Olanda - Oltre la “resistenza”…

La mobilitazione in Olanda contro la nuova legge “anti-squat”

16 / 11 / 2010

Quello che sta succedendo in Olanda nelle ultime settimane merita senza dubbio un po’ di attenzione. Cerchiamo di fare una breve ricostruzione e alcune considerazioni. Il percorso politico organizzato intorno alla questione del diritto alla casa, i grandi cortei e i riot con cui il movimento degli squatter olandesi, i “kraakers”, aveva scosso in profondità la società olandese e in particolar modo la città di Amsterdam, avevano spinto, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, il governo e le istituzioni a legalizzare sostanzialmente la pratica dello squatting. Il diritto alla casa è stato dunque per anni considerato più meritevole di tutela rispetto al diritto di proprietà. Spinta massiccia e radicale dei movimenti, reazione delle istituzioni. Se però in un primo momento la legalizzazione ha rappresentato una risposta politica imposta dalle lotte sociali, nel corso degli anni ha vittoriosamente dato vita a un processo di “depoliticizzazione” in grado di indebolire progressivamente il potenziale di conflitto che quelle lotte possedevano e che avevano saputo esprimere nel cuore della socialdemocrazia europea. Per più di vent’anni comunque i giovani olandesi hanno avuto la possibilità di occupare centinaia di case a patto che fossero vuote da più di un anno. Se la legalizzazione ha dato vita a una forte “normalizzazione” del movimento e delle sue istanze politiche è anche vero che la città di Amsterdam è tutt’ora innervata da decine di centri sociali e culturali che fungono da piccole fucine di socialità e cooperazione quotidiana almeno potenzialmente in grado di creare vie di fuga dal pervasivo disciplinamento delle vite messo in atto dal welfare olandese. Una specie di mondo parallelo in cui c’è la possibilità di difendersi dalla noia, dal torpore e dalla prevedibilità di una città-museo dove fratture sociali e contraddizioni sembrano a volte inesistenti.

Quello olandese è un modello che nonostante il superamento del paradigma fordista – l’imporsi del capitalismo cognitivo e della messa a valore della cooperazione e della creatività raggiungono qui livelli avanzatissimi – ha mantenuto quasi intatto il vecchio nesso del welfare americano ed europeo reddito/disciplina. Quello di garantire attraverso l’intervento statale livelli alti di benessere materiale in cambio di ampie rinunce sul piano della libertà e dell’autonomia, è stato un dispositivo altamente efficace nel tentativo di plasmare efficacemente i processi di soggettivazione dei giovani olandesi e prevenire l’esprimersi di forme di conflittualità radicale. Un dispositivo più che mai necessario in tempi in cui lo sviluppo del capitale si trova, in modo come al solito irrisoluto, alle prese con la cattura e la costante messa a valore della creatività e della cooperazione e nello stesso tempo impegnata ad arginarle per prevenirne la capacità di produrre conflitto e autonomia.

In questa cornice apparentemente pacificata però sembra che stia accadendo qualcosa di nuovo. Dopo anni di sostanziale tolleranza legislativa e poliziesca la scorsa maggioranza di centro, cui è recentemente succeduta la coalizione di centro-destra appoggiata dal partito populista di estrema destra di Geert Wilders, ha approvato una legge che rende lo squatting illegale a tutti gli effetti, criminalizzando di conseguenza centinaia di occupanti di case e centri sociali in tutta l’olanda. La scelta sembra quella di affrontare in termini tipicamente repressivi e criminalizzanti un fenomeno sociale diffuso come lo “squatting”. La decisione di approvare la nuova legge si presenta come in linea con l’ondata di politiche populiste, legalitarie, ,escludenti anziché includenti, e securitarie che stanno attraversando ora anche il nord-europa. Strategie di controllo che le nuove destre nordeuropee come quella olandese e svedese mettono in campo riproducendo modelli che negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in paesi come la Francia e l’Italia sono ormai radicate da anni e che ad Amsterdam, come succede del resto anche in Italia, hanno trovato l’entusiastico favore del neoeletto sindaco socialdemocratico Van Der Laan. Non è dunque una boutade di qualche politico autoritario. Si tratta invece di un segnale, trasversalmente trasmesso da destra e da sinistra, che l’Olanda, pur resistendo per ora alla crisi anche grazie alla relativa solidità del suo assetto welfaristico e pur rappresentando per molti versi un’isola felice dal punto di vista delle condizioni di benessere economico, si avvia a intraprendere la strada che porta come dice Loic Wacquant dallo stato sociale allo Stato Penale. Forse l’Olanda non arriverà presto alle incarcerazioni di massa, alla massiccia criminalizzazione di intere categorie di soggetti o di comportamenti non tollerati e alla produzione e utilizzo della paura come principale strumento di governo dei soggetti, ma il segnale resta comunque inequivocabile, soprattutto se consideriamo a tempo stesso le durissime leggi contro l’immigrazione e il progetto del leader xenofobo Wilders di inasprirle ulteriormente. La direzione intrapresa dalla legge “anti-squat” è di marcare nettamente i confini tra normale e patologico, tra ciò che può essere tollerato e maternalisticamente concesso e ciò che va etichettato estraneo alle regole di un presunto “ordine sociale”, tra ciò che viene catturato e riportato funzionalmente dentro il patto sociale anche se critico e alternativo e ciò che viene criminalizzato e represso perché può contenere i semi di una eccessiva conflittualità. Un progetto di controllo sociale dove il carattere altamente “simbolico” dei dispositivi messi in campo emerge, così come succede in Italia, in modo estremamente chiaro. Anche qui, come del resto in gran parte dei paesi occidentali, il capitalismo ha mostrato negli ultimi anni il suo volto più parassitario: ha codificato e assorbito di continuo la potenza emanata dalle relazioni, dalla creatività, dalla comunicazione e dalla cooperazione sociale e, nel caso del movimento degli squatter, ha cercato per molti anni di utilizzarne la carica innovatrice per il suo stesso sviluppo.

