Dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul parere "obbligatorio" delle Regioni

Nucleare ed energie rinnovabili, tra referendum e territorio

Una iniziativa per un'alternativa comune in campo energetico

4 / 2 / 2011

Lo scorso mercoledì 2 febbraio la Corte costituzionale si è pronunciata sul “quesito di costituzionalità” posto dalle regioni Toscana, Puglia ed Emilia Romagna, cassando l'articolo 4 del Decreto attuativo la legge del 2009 sul nuovo programma nucleare previsto dal governo Berlusconi.
Si tratta, in sostanza, della bocciatura di quella norma che escludeva il parere delle Regioni dal procedimento per la scelta dei siti dove realizzare le nuove centrali. Si badi bene, la decisione dell'Alta Corte è salomonica, cioè dà un colpo al cerchio e uno alla botte: ora, dopo il suo pronunciamento, il parere delle Regioni diventa “obbligatorio” cioè deve essere espresso e valutato dal Governo, ma poi questo stesso parere non è “vincolante” per lo Stato centrale, che può perciò infischiarsene e procedere comunque alla costruzione dell'impianto, anche di fronte ad un parere regionale negativo.

Tuttavia, ad un paio di settimane dal pronunciamento di ammissibilità per il referendum che ha come obiettivo proprio l'abrogazione di quella stessa legge, la decisione della Corte testimonia di una irrisolta tensione, qui anche sul terreno giuridico-formale del diritto costituzionale, tra processi di governance autoritaria, nella centralizzazione statuale delle decisioni politico-amministrative, e diffusa rivendicazione di autonomia e partecipazione, in particolare per quelle scelte che direttamente hanno a che fare con la vita e la salute delle popolazioni locali e con l'uso del territorio.

Per quanti ritengono un'anacronistica follia il ritorno all'energia atomica nel nostro Paese, il pronunciamento della Corte è una formidabile occasione per rimettere – letteralmente – “con i piedi per terra” il dibattito sul nucleare.

Sarebbe inutile nascondersi come tutta la vicenda referendaria in materia avesse creato, nell'ultimo anno, e continuasse a creare oggi un certo imbarazzo. Il popolo italiano si era già chiaramente espresso per l'abbandono della tecnologia nucleare con i referendum vinti nel 1987 e la validità di quel voto andava difesa con le unghie e coi denti. A differenza di quanto accaduto con i referendum per l'acqua bene comune, la raccolta firme non nasceva da un percorso di mobilitazione dal basso, diffuso e consolidato, ma dall'iniziativa, in larga parte strumentale, di un partito (Italia dei Valori) a caccia di qualche ulteriore consenso. Nel frattempo, la tattica di Enel e Governo, che hanno fin qui evitato accuratamente di esplicitare l'indicazione dei siti destinati alle future centrali, aveva ritardato lo svilupparsi di nuovi movimenti antinucleari a livello locale, che potessero divenire protagonisti anche della battaglia referendaria. L'ammissione, a fianco dei due referendum contro la privatizzazione del servizio idrico integrato, del quesito sul nucleare poneva invece, e pone, a tutti la necessità – al di là della sua spuria genesi – di affrontare e di provare a vincere anche questa partita. Foss'anche solo per il rischio di legittimazione a posteriori del programma nucleare del Governo che il mancato raggiungimento del quorum, in questo caso, comporterebbe. Si trattava, e si tratta, a questo punto, di lavorare per costruire uno spazio pubblico, il più ampio ed unitario possibile ed il più possibile affrancato da primogeniture e cappelli partitici, capace di farsi carico nel suo insieme della campagna referendaria - sul modello cioè del Forum dei movimenti per l'acqua - e di stabilire con quest'ultimo produttive interrelazioni.

La decisione della Corte ci aiuta anche ad affermare che il luogo in cui costruire questo spazio pubblico, in movimento, dell'iniziativa antinucleare è il territorio.

