La Regione Veneto taglia tutti i fondi. Solo il Comune di Venezia e il volontariato degli attivisti garantiscono i servizi minimi per la sopravvivenza

Mestre - Sulle strade dei senza dimora con la cooperativa Caracol

Fame, gelo, miseria e solitudine. Per tanta, tanta gente il natale non sarà una festa.

19 / 12 / 2012

C’è un momento, verso le dieci di sera, in cui la temperatura scende repentinamente di 4 o 5 gradi. Dei deboli raggi del sole invernale non rimane neppure il ricordo in fondo a quella strada senza uscita e senza luminarie, sotto quel porticato disfatto che, se non ti cade in testa, forse ti risparmierà da un po’ di pioggia o di neve, o in quell’angolo di piazza dove ti sei costruito un rifugio di cartone con gli avanzi dei mercatini natalizi. Sono tutte cose che già sai e che hai già imparato negli altri inverni passati su una strada. Sai già che questa è l’ora delle luci che si spengono, l’ora del freddo assassino. Sai già che la carta di giornale sopra il quale ti prepari a passare la notte non ti difenderà dall’umidità che traspira dall’asfalto bagnato. Sai già che i quattro stracci luridi che indossi e che non ti hanno risparmiato dal freddo neppure in pieno giorno, non ti salveranno adesso dal gelo che ti ammala e ti ammazza. Per te si prepara un’altra notte come tante altre. Con la sola differenza che ogni notte è sempre peggio. L’inverno avanza e con lui il buio, il gelo, la solitudine, la fame. Perché, nelle nostre città dove non manca mai un albero di natale illuminato nelle piazze centrali, per le strade delle periferie si continua a morire di freddo.

È proprio nel momento in cui il gelo ti stringe le carni sino ad ammazzarti che alla stazione di Mestre arrivano i compagni della cooperativa Caracol. Sono in tutto una decina, scendono da una scassato pulmino portando scorte di coperte, termos con bevande calde, merendine e altri generi di conforto. Indossano una specie di giubbotto arancione da stradino (non ci sono certo soldi per una vera divisa) ma che per i senza dimora di Venezia è diventato un segno di riconoscimento che fa la differenza tra la vita e la morte. “Oramai abbiamo il nostro giro consolidato col pulmino che ripetiamo tre o quattro volte per notte - spiega Momo, portavoce della cooperativa che ha sede all’interno del centro sociale Rivolta di Marghera -. Alla stazione troviamo di solito una sessantina di persone che ci attende. Non abbiamo posti per tutti, al ricovero. Diamo la precedenza ai malati, alle donne, ai bambini...” Bambini? Sulla strada? 

“Dove vivi? Certo che ci sono bambini sulla strada. Tanti minori che si autogestiscono ma soprattutto sotto natale troviamo sempre delle madri con figli di due o tre anni. Anche infanti mi è capitato. A loro diamo sempre la precedenza e li portiamo al caldo. Ovviamente, il giorno dopo mi attacco al telefono e spacco le palle anche alle pietre sino a che l’assessorato, il Comune, il sindaco, il patriarca, o San Pietro in persona non gli trova una sistemazione decente”. 

Conosco Momo da un bel po’ di tempo e vi assicuro che come rompe le palle lui su questioni come queste, non le rompe nessuno. Ogni inverno mi faccio un dovere di trascorrere qualche notte con la cooperativa Caracol - che per inciso ha assunto questo nome dai liberi municipi organizzati dal sub comandante Marcos (praticamente ogni attivista della Caracol ha trascorso due o tre estati in Chiapas a sostenere la rebeldia zapatista). Trovo l’esperienza estremamente educativa per capire quale siano i veri problemi della città e che, guarda caso, non sono mai quelli dentro le agende politiche dei nostri onorevoli e non finiscono mai in prima pagina nei giornali che contano. La domanda che faccio sempre a Momo è: quale è la new entry di questo inverno? Ci sono stati i cassaintegrati, gli sfrattati che dormivano in auto, i rovinati dalla slot machine... E quest’anno? “Le donne. Soprattutto donne dell’est, ex badanti che hanno perso il lavoro perché l’anziano che accudivano è morto o perché le famiglia non poteva più permettersi di pagarle. Sono loro le ‘nuove facce‘ della povertà“. Il clochard tradizionale, mi spiega, oramai non esiste più da qualche anno. Sono sempre meno. Gli alcolizzati, magari con problemi psichici alle spalle, hanno vita breve sula strada.

