Parma - Crisi di un modello di governo: dal “civismo” al Movimento 5 Stelle.

22 / 5 / 2012

Era il giugno del 1998 quando allo spoglio delle schede elettorali nel comune di Parma si assistette ad una sorpresa incredibile. Il candidato sindaco Lavagetto, che dopo il primo turno si incamminava verso la riconferma, venne sconfitto al ballottaggio dal suo ex collega di giunta e democristiano Elvio Ubaldi. Quello fu il primo terremoto che coinvolse le dirigenze politiche cittadine a Parma e che diede il segnale di un allontanamento del centro sinistra dal governo della città.

A quel tempo due erano i candidati forti della sinistra, uno più moderato, Lavagetto, che usciva dal primo turno con un abbondante 40% di voti e un altro amatissimo personaggio politico, Mario Tommasini, partigiano e protagonista tra l’altro della chiusura dei manicomi, che sembravano certi sfidanti al ballottaggio. Ma la storia non andò così. Per una manciata di voti fu Ubaldi a sostenere il confronto con il sindaco uscente Lavagetto e a riportare una vittoria inaspettata a causa della diserzione delle urne da parte dell’elettorato di centro sinistra.

Elvio Ubaldi è il primo sindaco a segnare una discontinuità con le giunte precedenti, sempre di sinistra. Ma è anche un innovatore del linguaggio politico cittadino. Capace di coniare e dare spazio all’idea del civismo, ovvero quel modo di fare politica capace di abbattere completamente gli steccati ideologici novecenteschi, sostituendoli con una prassi di governo cittadino che mirasse alla centralità e alla crescita del territorio. E’ lui a rappresentare la novità: se da una parte Lavagetto veniva considerato un uomo di grande esperienza, che aveva fatto della sobrietà e del rispetto dei conti comunali i suoi cavalli di battaglia, Ubaldi ne rappresentava l’esatto contrario.

Fu lui ad inaugurare quel modo di governare la città che mirava a renderla un centro del nord non più dedito solo all’agroalimentare ma ad una vera e propria capitale dei servizi, capace di progettare faraoniche infrastrutture, tra le quali una metropolitana per una città di 180.000 abitanti. Alla base di tale progetto vi era la convinzione che Parma potesse divenire una città adatta ad ospitare più di 400.000 abitanti e ad inglobare dentro sé tutti i piccoli centri circostanti.

È in quest’ottica che vanno viste le grandi opere come le tangenziali che disegnano un perimetro attorno al centro urbano che verrà riempito negli anni delle sue due legislature di migliaia di metri cubi di cemento. Veri e propri nuovi quartieri che modificheranno completamente la struttura sociale cittadina. Se da una parte questa idea si inseriva in un contesto politico che faceva del pensiero unico neoliberista un modello a crescita continua, dall’altra parte, le bolle finanziarie che già dal finire del secolo scorso si accrescevano sulla scena dell’economia mondiale iniziavano a far scricchiolare l’idea di espansione e crescita che anche il sindaco del “civismo” aveva proposto alla città. Project financing , debiti con fornitori di servizi, investimenti pubblici sulle grandi opere, consegneranno alla città un debito pubblico imponente, ma non ancora così devastante come pochi anni dopo si dimostrerà questa scellerata visione da grandeur.

È con l’avvento di Pietro Vignali nel 2007, uscito vincente dalla sfida con Alfredo Peri, ai tempi assessore regionale alla mobilità, che la grande idea di grandeur si schianta a causa della crisi economica. Sarà lui ad imprimere un’accelerazione a questo processo di indebitamento, attraverso megaprogetti di infrastrutture che gonfieranno fino a 600 milioni i debiti del Comune. Ma Vignali inaugurerà anche un nuovo modo di fare politica, non più legata all’idea di un personaggio forte capace di offrire un progetto alla città, ma di un uomo capace di riflettere l’idea dell’ultimo Berlusconi. Feste, escort ma soprattutto un comitato di affari che ha legato la gestione della cosa pubblica agli interessi privati dei suoi collaboratori. Un sistema fatto di corruzione e appalti truccati che è collassato sotto la spinta della magistratura ma soprattutto dei movimenti che nell’estate scorsa hanno assediato il Comune, costringendo di fatto alle dimissioni la giunta e determinando la scomparsa del civismo e della idea di grandeur, inaugurata con Ubaldi nel 1998 e mutata poi da Vignali.

È importante soffermarsi sulla genesi del laboratorio politico parmigiano degli ultimi 14 anni perché così è possibile farsi un’idea di come si siano succeduti gli eventi e di come questa città sia finita sotto gli occhi della stampa nazionale ed europea. E’ innegabile che sia stata la piazza auto-convocata dell’estate scorsa ad imprimere un’accelerazione al consenso che il Movimento 5 Stelle ha raccolto oggi in questa città.

I comitati cittadini, che dal 2008 si erano costituiti attorno alla contestazione della metropolitana, sono poi moltiplicati nella difesa del territorio e contro le grandi opere, alimentando un terreno di grande partecipazione alla vita politica da parte di migliaia di persone che fino ad allora erano rimasti ai margini dei partiti.

È così che può spiegarsi, seppur parzialmente, l’adesione di un’importante fetta di città al Movimento 5 Stelle. Un  movimento capace di rappresentare il rifiuto per una politica fatta di malaffare, ma anche il rifiuto per un’alternativa di governo del territorio che si è dimostrata incapace di rispondere ai grandi interrogativi provenienti dal cuore della città. Emergono con potenza la domanda di una maggior partecipazione ai processi decisionali, la voglia di riconoscere come illegittimi i debiti creati da un’ideologia della crescita incapace di andare incontro ai nuovi bisogni che la crisi produce, e l’assunzione generale di un nuovo discorso sull’ambiente capace di contrastare la crisi ecologica.

Domande che in tanti hanno deciso di evadere e che hanno consegnato alle urne un enorme malcontento. Non sappiamo se sarà il Movimento 5 Stelle l’esperienza politica adatta a produrre un’alternativa, ma di certo i movimenti si trovano dinanzi uno spazio nuovo e complesso che può aprire a nuove possibilità. Riempirlo di democrazia e diritti sarà la sfida.

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