di Fabio Merone

Parte3/ The future is unwritten

19 / 5 / 2011

La nuova Tunisia é entrata nel suo quarto mese di vita. Come per i bambini, il tempo si conta mese per mese, mentre le gioie e le ansie sono misurate nel tempo breve. Siamo passati dal crollo di un apparato di sicurezza, alla cancellazione delle strutture politiche. Dall’entusiasmo popolare, al conflitto creativo. Dai dibattiti identitari e fondativi, all’innovazione istituzionale. Il modo piu adatto per descrivere lo stato d’animo della fase attuale sarebbe, invece, “la depressione post-rivoluzionaria”.

Mancano i punti di riferimento. Ci si é messo anche Farhat Rajhi (ex ministro degli interni) che, nell’accusare l’esercito di velleità golpiste ed in primo ordine il generale Ammar, tra gli indiscussi eroi popolari della rivoluzione, ha fatto cadere l’ultimo tabù, l’indiscussa integrità nazionale dell’istituzione.

Dopo le caldissime giornate di venerdi, sabato e domenica, é intervenuto il primo ministro, Caied Sebssi, e non ha entusiasmato. Innanzitutto il suo intervento é stato percepito tardivo (considerando che il video con le scottanti dichiarazioni di Rajhi era stato diffuso il mercoledi), e poi ha sollevato piu dubbi di quanti ne ha dissipati.

1.Che spettacolo indecoroso sottoporre tre giornalisti al ruolo di figuranti davanti ad un primo ministro che impone il dibattito e non accetta la replica. 2.Piu che rassicurante, il suo tono é sembrato arrogante. 3.Si é liberato davvero il sistema dei suoi residui autoritari?

Il consenso che si era trovato intorno alla road map proposta dal duo Sebbsi-Mobazza si é rotto. Persino la data delle elezioni (il 24 luglio) incomincia ad essere messa in discussione.

Quale alternativa? Voci e rumori si susseguono e rimbalzano da una sede di partito all’altra. Due sono le ipotesi piu realistiche: o si forma un nuovo governo di unità nazionale con tutti i partiti e le forze nazionali e si rimandano le elezioni costituenti, oppure si stringono i denti, si abbassa il tono generale della conflittualita, e si punta tutto sull’effetto rigeneratore delle elezioni.

I piu strenui difensori della data delle elezioni sono gli islamisti del Nahdha, sicuri di essere premiati dal voto popolare. I piu contrari, gli uomini di Hamma Hammami, il PCOT, che fin dall’inizio si erano detti a favore di un tempo di preparazione piu lungo ed adeguato per permettere alla società ed alle forze democratiche di presentarsi adeguatamente al momento elettorale.

Ma il vero dato scottante dell’attualità é un altro. Verso quale processo politico ci stiamo avviando e con quali contenuti? La spinta giovanile, che ha fatto crollare un regime, e che impone una progettualità rivoluzionaria al processo di costruzione della nazione, ha bisogno di una sua soggettività.

I primi sondaggi che incominciano a circolare nella giovane democrazia tunisina parlano chiaramente di una grossa fetta della popolazione (tra il 70 e l’80 per cento) che non ha deciso chi votare e che probabilmente stenta ad identificarsi nel panorama politico. E ancora, bisognerebbe dedicare piu attenzione e maggiore spazio di riflessione al fenomeno di massa della “fuga” verso l’emigrazione.

Alcune voci si alzano per dire che é finito il tempo di darsi l’alibi della fase transitoria per cui non é possibile prendere grandi decisioni sul piano dello sviluppo, in attesa di un governo legittimato dalle elezioni. Altri rimproverano i partiti di non avere una visione dell’economia e della societa. In realtà queste risposte difettano di un vizio di fondo: un grosso tono di paternalismo. Se molti, soprattutto i giovani che hanno fatto la rivoluzione e che hanno uno spirito di ribellione profondo, danno credito ai sospetti di un governo guidato dalle vecchie logiche del potere, una ragione c’é e probabilmente é piu profonda della semplice assenza nel dibattito della questione economica e sociale.

I meccanismi del potere dentro le istituzioni dello stato non si sono ancora spezzati. Benché ci sia oggi un margine di dibattito dovuto al nuovo scenario di libertà, non é entrato ancora in campo una nuova soggettività ‘rivoluzionaria’. Parte dei giovani delle periferie del paese (sociali e materiali) non sono ancora entrati in scena. Una certa frustrazione rimane ed é latente.

Ci aspettiamo di vederli, se saranno capaci di imporsi sulla scena. Magari sotto forma di organizzazioni non tradizionali che esprimano forme di organizzazione nuove e piani di sviluppo autogestiti.