Sottraendo il dibattito sulle scelte energetiche, nella crisi, all'astrattezza del confronto mediatico tra opzioni equivalenti. Anche perché, su quel piano, la disparità dei mezzi che possono essere messi in campo è schiacciante. Basti pensare, tanto per cominciare, ai sei milioni di euro spesi come se fossero noccioline da Enel ed Edf (l'ente energetico francese, leader europeo e partner strategico nei programmi atomici) per la campagna di propaganda manipolatoria, ideata e condotta da un immarcescibile Chicco Testa, a colpi di spot televisivi, pagine dei quotidiani e totem in stazioni ed aeroporti, sotto l'ingannevole etichetta di “forum nucleare italiano”.

Ma non deve sfuggire pure come riportare nel territorio – in ciascuna dimensione locale e regionale interessata - la battaglia contro il nucleare, per le energie rinnovabili e pulite, per una loro gestione decentrata ed indipendente, porti con sé una contingente ed immediata valenza politica.
E' evidente, infatti, come le due regioni più di altre candidate, per ragioni morfologiche (sismicità) e di approvvigionamento idrico (la prossimità al fiume Po), ad ospitare siti atomici – ovvero il Piemonte (con l'area, nel Vercellese, compresa tra Trino e Saluggia) e il Veneto (con il Delta, Chioggia e Cavarzere, il Polesine e la Bassa Veronese con Legnago) – siano oggi i gioielli più preziosi del bottino leghista, i territori governati e i bacini di gran parte del consenso elettorale dei “padani”. I luoghi, quindi, di una possibile dirompente contraddizione tra gli obiettivi del programma nucleare governativo e la retorica del “paroni a casa nostra”.
Una contraddizione di cui le oscillazioni del veneto Zaia sono la vivente testimonianza: ministro del governo Berlusconi, nel 2009, ha votato senza batter ciglio la norma, oggi cassata, che sottraeva agli Enti locali (regioni in primis) qualsiasi competenza in materia di individuazione dei siti; presidente, oggi, della Regione dichiara – come già aveva fatto in campagna elettorale - “nucleare sì, ma non in Veneto, perché troppo densamente popolato e già autosufficiente dal punto di vista della produzione energetica”, senza però far seguire, alla chiacchiera a mezzo stampa, alcun atto formale che allontani dal Veneto lo spettro del nucleare.

Insomma, le condizioni per aprire una campagna vera che, riprendendo le prime generose e riuscite iniziative della “rete veneta contro il nucleare” (penso alla partecipata manifestazione del 4 settembre scorso alla Mostra del cinema del Lido di Venezia, al lavoro avviato da tante e tanti a Chioggia, come a Cavarzere e Legnago), magari immagini una proposta di legge regionale d'iniziativa popolare – mutuata sull'esempio di quella nazionale – per favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili e pulite; e che cerchi di legarsi a questioni radicate a livello locale (penso alle tante lotte contro lo sfruttamento indiscriminato a fini energetici delle risorse idriche nelle nostre montagne, così come a quelle contro l'abuso del ricorso alle “biomasse” nelle nostre campagne) e alla possibilità di orientare le scelte di alcuni governi locali (penso alla necessità di indirizzare con forza l'Amministrazione di Venezia, ad esempio, verso l'attuazione di un vero e proprio Piano energetico comunale, fondato sul risparmio e l'impiego massiccio del fotovoltaico).

Bene, di tutto questo si potrebbe subito cominciare a discutere, a partire da un incontro pubblico che, come Lista “in comune” di Venezia (già impegnata a livello cittadino nella battaglia antinucleare, vedi il link: http://consiglio.comune.venezia.it/pdf/1/2812.pdf ), intendiamo promuovere entro il mese di febbraio a Mestre.
Ci sono tutte le condizioni, credo, per evitare che l'oscena agonia del berlusconismo ci regali pure lo sperpero di miliardi di euro di pubbliche risorse nella pericolosa avventura del ritorno all'atomo. Così come ci sono tutte le condizioni perché possa invece affermarsi la ricerca di una comune alternativa energetica, che accompagni il definitivo congedo dall'era dei combustibili fossili e sperimenti, a partire dalle nostre città e territori, un modello di produzione pulita, indipendente e direttamente controllabile da tutte e tutti. Basta volerlo.