Il dibattito sullo scandaloso rifiuto dell'election
day ha sortito l'effetto di far emergere per un giorno sui principali
media nazionali il fatto che i referendum verranno celebrati. Tale è
stato il silenzio che ha accompagnato fin qui la nostra battaglia che
ancora la scorsa settimana un esperimento su una classe universitaria di
circa 200 studenti in giurisprudenza ci ha rivelato che soltanto dieci
fra loro sapevano che si sarebbe votato sull' acqua. Il cammino verso il
quorum è davvero difficile, anche se la campagna sta cominciando a
decollare. Il Comitato «2 sì per l'acqua bene comune», per esempio, ha
approntato un bellissimo «kit dell'attivista», scaricabile dal web e
contenente materiali e informazioni essenziali per diffondere il nostro
messaggio.
Presto inoltre saranno disponibili bandiere referendarie
da appendere ai balconi, una forma di diffusione del messaggio
estremamente importante nel silenzio assordante dei media. Da questo
punto di vista, ci sembra che perfino le un po' ambigue «invasioni di
campo» di Di Pietro, che comunque gode di una visibilità mediatica che
come movimento non abbiamo, abbiano comunque il pregio di far sapere che
i referendum ci sono, cosa forse più utile, in questa fase, rispetto al
rivendicarne la paternità.
Occorre continuare a governare la
campagna elettorale accogliendo i contributi di tutti in un cammino che
deve trasformarsi in una grande marcia capace di coinvolgere cittadini
di ogni estrazione e credo politico. Il dibattito sull'election day e
sui soldi sperperati al fine di far saltare il quorum ci ha mostrato che
il popolo sovrano è ancora capace di indignarsi. Non possiamo
accontentarci di aver sollevato politicamente la questione. Si tratta
ora di dare veste giuridica ad un'istanza di ragionevolezza che
coinvolge tutti e che non può non vincolare il governo. Che fare?
Forse
ancora una volta quel grande bene comune nazionale che è la nostra
Carta fondamentale può indicarci la via. Infatti, lo spreco non può
essere parte di una discrezionalità politica e amministrativa. Quei 300
milioni potrebbero essere utilizzati per riparare i greti dei fiumi,
evitando future catastrofi (con danni inestimabili). Ciò dimostra come
la buona amministrazione abbia un potenziale moltiplicatore del valore
dei denari pubblici che, come quei 300 milioni che vengono dalla
fiscalità generale, appartengono a tutti i cittadini e non al ministro
pro tempore. L' art. 97 della Costituzione introduce il principio del
«buon andamento e dell'imparzialità» della pubblica amministrazioine. In
questa luce, sprecare 300 milioni è costituzionalmente ammissibile?
Sprecarli poi per per un disegno di parte, quello di rendere invalido il
referendum, è ancora più grave e dimostra la totale parzialità
dell'azione amministrativa. Contro l'ammissibilità il governo si era
infatti già costituito davanti alla Corte Costituzionale, esercitando
una propria prerogativa. E lo abbiamo sconfitto. La Corte ha risposto
che i referendum sono ammissibili, dando ragione a noi. Il governo non
può adesso prendersi una rivincita extra ordinem, dilapidando denaro
pubblico al solo scopo di evitare che il popolo sovrano si esprima
secondo Costituzione. C'è una macroscopica violazione della struttura
dell'art. 75, che contiene un favor nei confronti dell'espressione
diretta della sovranità popolare. Insomma, la discrezionalità
politico-amministrativa non si spinge fino al diretto e arbitrario
contrasto con le scelte costituzionali vigenti.
Potremmo chiedere a
Napolitano di intervenire, ma tirare troppe volte per la giacca la
Presidenza della Repubblica non è politica saggia in una logica di
responsabilità costituzionale. Ma non siamo senza rimedi. Il Comitato
referendario è infatti un organo costituzionale dello Stato per tutta la
durata del processo referendario. Può quindi sollevare di fronte alla
Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione fra poteri dello
Stato. Stiamo studiando la questione. 300 milioni di denaro pubblico
valgon bene il rischio di questa partita, che comunque renderebbe ancora
più chiara a tutti l'irresponsabilità di chi ci governa. Siamo pronti a
tornare di fronte alla Consulta, perché si scrive acqua ma si legge
democrazia.
No all'election day, ricorriamo alla Consulta
9 / 3 / 2011