Un contributo di riflessione sull'esito delle recenti elezioni amministrative

Ortografia elettorale e sintassi del potere

di Paolo Cognini

14 / 6 / 2016

Vogliamo iniziare ad interrogarci sul tema dell'autonomia municipalista, in un dibattito che tenga dentro anche la questione dei nessi amministrativi. Vogliamo farlo al di fuori di ogni retorica e tatticismo, con la speranza di aprire, come Globalproject.info, una discussione vera sulla questione, che possa essere utile ai movimenti sociali ed a tutte le realtà che agiscono il terreno del cambiamento e rifuggono quello della salvaguardia dello status quo.

Se la tornata delle recenti elezioni amministrative doveva essere il primo banco di prova di una nuova grammatica del potere, quella degli assi verticali, delle "rivoluzioni dall'alto", dell'innesto organico dei movimenti nel campo istituzionale, della presa del governo "costituzionale" attraverso nuove formazioni partitiche che si attribuiscono la rappresentanza dei movimenti, bisogna dire che i risultati che ne sono derivati sono di una chiarezza estrema: quella grammatica è  rimasta senza sintassi,  straordinariamente incapace di produrre proposizioni,  periodi e, quindi, discorso. 

Dopo il ciclico e costante naufragio dei "nuovi soggetti della sinistra", e la repentina archiviazione della "Coalizione Sociale", la debacle elettorale di Sinistra Italiana, condannata alla rituale marginalità di qualche punto percentuale, completa il mosaico di un fallimento annunciato.  La prefigurata invasione di nuovi spazi politici e di potere è rimasta una velleità, frutto di una visione sostanzialmente fatalistica secondo cui la decompressione generata dalla crisi progressiva del Partito Democratico, chiaramente confermata nella tornata elettorale, libererebbe spazi  facilmente occupabili, pur in assenza di processi reali, attraverso meri dispositivi comunicativi. 

Invece in  tutte le piazze elettorali il neo-partito, che passerà alla storia per essere stato il primo partito a nascere dopo la costituzione del suo gruppo parlamentare, non è riuscito a travalicare il trend percentuale che oramai da anni marca lo spazio delle aggregazioni elettorali alla sinistra del PD. Anche dove Sinistra Italiana ha provato a diluirsi in coalizioni più  allargate, l'incremento percentuale ottenuto è stato minimale: il 7% di Coalizione Civica a Bologna non ha neppure recuperato quel 10% di voti che SEL aveva portato in dotazione alle elezioni amministrative del 2011, segnando, nonostante le aspettative di crescita collegate al diretto impegno elettorale di alcune realtà di movimento, un consistente arretramento, tanto più grave in una città in  cui la destra leghista conquista posizioni di primo piano. A ciò si deve aggiungere che il proposito, originariamente narrato come una discriminante politica, di voler rappresentare un'alternativa al PD ha avuto le gambe cortissime, considerato che già alla primissima battuta elettorale non sono mancate le alleanze con il partito di governo. 

Ma al di là di qualche punto percentuale in più o in meno, ciò che esce sconfitto dalle urne elettorali del 5 giugno è  un dispositivo teorico e politico, l'idea stessa che ha fatto da sfondo ai fallimenti seriali degli ultimi mesi. Tra analisi irrealistiche e nuovismo ideologico, si è  perseguita la prospettiva istituzionale rideclinandola come prospettiva strategica, anziché come strumento tattico piegato alle necessità dei movimenti e calibrato sul reale sviluppo dei processi di auto-organizzazione sociale e sulla loro autonomia. Una prospettiva che inevitabilmente finisce con il rovesciare i termini della questione, postulando come intercambiabili il protagonismo sociale con quello istituzionale, l'esistenza di una progetto sociale di cambiamento con il confezionamento di un programma elettorale. Oppure confondendo l'istituzionalizzazione dei movimenti con l'opportunità, quando e dove i rapporti di forza la producano, di de-istituzionalizzare strumenti ed articolazioni, ponendoli in contraddizione con la loro stessa funzione originaria, in un'ottica di costante destabilizzazione del campo istituzionale. 

