Benvenuti, potete sganciare le cinture, benvenuti a Pisa.
L’ospitalità
non è certo il nostro forte, eppure vi accorgerete presto di non essere
i soli a passare di qui, a fermarsi, in attesa di ripartire.
Questa
piccola città vi ha attirato, perché giovane e fuori controllo, in una
parola universitaria, o forse siete stati costretti a passare, perché
non troppo cara. Poco importa, anzi, è meglio che dimentichiate il
prima possibile tutto ciò che credete di conoscere su questa città, se
non avete ancora capito che Pisa è tutta una frontiera.
Beh, forse
la cosa non vi è passata così inosservata: in fondo solitamente si
arriva in aereo o dalla stazione, quasi mai in auto, e ci si accorge
subito di aver raggiunto un luogo singolare. Se poi vi fermate, certo
sempre en passant s’intende, vi renderete conto che in questo piccolo
spazio convivono almeno 2-3-mille città.
Innanzitutto c’è Pisa-città
della formazione, universitaria e non, ma abbiamo anche Pisa città
brand, città del turismo, pisa città dei servizi, pisa città degli
ospedali, pisa della rendita, pisa culturale, e, non ultima, pisa dei
migranti.
L’elenco potrebbe continuare, quello che c’è da segnalare
è l’evidenza di una città in cui ognuno è straniero e vive in un suo
territorio, spesso separato da quello del piano superiore, che non
arriva nemmeno a conoscere. Succede così che uno studente universitario
non conosca nulla della Pisa culturale o della pisacittàbrand. Lo si
percepisce infatti sempre più, entrando nella zona di campo dei
miracoli: qui per lo studente non è aria, perché non potrà mai spendere
quanto è necessario.
E così le frontiere si moltiplicano; per
governare flussi ingovernabili, per normare un territorio meticcio che
vive di una temporalità non lineare, è necessario definire luoghi e
non-luoghi delle relazioni, della produzione sociale e del consumo. E’
così che la ristrutturazione produttiva di questa minuscola metropoli
passa per la dislocazione urbanistica, e quindi per la costruzione di
frontiere.
Ci sono macrofrontiere e microfrontiere: c’è un centro
che va ri-spazializzato, con misure di contenimento dei soggetti
studenteschi, per far fronte al divenire vetrina-turistica di Pisa. Ci
sono i lungarni, da riqualificare in senso culturale come lungarni
museali, su cui si dovrà dislocare la produzione artistica cittadina.
C’è l’area del transito, che va dall’aeroporto alla stazione. C’è
l’area dei servizi in espansione verso est, che si sta preparando ad
una nuova ristrutturazione che vi introdurrà un ospedale “di alto
livello”, ci dicono, uno dei principali in Europa.
No, non possiamo
limitarci a questa narrazione per comprendere la città che conosciamo:
questa mappatura della valorizzazione produttiva si accompagna ad altre
mappe, che mostrano come questo processo sia attraversato e ridefinito
dai conflitti. Vorremmo continuare a tracciare queste mappe, vorremmo
fornire strumenti in grado di qualificare i conflitti, di farli venire
a galla.
Così succede che, dentro una delle più aspre
microfrontiere, Piazza delle Vettovaglie, il simbolo della vita
notturna del precariato giovanile, in questo luogo fino in fondo
ingovernabile, la microfrontiera la definisca la capacità delle forze
dell’ordine di normare il territorio. Ma Tijuana non si lascia
identificare, non ci prenderanno mai...
Questa città è tutta una linea di confine, è tempo di iniziare a mapparla per attraversarla, perché LA TRANQUILLITA’ E’ IMPORTANTE, MA LA LIBERTA’ E’ TUTTO..
Benvenuti a Pisa, Benvenuti a Tijuana