Nelle borse, nelle strade

11 / 8 / 2011

Ho saputo che i disordini erano scoppiati anche a Brixton quando sulla metropolitana hanno annunciato che il treno non avrebbe fermato in quella stazione: era chiusa per “vandalismo”. Nel frattempo i disordini si erano sparsi in varie parti della città e a Tottenham, a pochi passi da dove vivo, si sentiva ancora l'odore di bruciato nell'aria. Le macchine incendiate erano state rimosse in fretta, ma avevano lasciato lunghe sagome annerite sull'asfalto.

“Negli altri paesi le rivolte scoppiano per domandare democrazia o far cadere un governo, qui scoppiano per assaltare i negozi”, afferma un amico anglosassone quando infine lo raggiungo a Brixton. Joe mi accompagna a vedere il negozio di attrezzature elettriche Currys a un centinaio di metri da casa sua. Lo hanno saccheggiato poche ore prima. Non c'è molto da vedere oltre alle solite vetrine infrante, serrande abbassate ormai inutilmente, un mucchio di merce calpestata sulla soglia.

Quella sera le sirene urlanti, elemento già fin troppo tipico nel paesaggio sonoro della capitale, riempiono le strade. Le volpi del boschetto in fondo alla strada, che di solito col buio si avventurano fuori, schizzano via al passaggio di ogni convoglio di polizia. In tivù un notiziario sta facendo il punto sugli avvenimenti globali con un montaggio di immagini in diretta: a un tratto, una piccola epifania. Sullo schermo diviso in due si vede da una parte un edificio in fiamme a Croydon, Londra sud, dall'altra la campanella di chiusura della borsa di New York alla fine dell'ennesima giornata nera. Il caos per le strade e il tonfo finanziario. L'accostamento ha qualcosa di così emblematico da lasciare muta, per qualche secondo, persino la voce del loquace commentatore.

Il rapporto diretto fra speculazioni finanziarie e impoverimento delle fasce deboli, fra politiche economiche e disperazione giovanile, è un argomento lampante e viene usato da più parti, in questi giorni, per abbozzare letture politiche degli avvenimenti inglesi. Mentre i tabloid invocano la tolleranza zero, gridano allo scandalo dei baby-rivoltosi (“Un saccheggiatore di 7 anni!” era il titolo di una recente copertina) e applaudono la polizia quando usa maniere forti, l'opinione pubblica liberal si interroga sul fallimentare contesto economico-educativo in cui crescono i ragazzi dei quartieri difficili.

Gli amici politicizzati mandano link di analisi rivoluzionarie. In tutta Europa, come in occasione di altre sommosse di strada, varie voci salutano l'avanguardia della sollevazione prossima ventura. Letture a cui sfugge, forse, il carattere scivoloso dei fatti inglesi. La velocità con cui la protesta per l'uccisione da parte della polizia del giovane Mark Duggan si è trasformata in una cronaca di saccheggi, incendi e atti vandalici estranei a ogni ordine simbolico – i negozi colpiti erano a volte di grandi catene, molte altre negozietti a conduzione familiare – parla di un tipo di sommossa che si beffa delle analisi, delle letture, delle sovrastrutture politiche e degli stessi ordini simbolici.

Su Youtube, i video di Grime Report celebrano questa obliquità tra politico e non politico, tra ciò che è possibile militanza e ciò che è la semplice appartenenza a una gang. Grime è il nome del genere musicale, una forma di hip-hop, sviluppato da anni nei ghetti londinesi. I video in questione mostrano montaggi di immagini delle rivolte e dei luoghi devastati con il sottofondo di brani incalzanti. Un nuovo genere a metà tra il videogiornalismo e il videoclip. Sempre su Youtube, ha fatto scalpore il video di un ragazzo ferito durante le sommosse. Sputa sangue sull'asfalto. Alcuni dei saccheggiatori si avvicinano, sembrano volerlo aiutare, mentre altri in realtà si avvicinano da dietro, gli aprono lo zaino e lo derubano con noncuranza. Il video, nella sua banalità, ha qualcosa di disturbante: seppure riferito a un episodio isolato, sembra delineare un orizzonte di singoli all'attacco, senza molta solidarietà reciproca.

Chi vive a Londra conosce la cronaca quotidiana di omicidi, aggressioni, coltellate che hanno per protagonisti gli adolescenti della città. Gli adolescenti girano per i quartieri, sfaccendanti, con le loro scarpe da ginnastica bianchissime, assorbendo le contraddizioni di un'intera metropoli, di un'intera società. Quando l'inquietudine trova la scintilla per diventare disordine, ecco che l'evento prende forma quasi di estremo flash-mob, happening del qui e ora, sfogo febbrile a metà tra la disperazione di chi non ha nulla da perdere e il rito anarchico-liberatorio. Spaccare tutto è appagante. Questi ragazzini “senza coscienza” non fanno ciò che il nostro inconscio di adulti occidentali, di fronte agli scricchiolii macabri del sistema, sempre più spesso sogna di fare?

Croydon brucia, le borse crollano. Criticabili o meno, dotate di rivendicazioni ideali oppure occasioni di saccheggio vigliacco, le sommosse urbane – plurali, con pulsioni diverse, intrecciate tra loro e a volte indistinguibili – sembrano avere un'aria drammaticamente inevitabile. Ken Livingstone, ex sindaco di Londra, dice in tivù che questi ragazzi “non pensano di fare parte di questa società”. In fondo non siamo a casa di Margaret Thatcher? La profetessa del neoliberismo, colei che affermava: “La società non esiste.”

[pubblicato su Il Manifesto, 11 agosto 2011]