Il rovesciamento dei termini della questione ha prodotto un piano inclinato dell'analisi che ha finito con l'alimentare visioni distaccate dalla realtà, all'interno delle quali la problematica del potere è tornata a riproporsi, al netto delle retorica,  nella dimensione più classica ed "ortodossa" dell'agire istituzionale, quella della conquista della stanza dei bottoni, della cabina di regia dalla quale sarà poi possibile produrre e governare i cambiamenti. Ma i processi reali sono un'altra cosa ed il problema del potere, ovvero quello della sua redistribuzione e quello del rovesciamento dei rapporti di forza, presuppone dinamiche di conflitti costituenti che devono svilupparsi nel sociale e che proprio nell'autonomia dal già costituito traggono la loro forza di cambiamento. Un'autonomia che non è il rifiuto ideologico dello strumento istituzionale, ma l'autonomia del progetto e delle dimensioni organizzative che ne derivano. E' all'interno di quella autonomia che è possibile vagliare gli spazi di agibilità e decidere tempi, modalità e strumenti per praticarli. 

La riflessione circa l'agibilità di uno spazio istituzionale, non può essere limitata al solo dato elettorale, ovvero alla concreta possibilità di accedervi, ma deve necessariamente comprendere la valutazione sulla sua efficacia e sulle reali potenzialità di funzionalizzazione allo sviluppo dei movimenti ed alla disarticolazione del campo istituzionale. Le variabili che condizionano questo livello di agibilità sono molteplici e non consentono di configurare una "modellistica" riproducibile a prescindere dalla diversificazione dei contesti teŕritoriali. La tematica dei cosiddetti nessi amministrativi  non può riprodursi nel tempo uguale a se stessa nonostante i profondi cambiamenti che,  nel corso degli anni, hanno radicalmente modificato il generale quadro politico ed economico. La crisi economico-finanziaria ed il suo utilizzo in funzione di una complessiva ridefinizione degli assetti di potere e di sfruttamento ha prodotto, anche su questo versante, una cesura, la chiusura di un ciclo delle prassi che nel tempo si sono addensate intorno al nodo dei nessi amministrativi. La deterritorializzazione dei processi decisionali, la pauperizzazione degli enti locali, la progressiva contrazione dei loro margini di autonomia ed i vincoli capestro del Patto di Stabilità hanno prodotto e continuano a produrre un cambiamento profondo delle condizioni materiali all'interno delle quali si colloca la tematica dei nessi amministrativi e la loro praticabilità. 

Probabilmente a fronte dei cambiamenti intervenuti il concetto stesso di "nesso amministrativo" risulta, oramai, inadeguato e superato. Le reali condizioni di agibilità di un'azione all'interno delle maglie istituzionali territoriali  necessitano di presupposti specifici, in assenza dei quali l'azione stessa rischia di rimanere orfana di prospettive ed ostaggio di ripiegamenti pericolosi.  Da questo punto di vista, l'avvio di processi di autonomizzazione delle articolazioni amministrative, la sussistenza di un'autentica dinamica di scontro tra il governo territoriale e quello nazionale, le prospettive di rottura del Patto di Stabilità e di insubordinazione ai diktat dell'Unione Europea, il riconoscimento dei percorsi di lotta e della loro autonomia organizzativa ed auto-normativa, la legittimazione delle pratiche conflittuali anche quando queste rompono i confini della legalità, la sperimentazione di pratiche dal basso di democrazia radicale nei quartieri, possono costituire il fondamento materiale e politico di nuove forme di agibilità efficace (nel significato sopra descritto)  del campo istituzionale territoriale. In questo senso più che di "nessi amministrativi" sarebbe il caso di parlare di "segmenti amministrativi" funzionali allo sviluppo di spazi "extra-ordinem", a loro volta utili alla crescita dei movimenti ed alla stabilizzazione costituente delle loro conquiste. 

