Perché il coprifuoco ci parla del mondo dopo la pandemia

23 / 4 / 2021

La nota del Comitato tecnico scientifico uscita dopo l’ultimo decreto, dove si afferma chiaramente che la scelta del “coprifuoco” attuata in questi mesi (e confermata), sia stata strettamente politica, quindi non avesse nessun criterio medico- scientifico, delinea un quadro estremamente grave. La consapevolezza che la crisi pandemica fosse utilizzata per avviare cambiamenti non episodici, ma atti a creare un impianto non solo securitario, ma antisociale e antidemocratico, era ampiamente diffusa. Ma non può sfuggire come un riconoscimento così autorevole su una questione così rilevante che chiama in causa i più basilari diritti della persona, sia una conferma clamorosa di come la gestione del dramma che stiamo vivendo da più di un anno risponda a logiche che spesso non hanno nulla a che fare con una sacrosanta politica sanitaria di tutela della salute pubblica.

In molti ci siamo chiesti come sarà il mondo dopo la pandemia. Probabilmente la domanda giusta da porsi, anche in base ad autorevoli analisi,  è come sarà vivere in un mondo con fenomeni simili che su diversa scala continueranno a manifestarsi, anche perché da anni, come è noto, c’erano ampi segnali di ciò che si stava preparando, con epidemie su scala minore, ma con letalità maggiore. E la previsione è che se non cambieremo rotta radicalmente, ci aspettano altre tragedie. Visti i rapporti di forza, l’egemonia che il capitalismo sta ancora esercitando, è difficile pensare che da questa parte del globo ci possano essere dinamiche sociali che spezzino il dominio. Dunque è legittimo il timore che assuefare in qualche modo la popolazione a provvedimenti fortemente restrittivi prefiguri un modello sociale fortemente disciplinato ogni volta che si delinea una situazione di un certo tipo. Insomma  è lecito chiedersi se sotto i nostri occhi si stia attuando una vera svolta “copernicana” per affermare un nuovo paradigma. I segnali ci sono tutti.

Un esempio ci viene anche dal mondo del lavoro. Prima della crisi sanitaria lo smart working era un fenomeno circoscritto a determinate categorie di lavoratori, spesso provvisorio e in molti casi rispondeva a reali esigenze. Con la pandemia ha avuto una crescita esponenziale, con conseguenze pesanti. Come attestano numerosissime testimonianze, sia chi lavora nel pubblico che nel privato ha verificato velocemente come il suo orario si sia allungato a dismisura. Tra i tanti esempi possiamo citare quello degli insegnanti che spesso già dalle sette di mattina si sono trovati al computer per continuare tutta la giornata. Per non parlare dei cosiddetti lavori “creativi”o cognitivi, dove comunque da sempre imperversa la “flessibilità” degli orari, che è sinonimo si super(auto)sfruttamento. Il lavoro a casa ha significato per le imprese, pubbliche  e private, un notevole risparmio dei costi. Per le seconde ovviamente questo ha comportato anche un incremento dei profitti. Recentemente un amico che lavora per una multinazionale per la quale ogni anno doveva girare mezzo mondo, mi ha confessato che con il suo lavoro a casa l’azienda in un anno ha risparmiato ottantamila euro. Apparentemente svolgere la propria attività professionale a domicilio può sembrare una scelta migliore, ma a lungo andare ha e avrà delle conseguenze estremamente gravi sia per il singolo che per la collettività. In una società già da tempo estremamente individualizzata, con il mondo del lavoro parcellizzato e spesso incapace di uscire dalla spirale di ricatti e precarietà, lo smart working va in un’unica direzione a vantaggio della classe padronale.

Abbiamo citato solo due aspetti legati alle tendenze che la pandemia sta prefigurando, tra i molti su cui ci si potrebbe soffermare. Le dinamiche politiche e sociali, non inducono all’ottimismo nel pensare ai tempi che ci attendono. Ma come diceva quel tale al pessimo dell’intelligenza bisogna abbinare l’ottimismo della volontà. La storia ci ha insegnato che possono avvenire eventi imprevedibili che cambiano il corso degli eventi. I movimenti hanno un andamento carsico e improvvisamente irrompono sulle scena della storia. Speriamo che sia il nostro tempo.