Il risultato del referendum a Pomigliano

Pomiglia…No !

di Antonio Musella

23 / 6 / 2010

Bisognerebbe riuscire a tradurre in linguaggio comprensibile una immagine figurativa molto forte utilizzata durante il presidio ai cancelli della Fiat, nel giorno del referendum, da un esperto sindacalista. Si potrebbe tradurre con : “Prostrando il fondo schiena ad angolazione retta….si venne mangiati dai lupi !”.
In parte questo messaggio sembra essere passato nella giornata di ieri tra gli operai che hanno votato il referendum sull’accordo Marchionne, che ha visto la più alta partecipazione nelle consultazioni sindacali, il 95% dei votanti.
La posta in gioco, come già più volte sottolineato, non era e non è il futuro dello stabilimento di Pomigliano d’Arco. O meglio non è solo questo. In ballo c’e’ l’intero portato delle relazioni sindacali nel nostro paese, un modello di hard governance da sperimentare, una omogeneizzazione con le condizioni di lavoro e le condizioni di libertà dei lavoratori che si avvicina sempre più al modello cinese. L’affermazione di un modello in cui i termini di paragone usati nello specifico sono la Polonia ed il Mezzogiorno, l’assimilazione delle condizioni di lavoro in uno dei paesi dell’est maggiormente aggredito dal capitalismo selvaggio in questi anni e la condizione, intesa come strutturale, di subalternità del Sud rispetto al Nord.
Questo è il piano della partita che Marchionne ha voluto giocare.
Con tutto il carico di pretese che lo ha accompagnato.
“I Si dovranno essere l’80%”, questa la sentenza del a.d. Fiat.
Ma in azienda se la devono essere vista brutta dopo le parole del capo.
Addetti della Fiat hanno svolto nella giornata di lunedi’ 21 giugno un vero e proprio “porta a porta” andando nelle case di ogni singolo operaio, consegnando una lettera ed un dvd con un videomessaggio del direttore dello stabilimento Giovan Battista Vico in cui si invitavano gli operai a votare Si al referendum spiegandogli con nulla sarebbe cambiato. Infatti l’accordo prevede “solo” : la perdita delle malattie pagate, il divieto di sciopero, l’istituzione di reparti confino sul modello di quello di Nola, l’imposizione di corsi di formazione periodici a spese degli operai, la cancellazione della mensa, la diminuzione della pausa a 30 minuti, l’aumento indiscriminato dello straordinario obbligatorio ecc. ecc. La necessità di una operazione “porta a porta” ci faceva comprendere come quel 80% sentenziato da Marchionne probabilmente non era un risultato alla portata di Fim, Uilm, Fismic e Ugl che avevano già firmato l’accordo.
Una campagna di pressione per il Si davvero penosa, in cui i tratti di aggressività dell’azienda sono stati resi nei termini di una intimidazione mafiosa verso gli operai.
I si a Pomigliano hanno vinto con il 63 % ed il 37% degli operai ha detto no all’accordo.
Marchionne non ha avuto il suo 80%. Così come, nonostante le montature medianiche, sabato 19 giugno non ha avuto la sua marcia dei “40mila a Pomigliano”, con appena qualche centinaio di persone alla manifestazione dei colletti bianchi per il si all’accordo.
Sacconi si dice certo che la Fiat rispetterà gli impegni annunciati. Dalla Fiat fanno sapere che stanno pensando di bloccare il trasferimento della panda. Ancora una volta si guarda non alla complessità ed all’ampiezza della sfida lanciata da Fiat al mondo del lavoro, ma solo alla vertenza Pomigliano.
La fabbrica polacca dove si produce la Panda è lo stabilimento più produttivo del gruppo Fiat, perché mai Marchionne dovrebbe chiudere in Polonia ? E soprattutto dopo aver preso una montagna impressionante di euro con gli incentivi e gli eco-incentivi statali sulle auto, ed aver avuto garantito il monopolio della produzione dell’auto in Italia per un secolo come può andare via dall’Italia ?
Marchionne punta ad avere ancora una volta soldi dallo stato ma al tempo stesso punta alla “rivoluzione culturale” delle relazioni sindacali.

