Cronaca dell'ennesima rivolta al Cie di Ponte Galeria. Quella di questa notte è stata la terza protesta in poco più di due settimane
Questa mattina verso le dieci sono andata al Cie di Ponte Galeria
ben consapevole che non mi avrebbero lasciata entrare. Così è stato
dopo che nel Centro di identificazione ed espulsione si era verificata
una protesta dei reclusi nel reparto maschile.
Ho chiesto chiesto al direttore del Cie, da circa un mese gestito dalla
società Auxilium [La Cascina] di poter conoscere la sua versione e il
direttore è uscito per non più di cinque minuti e mi ha raccontato che
il Cie è senza luce e senza acqua dal momento che nel corso della
rivolta sono stati strappati dal muro i fili elettrici e spaccati i tubi
dell’acqua. Ha aggiunto che l’ultima volta era successo alla fine della
scorsa settimana quando una analoga, seppure di più modeste
proporzioni, rivolta, si era verificata.
Ricordo che una prima e consistente rivolta era avvenuta lo scorso 13
marzo, in concomitanza con la protesta davanti al Centro di alcune
associazioni che si battono contro i Cie. Tre proteste in poco più di
due settimane è un record perfino per un luogo dove i diritti e le
libertà sono cancellati e dove le forme del vivere sono ridotte alla
pura sopravvivenza. Lo stesso direttore, Sangiuliano, ha confermato che
luoghi come quello non sono facilmente gestibili dal momento che lì non
vigono le regole carcerarie né quelle dell’accoglienza.
E’ un ircocervo, aggiungo io, un po’ mostruoso che non dovrebbe poter
esistere. Invece esiste e produce i risultati che sono sotto gli occhi
di tutti. Li confermo, a otto giorni dalla mia ultima visita, che sono
riuscita a “strappare” dopo lunghe e perseveranti pressioni presso la
prefettura.
Come potete leggere sul sito di Carta, quando sono andata ho trovato
il solito pienone, anche se il cambio di gestione, dalla Croce Rossa
all’Auxilium, aveva prodotto una temporanea riqualificazione
strutturale: in pratica, una imbiancata alle pareti, la riapertura di
una mensa più o meno degna di questo nome e uno spaccio al quale possono
accedere i reclusi che ricevono dall’amministrazione pubblica sette
euro ogni due giorni per comperare le cose di cui hanno bisogno.
Oggi quella mensa, dicono dai comitati che si battono contro i Cie, è
stata utilizzata per concentrare tutti i detenuti in attesa di dividere
quelli considerati «buoni» dai «cattivi» che hanno preso parte alla
rivolta.
Questa mattina alle dieci le forse di polizia presenti ammontavano a non
più di una decina di macchine mentre il direttore ha sottolineato che
nel corso della rivolta, nonostante la sua sollecitazione a intervenire,
le forze dell’ordine hanno preferito non esporsi anche per non far
esasperare la situazione. Ho chiesto se fosse vero che erano stati
sparati colpi di arma da fuoco in aria. Ha negato ribadendo che la
polizia ha preferito attendere che gli animi si raffreddassero. Poi, ha
aggiunto, verso le quattro, la situazione si è normalizzata. Peccato che
il direttore non abbia le registrazioni delle chiamate arrivate a radio ondarossa in diretta
dalle quali si sentono distintamente colpi di arma da fuoco.
E’ questa la cronaca dell’ennesima rivolta in un luogo di certo non
migliore forse un po’ peggiore di altri analoghi.
Quel che resta, al termine di questa nottata, è un desolante senso di
impotenza e la consapevolezza che situazioni come queste sono destinare a
ripetersi. Ce ne sono tutti gli elementi: i prolungamenti della
detenzione fino a sei mesi, la deportazione di molti ex detenuti
stranieri direttamente dalle carceri al Cie di Ponte Galeria, come
prolungamento indebito di una pena già scontata.
E un senso di sospensione del diritto e dei più basilari principi di
umanità che diventa tangibile, ogni giorno di più.
L’ultima volta che sono entrata c’era un giovane che da cinque
giorni, ogni mattina, si presentava all’ambulatorio medico [il solo
luogo di interlocuzione, per loro] e chiedeva semplicemente di potersi
tagliare le unghie delle mani e dei piedi.
Da cinque giorni riceveva la medesima risposta: non siamo attrezzati a
farlo e, del resto, non ti possiamo dare una forbice. Il nuovo
direttore, un po’ stupito aveva così commentato: abbiamo pensato a molte
cose, ma alle unghie non ci abbiamo proprio pensato. Ho idea che quelle
unghie strideranno a lungo sul vetro dell’indifferenza.
da CARTA