Attivisti impediscono l'ingresso a centinaia di lobbisti delle companies europee che dovevano partecipare alla conferenza annuale di Business Europe. Occupata l'area della conferenza per quasi due ore

Our climate, not your business!

30 / 10 / 2009

Alle 9.00 di ieri mattina circa sessanta attivisti mascherati hanno bloccato le entrate al Charlemagne Building, a Brussels, per impedire l'entrata ai partecipanti al convegno di Business Europe, la lobby dei rappresentati dell'industria e del business europei[1]. Le porte girevoli dell'edificio sono state bloccate e le porte scorrevoli bloccate con delle catene, mentre decine di palloncini con attaccati allarmi sonori hanno riempito il soffitto della hall e l'area della conferenza veniva occupata dagli attivisti. Dopo circa un'ora la polizia belga è intervenuta duramente, tagliando le catene e lanciando gas lacrimogeni all'interno e operando 25 arresti.

Il programma di questo business-day era semplice e sintetico: l'ultima occasione, prima del vertice ONU di Dicembre a Copenhagen, per discutere il modo “migliore” di riconciliare la conservazione del clima e lo sviluppo economico, includendo le misure di green recovery e il carbon trade.

 A guardare il programma e I partecipanti, si tratta di un vero e proprio incontro di policy-making, per decidere le politiche economiche prossime venture: tra le centinaia di partecipanti si contano ovviamente gli AD e i senior executives delle maggiori compagnie europee e rappresentanti del business internazionale (in particolare USA e Giappone), ma anche rappresentanti della commissione europea e degli stati membri della EU.

 Mentre gli interventi dei vari panels paralleli sono in corso, è già pronto una bozza (non accessibile pubblicamente, al momento) dei desiderata, ovvero dei risultati che i rappresentanti del mondo del business vorrebbero ottenere da Copenhagen, una sorta di istruzioni per l'uso a beneficio dei delegati del vertice ONU.

 Che il capitale sia inquieto è fuor di dubbio, visto il grande fermento che si registra in tutto il mondo in vista del vertice di Copenhagen: non  è affatto scontato quali saranno i risultati del vertice e quel che accadrà durante quei giorni, quando i delegati del “global north”[2] si troveranno circondati dai delegati del global south e da decine di migliaia di attivisti ben determinati ad aprire nuovi spazi politici dove discutere come costruire e praticare indipendenza (in primis energetica e alimentare) dalla razionalità del mercato e dell'accumulazione.

 Ignorare l'impatto antropico sul clima può costare molto caro in termini di mancata produttività e mancato sfruttamento delle risorse[3], al punto da mettere con le spalle al muro la possibilità stessa di espansione del profitto. La governance globale è quindi costretta a ricercare soluzioni che siano un tampone alle conseguenze dell'attività produttiva, compatibilizzando il più possibile lo sfruttamento delle risorse comuni con lo scenario della crisi climatica.

 Lo sforzo delle lobbies è quello di inquinare il dibattito premendo perché lo scenario di policies che verrà disegnato a Copenhagen sia quanto più possibile interno alla logica di business e sviluppismo, seppure mascherato da un'aura di pragmatismo e buon senso.

 Non si tratta di altro, naturalmente, che di mantenere la presa sull'organizzazione geopolitica della produzione, allontanando ogni elemento che possa sovvertirla, criticizzarla o, comunque, diminuire il controllo su di essa: una falsa way out che in realtà è una pura “way in”.



[1]http://www.businesseurope.eu/Content/Default.asp?PageID=558.

[2] che, pur contando solo il 15% della popolazione mondiale, produce il 50% delle emissioni di CO2

[3]Stern Report, ,: “he benefits of strong and early action far outweigh the economic costs of not acting. [..] Climate change will affect the basic elements of life for people around the world [..] f we don’t act, the overall costs and risks of climate change will be equivalent to losing at least 5% of global GDP each year, now and forever [..] the estimates of damage could raise to 20% of GDP or more” (nota: GDP è l'acronimo inglese per PIL).

 

brussels