Pisa - L'energia del futuro?

15 / 4 / 2010

Ci troviamo in un'epoca storica nella quale è sempre attualissima (e lo sarà  sempre di più) la discussione sui cambiamenti climatici e su nuovi modelli di energia pulita e sostenibile; nonostante i tentennamenti da parte dei governi mondiali, la cui ultima prova è nel vergognoso fallimento del vertice di Copenhagen a dicembre, è sempre più urgente una soluzione immediata e decisa del problema.  
I sostenitori dell'energia nucleare hanno la risposta pronta: la via per il futuro, l'unica possibile, passa dall'uranio. Ed è la stessa anche l'opinione ufficiale del governo italiano, che ha deciso, scavalcando il celebre referendum del 1987, di avviare nei prossimi anni la costruzione di quattro nuove centrali nucleari sul territorio nazionale. Il nucleare ci viene presentato come la soluzione ottimale, soluzione che risolve allo stesso tempo sia il problema delle emissioni di CO2 nell'atmosfera sia quello della dipendenza energetica del nostro paese, che importa massicciamente combustibili fossili.  
 
Dove sta allora il problema? Come sempre non basta un'occhiata superficiale per decidere quale sia la soluzione migliore, ma occorre studiare con attenzione ogni aspetto.  
 
La prima questione è evidente: l'uranio, come ogni minerale, va estratto e le riserve che rendano conveniente l'estrazione – in cui cioè il minerale sia abbastanza concentrato - non sono certo infinite. È chiaro perciò il motivo più semplice per cui la fissione nucleare non possa essere considerata una soluzione al problema energetico, come molti sostengono: le scorte di uranio basteranno per poco più di cinquant'anni secondo stime recenti... e poi?  
 
Inoltre l'Italia non possiede riserve di uranio: ben lungi dal guadagnare l'indipendenza energetica, importeremo sia il combustibile sia, dai nostri vicini francesi, il know-how sulla costruzione delle centrali.  
 
Il  cittadino benpensante è portato a ritenere che esistano dei buoni motivi per investire sul nucleare: magari l'energia nucleare costa meno di altre ed è un passo positivo contro la crisi climatica, emettendo meno gas serra dei combustibili fossili. Occorre allora dare uno sguardo più approfondito all'intero ciclo di produzione del nucleare: come funziona una centrale a fissione?
Il guadagno energetico si fonda su una proprietà dell'isotopo 235 dell'uranio: quando questo viene bersagliato con dei neutroni c'è una certa probabilità che uno di questi si leghi al nucleo, dando vita all'uranio 236. Questo isotopo è però altamente instabile e decade quasi immediatamente: il nucleo si spezza in due parti più piccole e maggiormente legate (nella maggior parte dei casi Bario e Kripton, ma possono variare), liberando energia. Nella fissione del nucleo vengono prodotti anche alcuni neutroni, che danno vita ad un processo a catena andando a colpire nuovi nuclei di uranio.
Vengono immediatamente alla luce alcune complicazioni: in natura l'uranio si trova per oltre il 99% dei casi nella forma del più stabile isotopo 238, che non è sfruttabile nelle centrali a fissione. È  necessario perciò un processo detto di arricchimento, che permette di aumentare la concentrazione dell'isotopo 235 da meno dell'1% fino al 3-5%. Già a questo livello stiamo scartando una buona percentuale del minerale estratto che va smaltita in modo adeguato e spesso viene usata per scopi militari.
Come abbiamo visto, poi, nel processo di fissione si producono altri elementi che in molti casi sono anch'essi radioattivi: anche questi materiali vanno trattati con estrema cautela e devono trovare una sistemazione sicura, che ne garantisca l'isolamento per un periodo che può essere anche di migliaia di anni. Tutta la struttura del reattore inoltre, al termine della vita della centrale, è contaminata di sostanze radioattive e deve rientrare nello stesso ciclo di smaltimento dei materiali coinvolti nel processo di fissione.
È questo il ben noto problema delle scorie, che in Italia deve ancora essere risolto dopo oltre vent'anni di inattività delle quattro centrali costruite prima del referendum. Tutti i materiali pericolosi accumulati negli anni del nucleare italiano sono nella maggior parte dei casi ancora immagazzinati all'interno delle centrali in modo provvisorio, mentre è necessario un deposito con caratteristiche geologiche e tecniche che ne garantiscano il perfetto isolamento per un periodo molto lungo.  
L'impatto del nucleare sull'ambiente non può quindi essere analizzato senza tenere conto dei rischi specifici sui vari territori dove gli impianti sono situati. Ricordiamo benissimo, solo per citare l'esempio più  celebre nel nostro paese, le lotte seguite alla decisione del governo di costruire il deposito unico per tutte le scorie radioattive italiane nei pressi di Scanzano Ionico, in provincia di Matera: se in un primo momento si può pensare che una reazione popolare ad una scelta di questo tipo possa essere spinta da timori non sempre fondati, secondo il cosiddetto atteggiamento nimby (“not in my back yard”), il caso di Scanzano dimostra invece come un'attenta analisi scientifica riveli problemi troppo spesso trascurati, in particolare nel caso di Scanzano i fattori che rendevano il sito inadatto allo scopo eranol'estrema vicinanza al mare (800 metri), la sismicità troppo elevata e la locazione in una zona densamente popolata.
Infine il problema dei costi e delle emissioni di gas serra nella produzione di energia dai reattori nucleari è quindi molto più complesso del previsto, dovendo essere preso in considerazione l'intero processo, che comprende estrazione e arricchimento dell'uranio, costruzione e dismissione dei reattori, stoccaggio delle scorie radioattive. Diversi studi dimostrano come l'energia nucleare sia competitiva con altri sistemi solo grazie a forti incentivi statali: non è un caso se il numero di reattori attivi in Europa e Nordamerica, dopo aver toccato un picco di 294 reattori nel 1989, è ora in lenta diminuzione, mentre negli Stati Uniti l'ultima centrale è stata costruita addirittura alla fine degli anni '70, dimostrando una tendenza generale al disinvestimento in questo settore. Per quanto riguarda l'emissione di gas serra i dati sono ancora molto incerti, ma recenti analisi mostrano che considerando ogni singolo passo della produzione si ottengono valori corrispondenti a una parte importante (fino al 20%) dell'emissione da combustibili fossili per unità di energia prodotta. Questi valori, se confermati, sarebbero di certo ben lontane da quelli che ci si aspetterebbe per un'energia a emissione zero.  

Lunedì 19 aprile - aula A1, Polo Fibonacci - ore 17:00

Partecipano:

Angelo Baracca
Prof. di Fisica dell'università di Firenze
Roberto Sirtori 
Membro del direttivo di Legambiente Pisa

Assemblea di scienze in agitazione