Fin qui i termini della vertenza generale e particolare ed il posizionamento dell’azienda all’interno della dinamica di scontro.
Ed i sindacati ?
I sindacati forse oggi sono tra gli strumenti più obsoleti che abbiamo tra le mani per agire il conflitto tra capitale e lavoro.
Proprio Giulio Tremonti pochi giorni fa lanciava sui media un messaggio chiaro “è finita l’era del conflitto capitale – lavoro”…peccato che fino a che esisterà il capitalismo esisterà il conflitto capitale – lavoro…ed oggi ancor più il conflitto capitale – lavoro – non lavoro.
Ma ciò che cambia profondamente in questa fase così importante che stiamo vivendo nel pieno della crisi globale, è la composizione politica della moltitudine e di conseguenza la necessità di ripensare gli strumenti stessi con cui agire lo scontro sociale.
La proposta Marchionne li poneva davanti, come già detto, allo scioglimento della loro ragione sociale, e li porta a fare i conti con la loro incapacità strutturale di produrre un fare società alternativo. Cisl e Uil hanno scelto da tempo la trasformazione della loro ragione sociale, e riscoprendo un rapporto consociativistico con la maggioranza di centro destra, hanno scelto la definitiva trasformazione in lobby del mondo del lavoro. Cisl e Uil stanno ufficialmente con il padrone !
La Cgil chiusa nel dramma della sua crisi profondissima non riesce a fare i conti con la realtà. Non riesco a leggere bene se in realtà esista davvero un confronto critico nel sindacato di Epifani sul ruolo politico e sociale del loro sindacato oggi. Già perché lo scontro violento con la Fiom maturato in queste settimane mi pare davvero uno scontro che va ben oltre la vertenza Fiat. Eppure dalla parte della Cgil non sono arrivate sponde alla Fiom.
Una Fiom che ha scelto la strada del doppiogiochismo, la strada dello stare con un piede in due scarpe. Non firmo l’accordo, invito a votare ma non do indicazione di voto, insomma in qualsiasi modo sarebbe andata la Fiom avrebbe avuto modo di trovare un posizionamento comodo. Tattica…nulla più….sostanza ce né poca da tutte le parti.
È proprio la necessità di indagare la composizione politica della moltitudine, la necessità di ricerca sul terreno dell’etica politica e sociale, che impongono a tutti il ripensamento complessivo dello strumento sindacato. Sia nella sua funzione di mutua assistenza, sia nella sua funzione sociale e politica.
Questa necessità di ripensamento dello strumento sindacale ci viene sollecitata da un settore in ogni caso residuale del mondo del lavoro, quello operaio. Ma infondo anche su quello tendenzialmente più avanzato, il lavoro cognitivo, abbiamo agito in questi anni una profonda riflessione sullo strumento sindacale.
I sindacati di base, dalla loro, incassano sostanzialmente da questa vicenda un buon risultato. Sono stati gli unici a dire sin dal primo momento che bisognava votare il referendum e votare no. Sono stati gli unici (lo Slai Cobas) che hanno deciso di stare dentro la commissione elettorale. Alla fine quel 37 % di no esiste anche per la caparbietà di aver portato una battaglia fino in fondo da parte dei sindacati di base. Ciò non toglie che vi sia in molti di questi soggetti una visione romantica della vicenda Pomigliano, e non tutti riescono a comprendere come la portata dello scontro sia più ampia. Alcuni, chi più esperto in fabbrica chi invece più strutturato politicamente, assumono la battaglia di Pomigliano come un paradigma intorno a cui ripensare il loro ruolo.
Sta di fatto che se Marchionne non ha avuto il suo plebiscito, nemmeno i sindacati ne escono bene da questa vicenda, nemmeno la Fiom ed una posizione che a differenza di ciò che si pensa o si racconta è stata molto più tentennante di ciò che sembra. Forse coscienti di essere stati complici della Fiat per troppi anni nel peggioramento della qualità del lavoro e delle libertà sindacali in fabbrica. È proprio la Fiom a dire subito dopo i risultati “riapriamo la trattativa”.

