La Campania verso una nuova crisi. Intanto si sperimentano pratiche nuove.

Meeting point con la monnezza

di Antonio Musella

11 / 9 / 2010

“..è un ballo un po’ strano non ha un ritmo italiano
non si chiama tucatuca non l’ha inventato Celentano
è una danza che richiede una certa agilità
che consiste nello sfuggire alla cosiddetta autorità…”

99 Posse – Fujakka

Quando quasi due anni fa Berlusconi dichiarò di aver ripulito Napoli dai rifiuti, in molti, da tante parti d’Italia ci chiedevano come si era svolto il miracolo. Come aveva fatto l’unto del signore a fregare tutti. Erano ancora di là da venire la verità sulla cricca e sugli interessi speculativi e criminali dietro la gestione delle emergenze.
Quello che risolveva i problemi ed ora non riesce a risolvere i suoi, Guido Bertolaso, sembrava aver utilizzato la bacchetta magica. Intanto il crollo del centro sinistra che da tempo immemorabile (1993…) governava i principali enti locali della città di Napoli e della Regione Campania, lasciava spazio all’arrivo di coloro che promettevano rilancio e sviluppo.[1]
L’amico dei camorristi, come racconta la magistratura, Luigi Cesaro divenne presidente della Provincia di Napoli, un po’ dopo Nicola Cosentino, frequentatore degli stessi ambienti dovette rinunciare alla candidatura alla regione per gli scandali di quella che poi e’ stata ribattezzata P3, lasciando comunque a Stefano Caldoro del Pdl la presidenza della Regione Campania.
Intanto gli affari di Anemone & C. erano venuti fuori, l’indignazione di quelli che alle 3 e 32 non ridevano hanno colpito come uno tsunami Guido, il cocco di Propagande Fide, il cocco del Papa che in pieno scandalo gli dà udienza al Vaticano, il cocco di Gianni Letta.
Lascia la scena, almeno per ora. Bertolaso ha lasciato la gestione dell’affare rifiuti a Napoli, ormai lontano ricordo dei fasti berlusconiani, alle Province ed alla Regione, a Cesaro e Caldoro, annunciando da un lato la fine strutturale dell’emergenza rifiuti dall’altra indicando i tempi per l’andata a regime definitivo.
Proprio in quel decreto che vide stralciata la riforma della Protezione Civile in S.p.a. sotto la spinta dei movimenti, la gestione della patata bollente in Campania passava agli enti locali.

Intanto fino anche al Parlamento Europeo ed alla Commissione Europea si erano resi conto di come questa storia della monnezza a Napoli non fosse potuta cessare cosi’ in un sol colpo. Il blocco di 500 milioni di euro di fondi europei, sotto richiesta di petizionari appartenenti ai comitati di lotta campani contro il piano rifiuti, rappresentava una botta significativa alla nuova gestione di centro destra del ciclo rifiuti in Campania. I deputati europei giungono in Italia ad aprile 2010, visitano le discariche, gli inceneritori, i depositi di ecoballe. Quello che si sentono dire dai “nuovi” amministratori azzurri è che “l’emergenza non è finita”. Ma come Bertolaso non aveva detto il contrario appena a febbraio 2010 ?

Arriva l’estate del 2010 e si costruisce un curioso triangolo tra la commissione europea che ha compreso perfettamente che una nuova emergenza è alle porte, gli amministratori regionali e provinciali che non riescono a negare l’evidenza dovuta all’assenza di un piano sul ciclo integrato dei rifiuti, ed i comitati che propongono invece un piano alternativo senza discariche ed inceneritori. Il luogo è la sede della Ue a Bruxelles, è il 15 luglio quando si “confrontano” tra urla ed accuse i comitati di Terzigno, Chiaiano ed Acerra, l’assessore regionale all’ambiente Giovanni Romano e la commissione petizioni del Parlamento Europeo con Erminia Mazzoni ed Andrea Cozzolino tra Judith Merkies e Margarethe Auken..
Ognuno secondo le proprie ragioni ed i propri interessi. Gli esponenti delle istituzioni europee preoccupati solo del fatto che non si ripetano le scene da emergenza rifiuti in Campania che facciano il giro del mondo, gli enti locali e gli eurodeputati italiani preoccupati, ma del tutto incapaci, di mantenere consenso e soprattutto interessi intorno al ciclo integrato dei rifiuti, ed i comitati sempre più convinti della necessità conclamata di un piano rifiuti alternativo fondato sul trattamento meccanico biologico ed una norma quadro sulla raccolta differenziata e la riduzione a monte dei rifiuti.

