Mestre "capitale" dell'eroina? L’unica sicurezza reale è investire nel welfare e riaprire gli spazi abbandonati

Sabato 30 luglio il flash mob lanciato dal comitato Marghera Libera e Pensante vicino alla stazione di Mestre, per ribaltare una narrazione che parla solo di degrado cittadino, spaccio e “bivacco”

1 / 8 / 2022

Sabato 30 luglio il comitato Marghera Libera e Pensante, con la partecipazione di diverse organizzazioni, ha dato vita a un flash mob presso il sottopasso ciclopedonale della stazione di Mestre per prendere parola sul dibattito che nell’ultimo periodo ha ricominciato a far parlare sulle parole d’ordine che spesso interessano questo luogo: degrado cittadino, spaccio e il cosiddetto “bivacco”.

La mobilitazione è partita proprio da queste parole, per approfondire un tema cittadino che da anni soffre letture e soluzioni semplicistiche da parte delle commissioni comunali e municipali. È stata indicata la realtà di un problema complesso che intreccia abbandono cittadino e taglio dei servizi di welfare.

La città di terraferma assume da qualche anno il triste primato di capitale dei morti di overdose per eroina: questo ci parla di una sostanziale inadeguatezza e di una mancanza di strategia da parte dell’Amministrazione nell’affrontare le complesse problematiche sociali emerse in questi ultimi anni. Il mancato intervento dei servizi nelle aree di spaccio e utilizzo delle droghe comporta il completo abbandono di questi spazi. Il "mercato" di Mestre offre la possibilità, acquistare sostanze a pochi euro arricchendo le narcomafie che gestiscono la rete di spaccio.

Se da un lato il disinvestimento nei servizi assistenziali dimostra il disinteresse dell’Amministrazione nei confronti delle fasce della popolazione più in difficoltà - si veda la recente notizia che il serD di Mestre perderà altri medici -, dall’altro lato l’unica risposta da parte della giunta fucsia di Brugnaro è stata la campagna securitaria che in questi ultimi sette anni non ha fatto altro che implementare la militarizzazione dei luoghi cittadini.

Un approccio ideologico e sbrigativo che, secondo quanto sta riportando la stampa locale, non si smentisce neanche nelle ultime settimane. Dall’alto del Comune e del Comando Antidroga è stata istituita una commissione specifica per affrontare il problema del degrado nella zona della stazione di Mestre. Il sopralluogo dei delegati che hanno visitato il sottopasso è stato accuratamente anticipato da una profonda ripulitura del luogo, presidiato per giorni dai quad della Polizia e liberato con secchiate d’acqua fredda da chi la notte vi trova rifugio.

Ciò dimostra che a preoccupare l’Amministrazione è altro: la trasformazione di questa città in una grande macchina commerciale che si fa bella della propria immagine, a cui deve essere garantita un adeguato “decoro urbano”. Risultato? Le cosiddette “zone grigie”, dove nascono situazioni fuori controllo, vengono spostate dagli occhi della città: eliminate, murate, sgomberate, represse. Abbandono diventa sinonimo di soluzione definitiva.

È il paradosso dell’indifferenza: diversi spazi pubblici giacciono da anni nel completo abbandono delle istituzioni, le stesse che si premurano di murare tutti questi “buchi neri” o, nella migliore delle ipotesi, consegnarli nelle mani di privati invece che recuperarli e aprirli alla cittadinanza. Lo sa bene il Laboratorio Climatico Pandora, uno spazio occupato lo scorso novembre da un gruppo di giovani della città di Mestre, nato in uno stabile abbandonato da più di 10 anni nella zona dell’ex ospedale Umberto I, tutt’ora lasciata all’incuria.

Anch’essi presenti al presidio di sabato, hanno sottolineato che «nessuno bada al fatto che per una donna o una soggettività queer ogni luogo di questa città è un luogo insicuro, a qualsiasi ora della giornata; nessuno bada al fatto che, di fronte a centinaia di spazi e case chiuse, chi dorme sul ciglio della strada, o nel loro lessico “bivacca”, lo fa perché non gli viene assicurato il diritto all’abitare. Tutti parlano di movida giovanile e baby gang, nessuno parla della società malata in cui stiamo crescendo noi giovani, nella tenaglia psicologica tra due anni di pandemia e una guerra mondiale in corso, senza alcun sostegno psicologico o servizio di assistenza».

La richiesta portata avanti dal flash mob ha una base di partenza molto chiara: la volontà è che qualcuno che si occupi davvero dei cittadini, che dia loro una risposta soprattutto nelle zone più in difficoltà. E ad essere cittadini sono anche - e soprattutto - le fasce più marginalizzate, quelle a cui dovrebbero essere garantiti servizi e assistenza, ma che troppo spesso sono colpevolizzati delle loro difficoltà invece che avvicinati.

Ripensare ad un welfare cittadino adeguato, sconfiggere l’abbandono recuperando e riaprendo alla cittadinanza i famosi “buchi neri”, finanziare soluzioni reali ed organiche che garantiscano un futuro ai giovani della città: questa è la sicurezza di cui c’è bisogno, perché quella pensata finora non ha mai funzionato.