Poche liberalizzazioni, tanta ideologia

24 / 1 / 2012

Dal punto di vista giuridico il decreto Cresci-Italia si presenta come un pezzo di legislazione tipicamente post-moderna, del tutto priva di un reale principio giuridico ordinante, anche se accompagnata da una forte carica ideologica. Difficile infatti considerare le liberalizzazioni come il suo principio cardine, visto che da questo punto di vista, dopo molto parlare, la montagna ha per ora partorito un topolino.
Il settore bancario, quello assicurativo e quello delle telecomunicazioni non sono stati neppure sfiorati. Infatti, a parte la liberalizzazione delle tariffe professionali, quella (più preoccupante) degli ambiti di ricerca degli idrocarburi fossili, ed alcuni maggiori spazi per la vendita dei quotidiani e l'approvvigionamento del carburante, nessun'altra delle deregolamentazioni selvagge che erano state minacciate (o promesse a seconda dei punti di vista) è effettivamente andata in porto. La questione dei tassisti è stata sostanzialmente rinviata, mentre notariato e farmacie, lungi da divenire oggetto di libera concorrenza da parte di altri soggetti meno qualificati, si sono visti aumentare semplicemente la pianta organica. Fortunatamente, i grandi gruppi azionari interessati ad acquistare licenze per far lavorare i tassisti a cottimo o a smerciare prodotti farmaceutici come si trattasse di patatine, o ancora a offrire servizi "tutto compreso" di qualità scadente in ambiti delicati come quelli che coinvolgono la certezza del diritto, dovranno attendere.
Il decreto presenta poi un coacervo di altri provvedimenti che della liberalizzazione utilizzano al più la stategia retorica della "scelta informata" (assicurazioni o banche) o che smantellano, in nome del totem della speditezza dei traffici o dell'accesso dei giovani, alcune garanzie ed equilibri giuridici volti a garantire sicurezza (costituzione delle srl) e uguaglianza di fronte alla giurisdizione (sezioni speciali per l'impresa). Infine, ma mi riprometto di approfondire questi temi in futuri interventi per i lettori del manifesto, vengono poste le basi per una nuova contrattualistica speciale che affianca il project financing e i project bonds nel funzionalizzare il partenariato pubblico-privato alle esigenze di macro-progetti di sviluppo e di repressione (contratto di messa a disposizione per l'edilizia carceraria). Ovviamente, in questa temperie culturale da primi anni '90 del secolo scorso non poteva mancare il sacrificio simbolico sull'altare dello "Stato regolatore", tanto caro agli smantellatori del diritto pubblico e dell'intervento pubblico nell'economia: la separazione delle reti Snam svolge proprio quel ruolo.
Sebbene sia molto difficile trovate un principio ordinante dal punto di vista giuridico in un tale guazzabuglio di principi, norme, normette e rinvii, spesso mal espressi e preparati in fretta e furia affinché Monti potesse continuare ad atteggiarsi ad allievo più secchione d'Europa, molto più chiaro è lo spirito politico di questo articolato. Si tratta infatti dell'evidente colpo di coda dell'ideologia neoliberale, che fonda sullo sfruttamento il proprio concetto di crescita e di sviluppo. Un quarto di secolo di risultati disastrosi di liberalizzazioni, privatizzazioni e favori al complesso militare-finanziario-industriale responsabile del tracollo iniziato nel 2008 non è bastato ai professori per capire che occorre invertire la rotta e di gran fretta, se si vuole uscire dalla vera emergenza che non è certo l'insostenibilità dello spread o del debito italiano ma quella ecologica e sociale del nostro modello di sviluppo. E pensare che tale necessità l'aveva capita nella scorsa primavera una maggioranza assai eterogenea del popolo italiano votando Sì ai referendum su servizi pubblici locali, acqua bene comune e nucleare. Questa maggioranza, che può guidare un grande paese come l'Italia fuori dal perimetro ideologico neoliberale, mostrando che un altro modello di sviluppo è possibile, costituisce il vero nemico e spauracchio dei poteri forti globali che, battendo la bandiera dei mercati, impongono il paralizzante clima di panico e fretta col quale cerca di legittimarsi il regime MontiNapolitano.
I passaggi del decreto che ribadiscono ed inaspriscono lo scippo politico del referendum (già perpetrato negli artt. 3 e 4 del Decreto di Ferragosto, che attende il giudizio della Consulta sul nostro ricorso) sui servizi pubblici (quesito n.1) in violazione del pronunciamento popolare ed in spregio della giurisprudenza costituzionale, confermano che l'Italia si trova in piena «emergenza democratica». La giusta soddisfazione per l'avvenuto stralcio della norma ammazza Acqua Bene Comune Napoli e Acquedotto Pugliese non può far perdere di vista, nemmeno per un secondo, la strategia di un potere che comunque ha ridotto da 900 mila a 200 mila euro i già esigui spazi concessi al governo pubblico (potenzialmente partecipato) dei beni pubblici sociali e comuni (diversi dall'acqua). Una strategia che minaccia deflagrazioni costituzionali di portata nucleare (cancellare l'esito dell'intera campagna due sì per l' acqua bene comune) per portare a casa un clima di sollievo per lo scampato pericolo che comunque gli consente piccoli ma significativi regali ai poteri forti interessati a spartirsi i resti del welfare state. Piccoli regali che comunque Monti continua fare alle banche, senza soluzione di continuità con il conflitto di interessi di berlusconiana memoria. Per esempio, la decisione dell'Isvap del dicembre scorso di vietare alle banche di essere procacciatrici o beneficiarie delle polizze assicurative sulla vita alle quali condizionavano l'erogazione dei mutui, per evitare la vergognosa truffa sui premi da esse sistematicamente posta in essere, è stata cancellata. Oggi le banche possono procacciare assicurazioni vita ai propri clienti (truffandoli sul premio) purché offrano "due preventivi", proprio come, nella manovra di dicembre, era stato loro consentito di reintrodurre la «commissione di massimo scoperto che la giurisprudenza aveva vietato, soltanto cambiandole il nome (art 117 bis Testo Unico Bancario).
Che purtroppo la cultura giuridica alberghi sempre più a disagio nella patria del diritto romano, ormai interamente colonizzata da un pensiero economico tanto unico quanto culturalmente arretrato, se non in endemico conflito di interessi, è un fatto inconrovertibile. Sul piano formale sarebbe impossibile anche per il più prono dei costituzionalisti sostenere che tutte o almeno parte significativa delle materie assai eterogenee contenute nel decreto costituiscano quei «casi straordinari di necessità ed urgenza» che consentono al governo, «sotto la sua responsabilità», di adottare «provvedimenti provvisori con forza di legge» in deroga al primo comma dell' art. 77 che dice perentorio: «Il governo non può, senza delega delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria». Eppure certamente Napolitano lo controfirmerà, approfondendo ed infettando ulteriormente quel vulnus costituzionale che da parecchi anni sta facendo incancrenire la nostra democrazia.