Per queste ragioni l'unico dato interessante della recente tornata elettorale è quello che ci restituisce la città di Napoli, dove effettivamente l'intreccio delle condizioni necessarie a produrre tensioni e prospettive "extra ordinem", ha assunto una dimensione concreta e costituisce le premesse di un laboratorio reale, i cui esiti dovranno essere misurati nel tempo. Un laboratorio tanto più importante alla luce delle coordinate geo-politiche in cui si colloca, quell'area mediterranea e del sud dell'Europa oggi più che mai crocevia strategico di storie, interessi, pulsioni, rivendicazioni, desideri e, purtroppo, anche di morte ed ingiustificabile sofferenza.  La sperimentazione in atto nella città di Napoli e nei suoi quartiere dobbiamo avere la capacità di guardarla con oggettività e capacità di analisi, liberandoci di tutte le lenti distorte, a qualsiasi occhiale esse appartengano.  E senza perdere di vista le condizioni specifiche all'interno delle quali essa si è determinata, condizioni che, effettivamente, ad oggi disegnano quella che è stata definita un'anomalia. Il valore di un'anomalia sta proprio nella sua singolarità. Non ci si può autoproclamare anomali, bisogna esserlo e nell'esserlo si sviluppano le caratteristiche della propria singolarità. Nella straordinaria mania diffusa nel nostro Paese di fotocopiare modelli per appiccicarli nei contesti più improbabili, non sarebbe strano che nel volgere di poco tempo, con l'immancabile illusione di importare il modello vincente, cominciassero a spuntare "anomalie" elaborate a tavolino tra acrobazie teoriche e fantasmagoriche suggestioni. Ma le condizioni materiali, la capacità di cogliere le specificità rifuggendo i modelli precostituiti, la scelta di costruire ipotesi senza mai perdere di vista che, in fin dei conti,  l'unico modo di ridurre alla nostra portata l' "alto" che ci sovrasta è quello di  rovesciarlo facendolo rovinare a terra, faranno sempre la differenza.

E' innegabile la difficoltà nel nostro Paese di ricostruire le condizioni per un'opposizione sociale forte, in grado di aggredire le fondamenta di un sistema che produce morte, povertà e devastazione ambientale a ritmi impressionanti. Ma i palliativi non servono, anzi complicano e rendono ancora più difficoltosi i percorsi attraverso i quali è possibile tornare a sedimentare una progettualità che sia un agglomerato reale di idee, organizzazione e conflitto. E' necessario recuperare al più presto la capacità di analizzare le condizioni materiali per quelle che esse sono e non per come vorremmo che fossero sulla base delle prospettive individuali o collettive che ci siamo dati. Altrimenti rischiamo di dire cose senza senso o, semplicemente, funzionali ad interessi particolaristici. In queste settimane di grande conflittualità in Francia, che ci fanno pesare ancora di più la sostanziale pacificazione sociale che ha accompagnato l'approvazione del Job Act renziano, non è possibile non andare con il ricordo all'astrusita' di quelle analisi che, solo poco tempo fa, nel sostenere l'operazione landiniana della coalizione sociale, affermavano che la specificità italiana in Europa era proprio quella di avere pezzi forti di sindacato in grado, con la FIOM come asse trainante, di costruire una nuova alleanza di lotta tra studenti, lavoratori e non ricordo cos'altro.

L'inverno e la primavera di questo 2016 non hanno lesinato indicazioni chiare e convergenti circa l'assenza di prospettive di quella ipotesi politico-partitica velleitariamente alternativa al PD (addirittura nel governo del Paese) che si è trascinata fino alla finestra elettorale del 5 giugno, dalla quale è stato possibile osservarne l'ennesima caduta. La logica della difesa del risultato, la classica retorica d'ufficio che segue ad ogni tornata elettorale, non serve a nulla: può attutire l'immagine di un fatto, ma non può eliminare il fatto stesso. Sarebbe molto più utile assumere i dati che la realtà ci restituisce per ciò che essi sono, e metterli a valore in funzione di un reale ripensamento delle prospettive e delle categorie di analisi su cui esse si fondano.

Paolo Cognini