”Il ricambio viene da persone che fino a poco tempo fa facevano una vita normale. Li vedi subito, alla stazione. Si avvicinano a noi timidamente. Vestono in maniera decente o quasi e cercano di darsi un contegno. Ci tengono a giustificarsi e raccontano che la loro è una situazione di bisogno temporanea. Quasi sempre si illudono, purtroppo”. 

“Noi cerchiamo di fare quello che possiamo per tutti - prosegue Momo -. Soprattutto non obblighiamo nessuno. Chi vuole viene con noi e chi vuole prende la sua coperta e rimane là”. Perché qualcuno dovrebbe rifiutare la vostra assistenza? “Nelle strade c’è tutto un mondo che è difficile, se non impossibile, comprendere appieno. C’è chi ha teme che se lascia libero il suo giaciglio non lo recupera più. C’è chi è alcolizzato e ha bisogno di stare vicino ad un supermercato perché mezz’ora prima l’orario di apertura vuole già essere là, davanti all’entrata, per procurarsi il suo cartoccio di vino. C’è chi ha problemi mentali, chi ha paura e non si fida, chi non parla l’italiano e non capisce chi siamo, chi occupa spazi abusivi e teme che la polizia lo sgomberi...” E aggiunge: “Al massimo, quando il freddo è eccessivo e non possiamo portare tutti al ricovero, avvisiamo l’assessore Sandro Simionato che, va detto a suo onore, si fa in quattro per chiamare le Ferrovie e far aprire la sala riscaldata della stazione”. 

Momo non lo dice, ma qualche anno fa, di fronte ad un rifiuto delle Ferrovie dello Stato, i ragazzi del Rivolta hanno aperto la porta della sala d’aspetto riscaldata! Da quella volta comunque non ci sono più stati incomprensioni con le Ferrovie. La lotta paga. Soprattutto quando si fa dura.

Va sottolineato comunque che il Comune di Venezia gioca un ruolo importante e cosciente di fronte all’emergenza freddo. Al contrario della Regione Veneto di marca leghista che ha tagliato qualsiasi fondo per l’assistenza ai senza casa, dirottandoli a quel genere di “feste culturali” tanto amate dai padani tipo la “sagra dei osei” dove si celebra la caccia agli uccelli con le reti da richiamo, vietata dall’unione Europea che non manca mai di affibbiare al veneto qualche multa meritata e salata. La Caracol si mantiene grazie ai finanziamenti del Comune di Venezia ma soprattutto grazie all’attivismo e al volontariato dei suoi sostenitori. In un Veneto dove i sindaci leghisti anche quando danno il panettone ai poveri si accertano se questi siano di razza padana, la città lagunare è rimasta l’unica ad offrire assistenza a chi ne ha bisogno senza distinzione di razza o di colore. Qui i vigili non bastonano i mendicanti accucciati in stazione come ho personalmente visto fare due anni fa nella Verona di Tosi (il che mi è costato una litigata furiosa con i due prodi “tutori dell’ordine” con conseguente invito a  “mostrare miei i documenti” e domanda del “ma lei perché non si fa i cazzi suoi?”) 