Il tira e molla da Bruxelles si trasforma in un vero e proprio vortice che comincia a girare a velocità da trottola ma sottotraccia, in silenzio. L’Europa minaccia di non sbloccare i 500 milioni di euro destinati alla Campania, che davanti ad una crisi globale come quella che viviamo sono indispensabili, di contro la stessa Regione si dice pronta a presentare in fretta e furia un piano rifiuti capace di accogliere tutte le osservazioni – un’enormità – fatte dalla commissione petizioni del Parlamento Europeo.

Ed è qui che si svela finalmente l’incipit della nostra cronistoria recente ed aggiornata della crisi rifiuti in Campania.

Già perché dopo il decreto 90 del maggio 2008[2], in pratica non è stato fatto nessun tipo di intervento strutturale !
La prima legge dell’attuale governo Berlusconi – quello che sapremo poi essere il primo di una lista lunghissima di decreti – apriva tra le altre le discariche di Chiaiano, Savignano Irpino, Sant’Arcangelo Trimonte, Ferrandelle, Terzigno, Serre, l’inceneritore di Acerra e dava il via a quelli di Salerno, Ponticelli (quartiere ad est di Napoli). In seguito, quest’anno, è stata decisa anche la costruzione di un inceneritore a Giugliano in provincia di Napoli per distruggere le famose ecoballe non a norma.

Da allora nulla è stato fatto, programmato, concertato, studiato e messo all’opera. Nessun piano rifiuti è stato presentato, nessuno studio sulle alternative proposte dai comitati è stato effettuato. La monnezza si e’ continuata a sversare esattamente come prima i queste enormi buche sparse per la Campania. La raccolta differenziata passava a Napoli città dal 9% del 2008 al 17% del 2010, avendo solo sulla carta alcuni quartieri dove il metodo di raccolta è esclusivamente quella differenziata senza prevedere più il cassonetto in strada (Colli Aminei, Chiaiano, San Giovanni a Teduccio). Obiettivo distante dal quel 25% stabilito per legge come obiettivo in due anni.

Ciò che è avvenuto è semplice e sconcertante : le discariche si sono quasi completamente esaurite, nessun intervento strutturale è stato affrontato e ci troviamo alle porte di una nuova emergenza ![3]

Secondo i dati del Arpac e della Provincia di Napoli che gestisce attraverso la Sap.Na[4] le discariche del territorio provinciale, i siti di Chiaiano e Terzigno hanno pochi mesi di autonomia.[5]

L’assessore regionale all’Ambiente Giovanni Romano si è chiuso in un silenzio imbarazzante dall’inizio del mese di settembre. Poco da dire forse…anche perché le province, attraverso i loro presidenti, hanno fatto sapere proprio al ritorno dalle vacanze di non essere in grado di stilare i piani dei rifiuti provinciali chiedendo addirittura una proroga del commissariamento !

A febbraio Bertolaso aveva detto che tutto era finito, ad aprile gli enti locali dicono che l’emergenza non è finita, a settembre chiedono il ritorno del Re. Che non tornerà a meno di colpi di scena eclatanti. Infondo la Campania è stata tenera con lui dal punto di vista delle inchieste giudiziarie, che esistono come il processo Rompiballe ad esempio, ma seguono tempi biblici.

La sola proposta che è stata partorita dalle menti eccelse della “azzurra” regione Campania è l’allargamento delle discariche esistenti. Ampliamo.

