Per la Comune d’Europa!

Verso la mobilitazione di luglio a Torino e per un autunno di lotta dei movimenti sociali europei.

16 / 5 / 2014

English version

Come interventionistische Linke (D) e coalizione dei Centri Sociali (I) ci siamo incontrati nelle piazze e nelle strade di tutta Europa , quando - felicemente insieme a tante e tanti altri - abbiamo cominciato a discutere e lottare non solo negli spazi ristretti definiti dai confini politici degli stati-nazione, ma in e verso un’autentica e condivisa prospettiva transnazionale. Naturalmente l’internazionalismo è parte del nostro "patrimonio genetico", fatto di successi e di fallimenti da cui dobbiamo imparare.

Ma lo sviluppo dei movimenti sociali, dal basso, nelle lotte per la democrazia è caratterizzato da nuove relazioni. Le assemblee nelle piazze, le piattaforme di solidarietà e le reti sociali, e tentativi inediti di destrutturare i centri di potere e costruire nuove modalità di vita comune hanno dato uno slancio rinnovato alle nostre lotte. E mentre stiamo imparando come tradurre queste esperienze nel nostro immaginario e nelle nostre pratiche, ci interroghiamo anche su come affermare questa visione su scala europea.

La crisi ha determinato una situazione in cui i movimenti possono e devono di nuovo agire per una reale trasformazione sociale. Da quando ci siamo incontrati nelle giornate di Blockupy Francoforte 2012, abbiamo sentito la necessità di sperimentare un nuovo modo di agire insieme, sul piano sociale e politico, che ci ha portato ad assumere costitutivamente una prospettiva europea per la nostra soggettività militante. Costruito sulla base di esperienze condivise a cui molti altri hanno partecipato, questo documento è il nostro tentativo di fissare alcuni punti, per poter continuare la discussione con tante e tanti altri.  Una prospettiva transnazionale come un nuovo modo di respirare insieme.

Questo salto di qualità può anche essere considerato uno degli effetti di sette anni di crisi, o meglio del "divenire crisi" del capitalismo finanziario . La crisi è di sicuro sistemica, ma ciò non implica affatto - come abbiamo visto - il "collasso" del capitalismo. La crisi è economica ed ecologica. Investe la riproduzione sociale complessiva: le fonti d’energia e la sua distribuzione, la produzione alimentare e le catene di consumo, e non ultima la questione della “cura”. E dobbiamo prendere in considerazione tutti questi aspetti, se vogliamo combattere ogni forma, vecchia e nuova, dello sfruttamento capitalistico.

La crisi è certo globale, ma essa ha preso terra in modi molto differenziati nelle diverse aree regionali del pianeta. La crisi si è "territorializzata" – e per noi la crisi ha particolarmente colpito il contesto europeo, nella cosiddetta Euro-crisi. La sua dimensione europea è qualcosa di complesso e controverso. Non è nostra attenzione analizzarla qui in profondità, piuttosto indicare alcune delle sue conseguenze. Mentre l’Europa nel suo insieme continua a partecipare dello sfruttamento del Sud globale, la gestione capitalistica della crisi da parte delle oligarchie continentali significa una complessiva ristrutturazione nell’organizzazione sociale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza socialmente prodotta, che rafforza il carattere estrattivo e parassitario dell’attuale modello produttivo e riproduttivo, a fronte di una cooperazione sociale che continua a raggiungere livelli maturi di autonomia e di autodeterminazione. L’attacco permanente alla società è l’effettiva realtà di ciò che chiamano "politiche di austerità".

Ciò si verifica nel quadro di un più generale tentativo di stabilire un "nuovo ordine" in rapporti di potere fortemente sbilanciati tra le classi, tra capitale e lavoro vivo . L'altra faccia di queste dinamiche è un crescente "disordine mondiale" nell’equilibrio geopolitico fra vecchi e nuovi poteri imperiali, dove ognuno cerca di ritagliarsi spazi di egemonia in un mondo che non riconosce più un unico polo di comando. Invece di una “pacifica governance multipolare”, come hanno chiamato il precedente stato di “guerra-per-delega”, la crisi ci ha portato al declino dell’Era Americana e all’inizio di un periodo caratterizzato da una molteplicità di nuovi centri del capitale globale in competizione, con il ritorno a una muscolare "politica delle cannoniere", la fine di ogni distinzione tra “sicurezza” e guerra, tra polizia ed esercito, come anche il caso ucraino sta purtroppo dimostrando.