Come succede spesso però il governo, la cattura o l’utilizzo di alcune qualità umane come quelle afferenti alla conoscenza, al linguaggio e alla relazione - tutte così difficilmente scindibili dai concetti di libertà e autonomia – è un operazione tutt’altro che pacifica e lineare. Quella grande rete di socialità, quel micro-mondo parallelo creato dagli “squatters” in città ha prodotto per anni un’innovazione sociale non osteggiata, anzi spesso riassorbita dalle istituzioni, soprattutto perché erano riuscite, anche grazie alla “legalizzazione”, a fiaccarne il potenziale politico conflittuale. Depotenziare però non vuol dire sconfiggere. La “criticità” e la cooperazione che si produce e si sedimenta negli anni, per quanto possa essere arginata o riassorbita dai dispositivi di potere, può comunque sempre e in ogni momento trovare la strada per sgorgare fuori trasformandosi velocemente in innovazione e conflitto sociale difficilmente assorbibili e tollerabili. Ci sono molti segnali che ci comunicano le possibilità che possono aprirsi per questo movimento, anzi che questo movimento può aprire organizzandosi. Il 1 ottobre una partecipata manifestazione ha percorso le vie del centro e per ore riots e scontri con la polizia hanno messo in scena nel centro di Amsterdam qualcosa che non si vedeva da anni. Le assemblee e le iniziative successive sono andate a mio avviso nella direzione giusta: tentare di porre le basi di una mobilitazione comune costruendo reti cittadine, mostrando chiaramente che il punto non è semplicemente la difesa del proprio spazio fisico e rifiutando nettamente il tentativo mediatico di divisione tra buoni e cattivi, tra violenti e pacifisti. Lunedì 8 novembre, in seguito all’annuncio del sindaco dell’imminenza dei primi sgomberi, un’altra grande manifestazione ha percorso le vie del centro partendo dallo “Schijnheilig”, un centro sociale molto attivo in città nell’organizzare dibattiti e iniziative culturali e artistiche, terminando davanti alla sede del Comune. Durante la nottata successiva alcuni militanti hanno barricato alcuni palazzi e una via intera, Schoolstraat, costringendo la polizia, accorsa all’alba per lo sgombero con una mobilitazione di forze senza precedenti, a terminare le operazioni di sgombero soltanto dopo 6 ore. Ciò che forse però conta ancora di più è che decine di persone sono coinvolte ogni giorno in uno di quei processi di “politicizzazione” dove cooperando insieme ci si rende conto di quanto urgente sia cominciare a trasformare bisogni e desideri in rivendicazione politica. I segnali dunque ci sono e fanno pensare che questa legge e il generale tentativo di criminalizzazione che comincia a serpeggiare in Olanda intorno a squatters, militanti politici e migranti, possa essere inteso come un’opportunità politica di aprire una riflessione collettiva sulle politiche del nuovo governo sostenuto dagli xenofobi, sulle strategie di criminalizzazione di quelle “diversità” non riassorbibili, sull’affacciarsi della crisi economica anche sulla scena olandese (un esempio sono i recenti tagli nel mondo della formazione e della ricerca e l’adozione di criteri più rigorosi per l’erogazione del welfare ). Più in generale sul ruolo che i movimenti possono giocare sulle inevitabili trasformazioni che sono destinate a mutare dopo tanti anni l’assetto “socialdemocratico” dello stato e del mercato olandese. Tutto ciò senza nostalgie per il passato. Senza atteggiamenti meramente difensivi e resistenziali, ma costruendo e rilanciando un nuovo e più aperto piano del discorso politico. Un dibattito affiancato da nuove pratiche politiche e culturali, capaci di ridefinire nel modo più strategico il campo di battaglia dove si scontrano i nostri desideri, la nostra voglia di autonomia e l’arrogante e parassitaria logica che muove i loro interessi.