Morire impiccati o impiccare il boia.

(Una semplice frase contro l'eroina su un manifesto dei centri sociali nei primi anni novanta).

12 / 9 / 2018

È tutto il giorno che aspetto di arrivare a casa e scrivere qualcosa sul post ipocrita di Vicenza ai vicentini e sul conseguente articolo dei "geni" del Giornale di Vicenza sui "tossici" che si bucano in campo Marzo.

Vicenza

Poi, entrando in casa, ho letto quello che ha scritto Massimo Fagarazzi (scrittore vicentino ndr) e ho pensato che quelle fossero proprio le parole che mi ronzavano per la testa per tutta la giornata.
La loro ipocrisia che grida al "randello" ha lo stesso volto di questa regione fatta di arroganza, disperazione e grigiore.
Parole sante...

Oggi, mentre lavoravo, mi passavano continuamente in loop le immagini degli ultimi strascichi dell'eroina a Vicenza, gli amici più grandi che parlano dei loro fratelli portati via dalla "roba", le "spade" al parchetto della Stanga infilzate sugli alberi da ragazzi poco più grandi di me, trasformati in zombie, le centinaia di siringhe in fila nelle aiuole dei vicoli delle Barche, dove accompagnavo mio padre Attilio nei suoi servizi fotografici.

Le scritte sui muri dei Punx della Stanga e la bacheca della Voce del Ribelle facevano metaforicamente a pugni con gli spacciatori di morte, cercavano di aprire uno spazio libero dalla morte, la cassetta di Lou X nel mio walkman ribadiva martellante che «l'eroina è merda che sa di vaniglia», mentre ancora qualche conoscente ci cascava, sapendo di giocare con la morte alla roulette russa.

Non sono mai riuscito a vedere il tossico come un nemico, aveva avuto troppe volte il volto di un conoscente, del figlio del giornalaio, del fratello dell'amico di infanzia; era un volto sbiadito e in guerra con se stesso per cui provare umanità, rabbia che si mescolava a solidarietà. 

Non mi sono mai piaciute nemmeno le elucubrazioni mentali sul perché una persona si facesse: disperazione, povertà, disillusione o una terribile voglia di conoscenza del confine più lontano e impervio.

La "roba" sì era nemica e doveva starci distante, come gli spacciatori di morte rincorsi nel buio delle prime occupazioni dei centri sociali, la distanza che si materializzava con i pugni in faccia per coloro che provavano a portarla in mezzo a noi. 
Era come il "potere", era come la polizia, qualcosa che si doveva combattere e che non doveva appartenere al sogno di una società diversa.

Ora, la spettacolarizzazione del "tossico" ad uso e consumo mediatico e politico è diventata uno strumento per raccogliere like e per quello che riguarda questi "signori" l'importante è che ci si buchi a casa propria o nascosti agli occhi della gente, che si muoia da soli sotto qualche ponte, ma non in mezzo a quello che dovrebbe tornare "il salotto buono" della città.

Non importa a nessuno di coloro che aizzano la canea mediatica che ormai la droga sia uno strumento perfettamente armonizzato nella società odierna, sia all'interno dei ritmi di lavoro che all'interno dello "sballo" del sabato sera. 
Non importa che in cantiere si tiri cocaina per aumentare i ritmi di lavoro e che magari dopo ci si faccia una boccetta di valium per frenare l'adrenalina.
Non importa che nelle case dei nostri vicini, nei quartieri popolari, ci sia la spola a comprare eroina da parte di gente disperata, che non ha niente a cui aggrapparsi in questa società.

Non è un problema che ogni giorno si possa incontrare il proprio boia se questo non mette in discussione il sistema produttivo di questo territorio che, come scrive Fagarazzi, si regge «sull' ipocrisia del benessere, affari, arroganza, basi militari, fiere, capannoni e cemento».

Lo «schifo che non può continuare» scrive Vicenza ai Vicentini riferito alla prossima «guerra al degrado da scatenare a campo Marzo». Per me lo schifo che deve finire non è quello del tossico che si fa una pera, ma quello di questa società malata dove ognuno muore solo, dove sfruttamento e povertà non sono un problema, dove si vive sotto un ponte urtando solo la sensibilità di coloro che, dall'alto del proprio benessere, non faranno altro che difendere il loro piccolo centimetro di ricchezza convinti che muri e filo spinato terranno povertà e disagio lontani dalla loro vista.

Il problema è quello di una società malata, che per reggersi deve aumentare le disparità sociali.

Allora preferisco indignarmi perché ci sono case vuote e tanta gente senza casa, salotti impomatati e ghetti, lavori di merda per proletari e ricchi da far schifo, mafiosi che frequentano i salotti buoni e poveracci in galera; e via di questo passo.

Preferirei allora, che invece di morire impiccati, andassimo tutti insieme a impiccare il boia!