Non vi è dubbio che stiamo vivendo in un’"epoca di rivoluzioni". In tempi segnati da profonde trasformazioni, rapide e inaspettate, di estrema ambivalenza. Dobbiamo cercare di afferrare quest’epoca e di trasformarla in un nuovo tempo di rivoluzione, un tempo attuale per un cambiamento sociale e politico radicale, che appartenga a chi rifiuta l’oppressione dello sfruttamento e del comando capitalistico, a chi crea ogni giorno le relazioni necessarie per gestire in comune le nostre risorse e la produzione, le nostre comunità e la loro cooperazione. Il nostro terreno non è quello delle rappresentazioni ideali della realtà, né di opzioni ideologiche, né di soluzioni "scientifiche", ma quello dei movimenti sociali che, nell’insegnamento e nell’apprendimento reciproco, lottano concretamente per migliori ed eque condizioni di vita, valorizzando l’espressione delle singolarità e il divenire comune nelle nostre lotte. Questa è per noi una prospettiva immediatamente politica. Intendiamo perciò creare forze che siano al tempo stesso antagoniste al potere e protagoniste del cambiamento, in un orizzonte permanentemente costituente a livello transnazionale. Autorganizzazione sociale e pratiche, diffuse ed efficaci, di conflitto devono essere capaci di parlare un linguaggio che sia comprensibile e condiviso da una moltitudine di persone, al di là delle diverse barriere che ci dividono. Sarà nostro compito ulteriore indicare con precisione i nemici da combattere, i rapporti di sottomissione da sovvertire, ma anche le prospettive di liberazione, le nuove condizioni di eguaglianza da conquistare, l'alternativa comune da costruire collettivamente.

L’Europa sta prendendo forma. E così, la dimensione europea è divenuta un nostro spazio di critica e di azione, sociale e politica. Sappiamo che l’Europa dominante è un pugno in un occhio. E che questa Europa stia dando il suo contributo alla distruzione del pianeta è una diagnosi, da cui ogni pratica politica è obbligata oggi a partire. Dobbiamo perciò prestare molta attenzione nel definire quel che intendiamo come "Europa". Noi rifiutiamo i confini istituzionali dell'Unione Europea: il regime delle frontiere della UE è uno strumento violento e mortifero per controllare e disciplinare il lavoro vivo, che riafferma un immaginario razzista malato, parte integrante purtroppo della costruzione storico-culturale europea. E mette in forma il progetto capitalista di regolazione in una nuova divisione internazionale del lavoro.

Noi lottiamo dall’interno contro questo progetto, dalla parte e insieme a quei migranti  e rifugiati che arrivano in Europa da tutto il mondo in cerca di una vita migliore – o semplicemente di sopravvivere. Per questo la lotta per la libertà di movimento non è qualcosa di marginale o aggiuntivo, ma è al centro dei nostri obiettivi. La nostra Europa è un campo di battaglia permanente, e un’occasione. E’ la topografia in continua mutazione delle tensioni e dei conflitti sociali, illuminata dai bagliori di nuovi possibili rapporti sociali.  Qualcosa meno di una realtà, ma già molto più che un sogno. La nostra Europa guarda nello stesso tempo verso Sud e verso Est, con un’attitudine a rompere e a superare tutti i confini dati, praticando solidarietà. È attuale, ma non può essere ancora generalizzata. Se l’Europa dominante è al tempo stesso "una nostra produzione e la nostra alienazione", la nostra Europa non è solo uno spazio di lotta da attraversare, ma anche l’orizzonte critico di una pratica del comune: la Comune d’Europa!

Questo è lo spirito rinnovato, con cui insieme stiamo attraversando le Giornate europee di azione (dal 15 al 25 maggio), verso la mobilitazione transnazionale contro il vertice dell’Unione Europea sulla disoccupazione giovanile a Torino (il prossimo 11 luglio), che per noi non costituisce un punto di arrivo, ma la potenziale apertura dal basso di un "semestre di lotta" dei movimenti sociali costituenti in tutta Europa. Insieme verso un autunno che, per la prima volta, potrebbe diventare una stagione di differenti, diffusi conflitti sociali a livello continentale, puntando di nuovo sul " Giorno X" dell’inaugurazione della nuova torre della Banca Centrale Europea a Francoforte .

