«Poletti, non doneremo le nostre competenze in ginocchio!»

Intervista a Giulia Pavan, ricercatrice alla Toulouse School of Economics, portavoce della protesta dei ricercatori sotto al Ministero del Lavoro

22 / 12 / 2016

«Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Queste le parole che il ministro del lavoro Poletti ha pronunciato nella settimana in cui molti dei nostri “cervelli in fuga” si rimettono in viaggio per ricongiungersi ai propri cari e per le feste natalizie. Non è la prima volta che Poletti si fa notare per queste boutade, vero e proprio sintomo di una classe dirigente che pratica sempre di più una sorta di odio di classe dall’alto. Abbiamo intervistato Giulia Pavan, ricercatrice alla Toulouse School of Economics, che ieri è stata una delle voci della protesta dei ricercatori  organizzata mercoledì 21 dicembre sotto la sede del Ministero del Lavoro.

«Non è una bella accoglienza» ci dice Giulia Pavan, che ha dovuto abbandonare il su Paese d'origine dopo il dottorato perché per lei non c'era posto in Italia nel mondo della ricerca. «In realtà dà ancora più fastidio il comunicato che il ministro ha rilasciato all'ANSA a seguito delle contestazioni seguite alle sue prime dichiarazioni» continua Giulia «è ipocrita, beffardo. Quando il Ministro tramite un comunicato (peraltro scritto in un Italiano discutibile) scrive “Ritengo che è utile che i nostri giovani possano fare esperienze all'estero, ma che dobbiamo dare loro l'opportunità di tornare nel nostro paese e di poter esprimere qui le loro capacità e le loro energie”, ma non spiega come questo si possa conciliare con le politiche che il governo, di cui lui è membro, mette in atto, dimostra solo ipocrisia, o peggio dimostra di non sapere di non avere idea della condizione di molti giovani».

In che senso? «Il Governo continua a negare la dignità di lavoratori a migliaia di ricercatori e ricercatrici precarie; in Francia sono inquadrata con un contratto di lavoratrice subordinata, qui sarebbe un sogno. Essere un lavoratore della conoscenza in Italia significa essere in balia di contratti precari e senza alcuna sicurezza di un rinnovo o di una continuità nel lavoro; essere arbitrariamente esclusi da misure volte a garantire un tenore di vita dignitoso nei mesi di disoccupazione tra un contratto e il successivo, con la continua delegittimazione della funzione sociale della ricerca e dell’università. Al momento sono felice di essere in un nuovo ambiente e conoscere una nuova realtà, quello che mi dispiace è non avere prospettive di tornare».

Ieri sei stata portavoce delle contestazioni al ministro a Roma. «Non voglio essere definita la portavoce; ho partecipato al sit-in organizzato anche dall'ADI, di cui durante il dottorato sono stata coordinatrice per la sede di Roma e ho fatto quello che sentivo fosse giusto fare: ho preso il megafono e ho detto al ministro quello che penso e che, credo, molti di quelli che sono nella mia situazione condividono. Se appena metti piede in Italia, peraltro per lavorare con i tuoi coautori che cercano ancora di fare ricerca di eccellenza, scopri che il ministro ti dice che non ti vuole, che è felice se stai fuori, beh diciamo che non ti senti ben accoltoa; se a questo aggiungi che il ministro è lo stesso primo firmatario del Jobs Act, la legge che ha umiliato la mia generazione, provocando un aumento del 31% in due anni dei licenziamenti per giusta causa e che ha contribuito ad aumentare il grado di precarietà dei giovani lavoratori con l'estensione dei voucher, diciamo che augurargli di andare lui a quel paese è il minimo che si possa fare».

Tornerai? «In Francia ho un buon contratto e mi trovo bene. Ovviamente qui ci sono i miei amici, la mia famiglia, la mia comunità. Ma finché l'Italia non decide di investire nella ricerca, non c'è posto per me qui. Il governo sostiene di voler far tornare i "cervelli in fuga", poi non garantisce ai ricercatori condizioni giuste e attrattive in termini di finanziamenti e/o salario, comprese misure di previdenza sociale adeguate e giuste».

Una politica schizofrenica che da un lato vuole “dare opportunità” ai giovani, e dall’altro ne precarizza la vite e ne taglia i diritti? «No. Sono dichiarazioni di facciata che coprono politiche di abbassamento del costo del lavoro specializzato (come testimonia anche una recente campagna del MISE). Vogliono che doniamo le nostre competenze in ginocchio! Noi non lo faremo»