Paura, rabbia, conflitto. Complici con Mimmo Lucano

30 / 9 / 2021

Riprendiamo da Melting Pot un commento sulla vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano.

Il tempo della cautela è finito. L’attacco - strutturato, violento, diffuso - nei confronti delle forme di solidarietà sperimentate a Riace segna un punto di non ritorno. La condanna di Mimmo Lucano a 13 anni e due mesi di reclusione è un fatto totale. La decisione del Tribunale di Locri fotografa puntualmente il paesaggio politico e giuridico contemporaneo e i rapporti di forza che organizzano la società. Ed è un’orribile fotografia.

Due sensazioni, tra le altre, sembrano dominare il campo delle solidali e dei solidali in queste ore. La prima è la paura. L’audacia della controparte è tale da spaventare: inutile negarlo. È possibile non farsi paralizzare? In primo luogo, è utile non rifiutare ma accogliere la paura. Farla propria, abitarla. Scomporla, comprenderla, socializzarla, politicizzarla. Abbiamo paura perché la violenza sistemica, la potenza organizzativa e la spavalderia tattica dei nemici della solidarietà sono di ampissima portata. È da questa consapevolezza che bisogna ripartire. Occorrono risposte collettive ambiziose, radicali, strutturali, all’altezza del generalizzato attacco in corso nei confronti della solidarietà, di cui la vicenda Lucano è puntuale cartina di tornasole.

Accanto alla paura, la rabbia. Un’emozione preziosa, da coltivare, raccontare, diffondere. È indispensabile provare rabbia nei confronti della decisione del Tribunale di Locri. Una rabbia profonda, istintiva, corporale. È giusto e possibile trasformarla in rabbia sistemica. Dietro la condanna a Lucano c’è un articolato sistema di poteri giudiziali, politici e amministrativi, discorsi, narrazioni. È necessario e utile provare rabbia nei confronti di chi, a vario titolo, ha reso possibile - dal punto di vista giudiziario, politico, discorsivo - l’emanazione di una decisione di questa portata. La rabbia è un sentimento denso di implicazioni politiche, pieno di potenzialità. Intorno alla rabbia degna si sono costruite, in giro per il mondo, fondamentali esperienze di conflitto e organizzazione. Ripartiamo dalla rabbia.

Oltre la paura, dentro la rabbia. In quale direzione muoversi per rilanciare il campo della solidarietà e fargli assumere una nuova potenza politica? In queste ore immediatamente successive alla condanna è difficile immaginare risposte complessive. C’è però una traccia - sottile ma puntuale - che può essere utile seguire. Dentro la violenza organizzata che colpisce Lucano si nasconde molto timore. Timore per il sistema valoriale, relazionale, conflittuale che circonda Lucano. La sua stessa figura è dialetticamente non riassorbibile dalla controparte. Rappresenta l’idea realizzata che è possibile immaginare e costruire una dimensione reale - qui e ora - radicalmente differente rispetto alla razionalità dominante. L’altro mondo possibile non è un orizzonte strutturalmente sfuggente né un’idea liquida. La sua prefigurazione è qui realizzabile e Lucano ne è tra le rappresentazioni più plastiche. Per tutte queste ragioni, è stato colpito così duramente. Per tutte queste ragioni l’ipotesi Riace è una traccia ancora aperta, che parla al futuro.

Non è vero che Lucano non ha fatto niente. È vero esattamente il contrario. Ha dimostrato - insieme a tante e tanti - che è possibile costruire radicali infrastrutture solidali, che ribaltano la logica dominante e che annunciano quello che potremmo essere. Difendere Mimmo Lucano è necessario ma insufficiente. Se è indispensabile esprimergli solidarietà e complicità, è da rifiutare ogni postura difensiva. È il giusto tempo per sperimentare azioni, linguaggi, forme organizzative e lotte radicali, di ampia portata, all’altezza della sfida in corso. Per dare respiro alla rabbia e generalizzarla. Per restituire una buona dose di paura nel campo avverso.

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