Obviously, in your backyard.

Di Federico Di Traglia [1], Danilo Di Genova [2]

22 / 3 / 2011

The great beyond: il ritorno del nucleare e dell'anti-nuclearismo

Il Cesio 137 (137Cs) è un isotopo radioattivo che si origina solo nelle reazioni delle centrali nucleari.

Se si considera che il suo tempo di dimezzamento (tempo necessario per dimezzare la quantità di un isotopo radioattivo) è 30 anni, possiamo affermare che è necessario minor tempo per farci ricordare di quanto siano fragili le centrali nucleari. Sono passati 25 anni dal 26 aprile 1986, da quando il reattore 5 della centrale atomica di Cêrnobil esplose, rilasciando su tutta Europa la miscela di sostanze radioattive prodotte nei processi di fissione nucleare [1][2].

In risposta a quell'evento, sicuramente eccezionale ma da non considerare come irripetibile, in Italia prese vita un movimento anti-nuclearista che riuscì a vincere un referendum, abolendo di fatto la presenza delle centrali atomiche sul suolo italico.

Di recente si è tornato a parlare di ritorno del nucleare in Italia e tiepide voci fuori dal coro si sono alzate in questi anni, senza che queste riuscissero realmente a cambiare i rapporti di forza tra l'avvento del nucleare a la contrarietà assoluta all'energia atomica.

Come 25 anni fa, una nuova catastrofe nucleare, le cui dimensioni sono ancora ignote al momento attuale, ha fatto risorgere un forte movimento anti-nuclearista che sta portando nuovamente l'Italia verso un referendum anti-nuke. Per intenderci, prima delle esplosioni ai reattori di Fukushima il referendum contro il nucleare era considerato solo come “secondario”, in termini di capacità di presa di massa, rispetto ai quesiti referendari sull'acqua come bene comune. Ora, veder saltare in aria l'involucro esterno dei reattori giapponesi ha provocato un tale sussulto di stomaco, che lo stesso governo “nuclearista” Berlusconi ha dovuto fare un passo indietro rispetto alle scelte fatte.

Come è stato detto però il ritorno della “voglia di nucleare” ha anticipato di qualche anno il nuovo movimento anti-nuke. Ma di quanto? Sarebbe facile far coincidere la data di ritorno del nucleare con le decisioni in materia energetica del Governo Berlusconi. Bisogna invece tornare indietro nel tempo, almeno al 28 settembre 2003, data del blackout che fermò per almeno un giorno l'Italia.

La versione ufficiale fu che “a causa di un nubifragio straordinario si spezzarono i cavi di collegamento elettrico con la Francia e la Svizzera”. Questo può voler dire due cose: 1) che l'Italia importa il 100% dell'energia da altri paesi; 2) che l'Italia importa parte dell'energia da altri paesi ma che la notte le centrali italiane sono spente. Oppure, che il blackout del 2003 è stato lo “shock” necessario per tentare di cambiare il sistema di produzione di energia in Italia. Come sei anni dopo a L'Aquila, la shock-economy sembrerebbe essere il miglior mezzo che il capitalismo ha per fare grandi profitti nel Bel Paese.

Il problema irrisolto: le scorie

Esplosioni a parte, i rischi legati alla produzione di energia atomica sono molteplici. Si tratta infatti di rischi legati alle “normali” fuoriuscite di materiale radioattivo dagli impianti, perlopiù non segnalati ma riscontrati in alcuni studi geochimici sui suoli nelle aree limitrofe alle centrali nucleari, e dalle cosiddette scorie.

Gli scarti dell'industria dell'atomo sono però di tre tipi: scarti di estrazione, poco nocivi e che riguardano i paesi produttori di uranio (Australia, Canada, etc); scarti di arricchimento; scorie di produzione.

Gli scarti di arricchimento sono legati alla concentrazione di Uranio-235 (235U), il combustibile nucleare che fa parte delle “barre” delle centrali, con conseguente scarto di Uranio-238 (238U), l'isotopo dell'Uranio poco utile alla fissione nucleare. Il prodotto di scarto è quindi arricchito in  238U o meglio, per chi ha memoria storica, “impoverito” in 235U. Si tratta infatti del famoso “uranio impoverito” delle bombe lanciate dalla NATO su Belgrado durante la guerra del 1999 ed oggigiorno sulla Libia. Metodo pratico di smaltimento utilizzato dagli USA.

Le cosiddette scorie nucleari sono invece le barre esauste, ovvero incapaci di produrre energia, ma ancora cariche di tutto il loro potenziale radioattivo. Per questi scarti non sono stati trovate adeguate sistemazioni. In ogni paese si parla di “siti di stoccaggio”, ma nessuno ha trovato fin'ora siti adeguati a lungo periodo (migliaia di anni per il tempo di dimezzamento degli isotopi più longevi). Non ci sono riusciti negli USA, dove il sito del Nevada ritarda ad essere “ufficializzato”, perché localizzato in una zona vulcanica quiescente (potenzialmente attiva [2]). Non si è riusciti neanche in Italia, dove il “sito unico” di Scansano Ionico è stato scartato dopo sollevazione di massa. Si parlo allora di sindrome NIMBY (Not In My BackYard, non nel mio giardino), per sminuire l'insorgere della popolazione locale, mentre poco si è detto su come venne scelto il sito. Dietro ad una maschera di scientificità, consistente nel definire idonei i siti dove esistevano strati di rocce saline (“auto-sigillanti”) ricoperte da grossi spessori di rocce argillose (impermeabili), si è nascosto la “svendita” del paese da parte del Sindaco di Scansano Ionico alla SOGIN, la società incaricata dello smaltimento.

