Ordinaria catastrofe

19 / 6 / 2012

La catastrofe, ormai è una citazione, consiste nel fatto che tutto continui ad andare come prima. Dopo l’ossessiva campagna perché la Grecia salvasse l’euro e la civiltà negando il voto alla malvagia sinistra syriziana – campagna che è stata l’idea-forza fra le famose “idee di Repubblica”, il Sole platonico che illumina e riscalda le Idee –, beh, adesso tutto sembra andare come prima. La borsa di Milano perde il 2,85% il lunedì dopo la festa e l’ineffabile organo di Mauro e Scalfari ammette che «il voto in Grecia non allenta dunque la tensione sui debiti pubblici periferici: lo spread torna ad allargarsi e sale a quota 465 punti base. I Btp volano oltre il 6% e i Bonos spagnoli sfondano il muro del 7% e per la prima volta i titoli spagnoli rendono più di quelli irlandesi. In rialzo anche i tassi dei bund tedeschi vicini a quota 1,5%». La crisi non si è risolta rimettendo le redini del governo greco in mano al partito (Nea Dimokratía) che aveva truccato i conti e scatenato lo sfacelo del bilancio nel 2009. E la Merkel si è affrettata a rimangiarsi tutte le promesse che erano state spese con soave licore per attirare voti ai truffatori della destra ellenica. Toccante l’esultanza per il risultato non solo dei berluscones, vorrei vedere, ma di Monti, Pd, Repubblica, Corriere e compagnia berciante. Peccato, davvero peccato che tutto sia rimasto eguale: speculazione dilagante, scazzi Eu-Usa, crollo della propensione al risparmio, spread in salita, discesa del Pil italiano, credit crunch, disoccupazione. Non era colpa di Syriza, allora. Vuol dire che è colpa della Merkel. E naturalmente dei sindacati che, assai flebilmente, pretendono di “correggere” (mica di stoppare) la riforma del mercato del lavoro. Anzi, diciamolo, la colpa è degli esodati. Che esodassero una volta per tutte, che si togliessero dai coglioni, ora che serve remare tutti insieme a Monti, dritti nel maelström.

Soprattutto, che non si voti, per carità, altrimenti finiamo come in Grecia, dove Samaras ha vinto, ma difficilmente riuscirà a formare un governo duraturo. E soprattutto finisce che M5S di Grillo ci porta via tutte le greppie di governo e sottogoverno. Il gregge partitico si agita e si sono dileguati sia i pastori che i maremmani da guardia. Il Pd ha accettato la paralisi parlamentare (dato che la maggioranza fantasma del PdL blocca alle Camere perfino l’austerità montiana, elettoralmente troppo logorante), accettando di farsi carico dei prezzi di un’austerità senza uscita dalla crisi, e aspetta con un visibile terrore il sorpasso da parte dei grillini, già al 20% nei sondaggi. A quel punto, visto che nel 2013 si voterà ancora con il Porcellum, Bersani dovrà aggrapparsi alla foto di Vasto (un bell’ovale cimiteriale, ormai), perché nel frattempo il Centro casiniano, già Terzo Pollo (con 2 elle), si sarà praticamente dissolto, peggio che Bayrou in Francia. E intanto giù schiaffi: la Fornero che paragona il massacro dei pensionati all’amputazione di una gamba in cancrena, Polillo che accusa gli operai di starsene in ferie tre mesi all’anno, lo sfigatissimo Michel Martone che continua a fare l’ilare testimonial dei valori meritocratici al Ministero del Lavoro.

Per l’immediato, pesa sulla sinistra parlamentare (e sulle sue code extra-parlamentari e sull’area sindacale) il ricatto del voto sul mercato del lavoro, dove la “mediazione” è di lasciarlo così com’è e approvarlo di corsa entro il mese per peggiorarlo in un secondo tempo con provvedimenti collaterali. Messa così una croce sull’art. 18 e sulla contrattazione nazionale, a brevissima scadenza si delineano scelte ancor più rovinose. In primo luogo l’approvazione del fiscal compact, che rende operativo e sanguinoso lo sciagurato inserimento alla chetichella in Costituzione del pareggio di bilancio, imponendo tagli programmati alla spesa pubblica, licenziamenti nel settore statale, smantellamento del Welfare e inasprimenti fiscali (si scoprirà che la prima rata dell’Imu erano rose e fiori). In attesa che sia la Germania a sganciarsi dall’euro o a sganciarne i paesi mediterranei, occorrerebbe invece immaginare e imporre un’agenda alternativa all’austerità che, nel migliore dei casi, accompagnerà una stagnazione di lungo periodo, nel peggiore scalerà un nuovo gradino della crisi produttiva e finanziaria. Questo è il punto, non improbabili concorsi alle primarie.

Non saranno le timide revisioni montiane all’ottusa strategia della Merkel e neppure le interessate pressioni elettorali di Obama a bloccare la crisi, ma solo un rovesciamento drastico della logica finanziaria e deflattiva oggi condivisa da tutti i governi europei (facciamo credito del dubbio a Hollande per il momento), dalle reticente socialdemocrazia tedesca e dal Pd – che, più che altro, non sa che pesci prendere. Ricontrattazione del debito, investimenti selettivi, ampliamento della quota del Pil spettante ai salari, reddito universale di cittadinanza, assunzione statale di responsabilità nel settore bancario (che dei fondi pubblici è ormai parassitario): sembrerebbero le misure minima di natura riformista per contrastare la catastrofe incombente. Su un programma analogo, in circostanze drammatiche ma che rispetto alla Spagna e a noi sono soltanto in anticipo, Syriza sta costruendo un’opposizione responsabile e convalidata dal consenso che ci potrebbe essere di esempio. Altrimenti, la predizione benjaminiana sulla banalità continuativa della catastrofe si realizzerà sul piano economico, mentre il crollo irreversibile dei partiti parlamentari aprirà la strada agli esperimenti più penosi e velleitari: l’ascesa dei grillini o di non meno squallide liste civiche ispirate alla «Repubblica delle idee», albe per fortuna non dorate, Feltri, Brambilla, Santanchè...

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