Ma alla fine hanno vinto i Si….ed il tono di questa analisi sembra quasi giudicare con tono positivo il risultato del referendum !
È esattamente così.
L’età media degli operai dello stabilimento di Pomigliano d’Arco è di 35 anni.
Ed è su questa spaccato che dobbiamo provare a misurarci con i limiti di lettura della composizione politica della moltitudine. L’aspirazione della stragrande maggioranza di questi operai è quella di essere altrove quando tra un anno e mezzo circa entreranno in vigore i termini dell’accordo (ammesso che esso passi anche dopo questo tipo di risultato referendario). Il ragionamento dei più fuori a cancelli di Pomigliano è quello di garantirsi un reddito – visto che comunque si lavora per una -due settimane al mese ed il resto è cassa integrazione – e poi tra un anno e mezzo si vedrà. Magari faranno un altro lavoro.
Da un lato si registra l’assenza di una commisurazione del se all’interno di un processo di costruzione del comune. Dall’altro una dimensione dell’interesse particolare, di conseguenza, che risulta più importante di tutto il resto.
Ed è in questo contesto, su questa composizione che si è agita la campagna di pressione senza precedenti per il nostro paese fatta dalla Fiat.
Gli operai di Pomigliano appena 10 mesi fa si scontravano con la polizia mentre bloccavano l’autostrada A1, bloccavano la circolazione, contestavano Berlusconi in visita a Napoli. Insomma tutt’altro che un corpo sociale dormiente e assoggettato.
Ma in ogni caso la fragilità della dimensione del comune in quello spaccato non poteva reggere all’aggressione padronale. Per questo prima ancora che il referendum si tenesse tanti osservatori davano per scontata la vittoria del Si e non certo per il fatto che alcuni sindacati avevano già firmato.
Ma nonostante tutto quello che è avvenuto in queste settimane non c’e’ stato il plebiscito. Non c’e’ stata la resa incondizionata al padrone. Non c’e’ stato in maniera assoluta uno schiacciamento verso quel richiamo “alla responsabilità”, che altro non è che la cessione dell’interesse di parte per l’agevolazione dell’interesse della controparte, invocata dal Pdl, dal Pd, e da Cgil,Cisl e Uil.
La solidarietà registrata in questi giorni è stata senza dubbio un elemento di coesione per la difesa, seppur al 37%, di quelli che avremmo definito interessi di classe. Lo sciopero a Mirafiori spontaneo, lo sciopero ed il blocco della portineria ad Arese effettuato ieri, le pressioni sulla Fiat agite dal basso sono state un elemento importante per non finire schiacciati definitivamente da Marchionne, Tremonti, Bersani e Marcegaglia.
Forse proprio su questa vicenda di Pomigliano è stato registrato un piccolo passo avanti sul terreno della costruzione di una nuova etica di parte. L’indisponibilità alla resa ci dice che Tremonti si illude, e ci dice anche che c’è tanta strada da fare ancora per la ripresa delle pratiche di conflitto sociale nel paese, ma senza dubbio ci indica la presenza di una resistenza indispensabile che ambisce ad essere un argine sociale.

In ultimo c’è senza dubbio l’assenza di una dimensione di ragionamento complessivo sul mondo del lavoro, sull’idea di sviluppo e sul modello di produzione.
Lo stabilimento di Pomigliano è uno dei più vecchi (la gloriosa Alfa Sud), i macchinari non si aggiornano da circa 30 anni. La produzione stessa , la famigerata Panda, è un prodotto che in termini complessivi non ha nessun mercato.
Nonostante la drammaticità della vicenda di Pomigliano non si è ancora affermata una riflessione sul modello di produzione nel nostro paese, sull’attenzione verso l’hi tech, verso le nuove energie sostenibili, verso uno sviluppo del paese che possa mettere a valore il potenziale cognitivo. Siamo nel paese dove sviluppo significa grandi opere, che a loro volta significano soldi pubblici per amici dei politici sullo stile di Diego Anemone. Un paese in cui la conservazione delle economie di rendita degli attori principali del capitalismo nostrano vince ancora su qualsiasi idea di trasformazione delle attività produttive. Un paese in cui nello stesso spirito di conservazione gli strumenti di piano economico partono da un’accelerazione della rottura Nord/Sud non solo nel lavoro, ma anche nel welfare, nella bilancia dei pagamenti, nell’inflazione stessa.
L’incapacità dei sindacati attuali di produrre un fare società diverso dipende anche dalle incapacità di lettura di questa dimensione e dalla forza di mettersi in discussione verso un ruolo sociale e politico diverso.

Mara Malavenda Slai Cobas

Mara Malavenda seconda parte

Vittorio Madonna Fiom Cgil

Madonna Fiom Cgil seconda parte