Berlino è la nuova Roma. Con la sua “consensuale negazione di alternative” il governo di Grosse Koalition in Germania, esercitando egemonia per conto delle oligarchie capitalistiche,  è la guida de facto delle istituzioni della UE, in un clima influenzato dal crescente consenso delle forze più reazionarie e nazionaliste. Noi tutti sappiamo che il ruolo del Parlamento Europeo, se confrontato con quello svolto dalla Troika e dalle relazioni inter-governative, è ben poca cosa. Mentre ci misuriamo sempre con il tentativo di costruire movimenti sociali reali, l’interesse critico per le elezioni europee non ha a che fare con la questione di “quale partito manderà quanti rappresentanti al parlamento”. Le elezioni europee sono invece importanti come test sull’ambiente politico in cui ci troviamo - come una sorta di referendum sociale, soprattutto nel caso della Grecia, attraverso cui leggere quali nuovi spazi politici, che consentano una possibile alternativa alla mancanza di alternative, potrebbero delinearsi.

Diciamo questo nella consapevolezza che una vera e propria inversione, nelle tendenze che hanno dominato gli ultimi anni in Europa, può venire solo dalla costruzione di forti e diffusi contropoteri sociali. È solo in movimento che nuove forme di protagonismo sociale possono affermarsi.

Da questo punto di vista, i capi di governo dell’Unione Europea si troveranno ad affrontare a Torino una delle questioni più stringenti. È necessario essere chiari su questo. Affermiamo che l’aspetto più critico della "disoccupazione" non sta solo nelle statistiche a due cifre che descrivono il drammatico livello d’impoverimento sociale, in particolare nei paesi dell'Europa meridionale. Dobbiamo invece indagare i rapporti tra capitale e lavoro vivo su scala europea, con le armi della critica e attraversarle con un nuovo arsenale di proposte politiche e organizzative. Dobbiamo armarci di proposte che affrontino fenomeni molto più articolati e complessi, che ci parlano della nuova composizione sociale del lavoro, delle sue contraddizioni e potenzialità di lotta, e delle forme contemporanee di governo del mercato del lavoro capitalistico. La nostra analisi e le nostre proposte devono rivolgersi a tutti, ovunque in Europa, al Sud come al Nord, al centro come nelle periferie. I freddi numeri delle statistiche non hanno nulla da dire di un processo più profondo e a lungo termine di precarizzazione, non solo delle relazioni salariali e dei contratti di lavoro di settore, così come delle condizioni di diritto utilizzate come strumento di controllo del lavoro vivo. Dobbiamo affrontare la precarizzazione della vita stessa, investita dal comando come esercizio pervasivo di bio-potere, basato più sui rapporti di indebitamento finanziario che sui vecchi “regolamenti di fabbrica”. Abbiamo perciò bisogno di indagare e combattere tutte le forme vecchie e nuove di ricatto e costrizione al lavoro sfruttato: dai “mini-jobs” all’intermittenza, dai contratti a tempo determinato al lavoro irregolare e clandestino. E dobbiamo invece esigere la garanzia di un reddito dignitoso, che comprenda non solo un reddito monetario di base, ma anche l’accesso a quelle fondamentali infrastrutture sociali che sono i diritti, universali e incondizionati, alla casa, a un’alimentazione sana e alla salute, alla mobilità e alla comunicazione.

Per diffondere queste prospettive di lotta su scala europea, abbiamo bisogno di creare reti e spazi, politici e sociali, militanti e discorsivi, a misura di una nuova composizione sociale transnazionale. Questo ci impone di considerare come sia possibile creare una zona mobile di contatto al di là di "turismo ed Erasmus" – una comunità di movimenti transnazionali in cerca di comunanza, in permanente movimento, capace di produrre conoscenza e consapevolezza delle simultanee omogeneità ed eterogeneità, con cui la crisi si sviluppa in tutta Europa creando quegli spazi e quelle temporalità differenziate che ostacolano i processi di ricomposizione. Cerchiamo una modalità di relazione aperta per crescere, imparare ad agire in comune, attraverso e al di là delle diverse logiche dei contesti regionali e nazionali. Cerchiamo di indagare la nostra occasione. L'Europa è per i movimenti non solo un problema di diversi linguaggi, paesaggi sociali e atti quotidiani, di distanza e di prossimità: è il punto di fuga da ogni logica autocentrata e autoreferenziale. Che cosa ci unisce e qual’è la direzione del nostro movimento?