Quindi, se escludiamo la soluzione intrapresa da alcuni imprenditori italiani in collaborazione con le mafie nostrane di inabissare le scorie nel Tirreno, una reale soluzione al problema ancora non è stata trovata.

Se il meccanismo s'inceppa: Three Mile Island, Cêrnobil, Tokai-mura

Il pericolo maggiore è comunque legato alla possibilità di grandi incidenti nelle centrali. Tre sono gli esempi storici ma non sono gli unici [3].

Mentre gli incidenti di Three Mile Island e di Cêrnobil si verificarono negli impianti di produzione energetica [4][5], l'incidente del 1999 a Tokai-mura (Giappone) si verificò negli impianti di produzione del combustibile nucleare (le barre). Questo a testimonianza che l'intero processo di produzione di energia atomica è potenziale sorgente di pericolo ambientale [6].

Non solo se la terra trema: la localizzazione delle centrali e la sicurezza ambientale

La crisi ancora in corso della centrale di Fukushima ci pone di fronte ad un problema eccessivamente sottovalutato: la scelta dei siti delle centrali. Partendo dalla consapevolezza che la decisione di accettare o no una centrale su un territorio parta dalla volontà della popolazione che vive il territorio, restano comunque dei vincoli dai quali non ci si può, o potrebbe, sottrarre.

Le centrali nucleari necessitano infatti di terreni “geologicamente stabili”, ovvero nei quali sia garantito un quasi-nullo livello di pericolosità naturale. Bisognerebbe innanzitutto porsi il problema di quanto lungo dovrebbe essere questo tempo ma partiamo invece da un'altra considerazione: quali pericolosità naturali vengono considerate? Generalmente si considerano zone asismiche e idro-geologicamente sicure (ovvero senza rischio frana o alluvioni). In pochi hanno considerato che uno tsunami è in grado di bloccare i sistemi di raffreddamento di una centrale, come è invece avvenuto a Fukushima.

Oltre la green economy

Chi è a favore dell'energia atomica pone sul piatto della bilancia questioni legate alla dipendenza di altri fonti esauribili (combustibili fossili) o dell'eccessiva produzione di CO2 nel sistema di produzione di energia solare (CO2 prodotta durante il ciclo di produzione-riciclo della silice dei pannelli solari). Gli ovvi svantaggi economici del nucleare sono ampiamente trattati in altre sedi mentre la potenziale durata dei giacimenti di petrolio (recentemente aumentata da nuovi enormi giacimenti [8][9]) farebbe cadere nella scelta di quale squadra tifare, se l'ENI (idrocarburi, in gran parte libici) o ENEL (nucleare).

Quello che più interessa è l'avanzata al di là delle Alpi e oltreoceano, di una forma di capitalismo legata allo sfruttamento delle energie rinnovabili, la cosiddetta “green economy”. È bene precisare che lo sfruttare le fonti rinnovabili per perpetuare un sistema di produzione di “surplus” è cosa ben diversa dalla gestione comune del territorio e dell'utilizzo di sistemi di sostenibilità ambientali. I primi infatti hanno un solo fine: aumentare i profitti degli investitori e le rendite di chi è  proprietario dei terreni su cui costruire gli impianti.

La gestione comune del territorio e la scelta di una sostenibilità ambientale sono al contrario cambi radicali di direzione che, pur mantenendo la consapevolezza della necessità di energia in una società tecnologicamente avanzata, punta alla gestione comune delle risorse e allo sviluppo della società oltre il profitto e la rendita.

[1] Geologo Università di Pisa

[2] Geologo Università Roma Tre

Bibliografia

[1] Chernobyl’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus, the Russian Federation and Ukrain. The Chernobyl Forum: 2003–2005, Second revised version. http://www.iaea.org/Publications/Booklets/Chernobyl/chernobyl.pdf

[2]Grégoire Dubois e Marc De Cort, 2001. Mapping 137Cs deposition: data validation methods and data interpretation. Journal of Environmental Radioactivity, 53, 271-289.

[3] Connor, C.B., J. Stamatakos, D. Ferrill, B.E. Hill, G. Ofoegbu, and F.M. Conway, 2000, Volcanic hazards at the proposed Yucca Mountain, Nevada, high-level radioactive waste repository Journal of Geophysical Research, 105: 417-432. http://www.cas.usf.edu/%7Ecconnor/home/pubs/connorJGR_2000.pdf

[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_nucleare

[5] Trevor Kletz, 2001. Learning from accidents. Editore Butterworth-Heinemann, 255pp.  http://training.nigc.ir/files/files/ben%20saeed%20book%20hse/safety%20books/s15.pdf

[6] Cernobyl, il costo umano di una catastrofe. Un rapporto di Greenpeace - 18 aprile 2006. http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/rapporti/cernobyl-2006.pdf

[7] D. Bellis, R. Ma, N. Bramall, C.W. McLeod, 2001. Airborne emission of enriched uranium at Tokai-mura, Japan. The Science of the Total Environment, 264, 283]286

[8] http://www.oilandgasinsight.com/file/89908/new-giant-subsalt-oil-find-further-reinforces-santos-basin-promise.html

[9] Mario Carminatti, Breno Wolff, Luiz Gamboa, 2008. New Exploratory Frontiers in Brazil. 19th World Petroleum Congress, Madrid, Spain.

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