Il risultato è che la stazione di Mestre è diventata un ricovero per tutti i senza dimora del Veneto e se ci prendi un treno di sera non ti manca mai di sentire l’imbecille di turno che ti commenta di quanto questo luogo sia sporco e mal frequentato “al contrario della stazione di Verona”. Al che vi lascio solo immaginare la mia risposta.
“Così vanno le cose. Ma che ti devo dire? - mi fa Momo - Io preferisco mille volte avere a che fare con queste persone, molte dei quali posso chiamare amici, che con chi va in Tv a fare la voce grossa su questioni di sicurezza, pericolo clandestini, xenofobie varie e altre fesserie. Cioè... mi domando: sono particolare io o anche tu la pensi così?” Sta tranquillo che sono le persone “particolari” come te quelle che rendono il mondo un posto degno di essere vissuto e non certo chi mi  toccava vedere nel teleschermo, prima che buttassi via la Tv. 

“Fatto sta che per noi è sempre più dura. Le risorse sono poche e le spese come la benzina, il riscaldamento, i generi di prima necessità aumentano”. Già ma voi siete tipi tosti, giusto? “Più ce le danno e più teniamo duro! La Regione non ci da più un soldo? tanto peggio. Gli abbiamo risposto di andare...” Sì, ho capito dove... “e ci stiamo attrezzando per aumentare il numero di posti letto da 24 a 30, e offrire altri servizi come pasti caldi, corsi di lingua con la scuola Liberalaparola, medicine, docce due volte alla settimana, anche se non siamo gente che obbliga gli altri a lavarsi. E oggi, tanto per continuare in gloria, abbiamo organizzato un bel festone natalizio con tanto di panettone e spumante, grazie ai ragazzi dell’Osteria del Rivolta che hanno cucinato gratis”.

Ci sono andato ed è stata davvero una bella festa. Oltre agli attivisti del Rivolta e della Caracol c’era una sessantina di senza dimora. “Vedi come stanno cambiando le cose - mi ha detto preoccupato il consigliere Beppe Caccia intervenuto come rappresentante del comune assieme a Flavio del Corso presidente della municipalità di Marghera - Di clochard vecchio stile ce ne sono due o tre. Gli altri sono tutte persone che stanno conoscendo solo ora la miseria e la vita di strada. Operai che hanno perso il lavoro, cassa integrati, ex badanti dell’est che non hanno neppure i soldi per tornare in patria. Ascolta qualche loro storia che hanno tanto da insegnare”. Così ho fatto. Ho parlato con Andrej, studente dell’est con una media da capogiro all’università di Venezia ma che vive in strada perché, pur essendo iscritto ad architettura, non ha i documenti in regola e non può fare domanda per la casa dello studente. Poi c’è Paolo, italianissimo, che vendeva protese dentarie e aveva rapporti con tutti gli studi dentistici del veneziano. Dopo il divorzio è arrivato lo sfratto e la crisi gli ha tolto il lavoro. Vive in un’auto parcheggiata in via Fratelli Bandiera che non può muoversi perché non ha più un soldo per pagare il bollo di circolazione. Per curarsi le carie, va a mettersi in fila all’ambulatorio che Emergency ha messo in piedi a Marghera. Sergej invece è russo. Lavorava in una piattaforma in mezzo al mar Baltico e guadagnava una vagonata di rubli. La caduta dell’Unione Sovietica lo ha riportato a terra solo per scoprire che i suoi rubli non valevano più niente e che sua moglie che viveva con un altro uomo e gli aveva cambiato la serratura di casa. Allora è partito per la Spagna a cercare lavoro. Qui a Venezia, mi spiega è solo di passaggio, perché un tecnico del suo valore lo stanno aspettando a braccia aperte. La stessa storia che mi aveva raccontato tre anni fa, mentre aspettava la sua coperta alla stazione di Mestre. Mentre faccio finta di credergli ripenso a quello che mi ha appena detto il saggio (che non sa di essere saggio) Momo. Meglio questa gente a tutti quei musi di cac... ma no, diciamo pure di merda che contrabbandano idee vili, razziste e fasciste davanti alle servili telecamere dei nostri telegiornali.