noi giuristi, operatori del diritto e pratici, ma di fatto ci sono già alcuni casi: il caso Riace e il caso ONG ci dimostrano che il giudice può finire vittima dello spirito dei tempi sempre più spesso, perché come ogni essere umano può non avere la vocazione al martirio.

Quindi ci si adagia alla fine e si comincia a pensare che tutto sommato possano stare in questo quadro e invece no: questo tipo di politiche è alieno allo stato di diritto. Viva dio la Cassazione ce l’ha ricordato pochi giorni fa. Però ripeto: sono norme che per un bel po’ di tempo hanno consentito che determinate pronunce potessero avere diritto di cittadinanza nel nostro processo e diritto sostanziale penale. Dobbiamo assolutamente continuare a tenere alta la guardia e trovare quanti più interlocutori possibile a livello politico-istituzionale che non facciano più i conti con l’interesse immediato ma abbiano veramente a cuore quelli che sono i diritti fondamentali costituzionali.