Come creare proposte che siano immediatamente traducibili nell’eterogeneo spazio europeo? Consideriamo brevemente, come paradigmatico, uno dei nostri contesti locali . In Germania abbiamo visto ampi settori della popolazione negare qualsiasi “solidarietà di classe”, votando con “cinica ragione calcolante” per chi credono li proteggerà nella loro insicurezza sociale in via di disintegrazione. In realtà l’austerity è il nuovo modello sociale, attuato in Germania come Agenda 2010 e ora imposto a tutto il continente. Infatti la politica istituzionale tedesca organizza il suo consenso attraverso una minimale distribuzione della ricchezza lungo linee di specifica individualizzazione, in modo da mantenere le persone alienate le une dalle altre e dipendenti dalla macchina dello Stato. La paura di cadere nell'abisso e l'esperienza dell’impotenza vengono piegate in un laboratorio che condensa rabbia nazionalista, sciovinismo e ostilità reazionaria degli "insicuri" nei confronti di coloro che hanno ancora meno sicurezze. Questo modello è ben visibile nell’attivazione di tutti quei "rapporti normalizzati" - nei razzismi, nei sessismi, nelle etero-normatività, realtà di cui dobbiamo essere consapevoli anche quando organizziamo le nostre pratiche. Come rovesciare invece queste paure in desiderio del comune?

Su scala transnazionale, il vertice di Torino è un’occasione che dobbiamo cogliere per allargare a differenti settori sociali la mobilitazione e per ampliare e vivacizzarne il dibattito: dalla classica questione della "disoccupazione" a tutte le modalità di sfruttamento della società e dei beni comuni. Mostrando perciò come tutti i processi di appropriazione privata di ciò che è comune siano diverse articolazioni dello stesso capitalismo contemporaneo: dalla distruzione dei servizi pubblici come la sanità e l'istruzione, ai grandi progetti infrastrutturali devastanti per i territori e l'ambiente, dalle manipolazioni genetiche al controllo della conoscenza come nuove frontiere del dominio. E indicare come nello sviluppo di adeguati percorsi di lotta su tutti questi temi poggino le basi di una vera alternativa sistemica.

Oltre il panorama di macerie lasciato dalla vecchia “sinistra” in Europa, ha iniziato a comporsi il puzzle di un nuovo antagonismo sociale, quello che individua in ogni momento il suo compito nella creazione sperimentale di nuove relazioni fondate sulla socialità comune, sulla ricostruzione di un protagonismo sociale inedito. Si tratta di una composizione-in-divenire, e in termini transnazionali abbiamo bisogno di imparare l'arte della sua sintesi pratica. L'eterogeneità della società contemporanea è caratterizzata da una moltiplicazione dei rapporti. E siamo sicuri come non esista un’unica forma corretta per affrontarla. Abbiamo bisogno di scoprire quali possano essere i punti di riferimento e d’intersezione, per creare nuovi spazi ibridi che ci permettano di attraversare contesti differenti, apportando il contributo di segmenti diversi in molte ricombinazioni. In questo percorso, che stiamo iniziando a immaginare e sperimentare, ma che dobbiamo ancora creare e praticare, speriamo di incontrare tante e tanti altri. Per costruire un contropotere che sia in grado non solo di denunciare l'ordine dominante, ma di dare nuova potenza al comune.

Infine, questa è la ragione per cui i punti di discussione precedenti sono, per noi, solo un punto di partenza. Cominciamo con noi stessi e con le prime soglie raggiunte dallo scambio e dalla condivisione tra di noi, per lanciare una proposta aperta a chiunque sia interessato. Noi - come interventionistische Linke (D) e coalizione dei Centri Sociali (I) - invitiamo tutti gli interessati a costruire insieme, su queste basi e con questo spirito, una coalizione ampia che discuta e animi praticamente la mobilitazione verso Torino e l’autunno di lotta.

Avanti, compagne e compagni!

E, per le élites capitalistiche d'Europa, “sta arrivando l’inverno!”

Per contattarci, email: [email protected]

The commune of europe