Chiaiano e Terzigno innanzitutto.
L’impressione che rende tutto ancora più angosciante è il sospetto che in realtà gli apprendisti stregoni della giunta Caldoro non sappiano proprio che pesci pigliare. La proposta per Chiaiano è un ampliamento di 100 mila tonnellate più ulteriori 200 mila. Siamo nell’ordine di non più di sei mesi di autonomia nel caso in cui la sciagurata idea di ampliare Chiaiano vedesse la luce. Inoltre date le difficoltà delle conformazione urbanistica della zona – la Selva di Chiaiano – l’investimento sarebbe di una consistenza sproporzionata al reale vantaggio.

Ampliare per andare avanti sei mesi significa non avere la benché minima prospettiva di essere in grado di risolvere strutturalmente l’affare rifiuti.

Altro che bacchetta magica !

Il popolo della ribellione di alcuni anni fa a Chiaiano, ha messo radici sul territorio, è entrato in una dimensione diversa, dove l’aspetto della sedimentazione di un percorso politico e sociale si è snodata in questi anni. La capacità di reazione rispetto ad una nuova offensiva sul territorio dovrà tenere conto di una serie importante di fattori. Innanzitutto il fatto che l’attuale discarica è già aperta da due anni. Un altro fattore importante e che nessuna lotta popolare nel paese come quella di Chiaiano ha visto la repressione colpire così duramente. Il numero degli indagati ha superato le 50 persone per almeno una decina di processi, molti dei quali si sono aperti, alcuni hanno visto già le prime condanne nel primo grado, altri sono stati rigettati dalla corte costituzionale per le incongruenze delle leggi speciali del decreto 90, altri ancora sono in attesa di appello. Il prossimo si apre il 16 di questo mese per l’occupazione del Arpac del settembre 2009, a poche settimane dallo scandalo che travolse proprio l’agenzia per l’ambiente campana. L’accusa per otto persone è quella di interruzione di pubblico servizio. La reazione agli arresti della primavera scorsa a due anni dagli episodi più radicali di lotta, ovvero i 5.000 del primo maggio 2010, restano legati ad un evento in cui il senso d’appartenenza alla “storia di lotta” della vicenda di Chiaiano ha giocato un ruolo importante.

La ripresa dei blocchi nelle ultime settimane è un segnale importante. Cosi’ come la nuova pratica dei meeting point adattata alla dimensione metropolitana napoletana. I “meeting point” li avevamo visti e drammaticamente attraversati durante le mobilitazioni contro il Cop 15 di Copenhagen[6] lo scorso dicembre. “Appuntamenti al buio” che finivano in Danimarca con i furgoni della celere pieni di attivisti fermati ed arrestati sul posto. Ricordo distintamente le affermazioni degli attivisti italiani davanti a quelli che talvolta, davanti ad un meccanismo di controllo repressivo rigidissimo, definivamo “suicidi di massa”.
Ognuno ha il suo contesto.

I meeting point dalle nostre parti sono appuntamenti pubblici di cui non si conosce il seguito, in luoghi specifici che forniscono la possibilità di disperdere, tra traffico ed altre barriere, i mezzi delle forze dell’ordine che in questo modo, con gli attivisti che procedono a piedi o con mezzi collettivi, restano molto distanti dalla scena dei blocchi stradali, impiegando molto tempo ad intervenire. Lo spostarsi di continuo anche in vie o piazze attigue rende l’azione di disobbedienza una vera e propria tecnica da guerriglia metropolitana.
A farli qui da noi ci sono pensionati, casalinghe, giovani studenti, lavoratori.
D’altronde proprio in questa fase le istituzioni non lasciano altro spazio che quello della dimensione della radicalità diffusa. Per ora alcune centinaia di persone stanno prendendo parte ai meeting point. Vedremo quante ne saranno quando anche l’intensità degli stessi diverrà diversa. Due anni fa prendendo spunto dalla Reclaim the streets londinese lanciammo il soft walking, ovvero i blocchi delle autostrade e delle tangenziali effettuati con blocchi di macchine in movimento su tutte le corsie a 20 Kmh. Bloccammo la tangenziale di Napoli e la Napoli-Salerno. Non c’era nemmeno un articolo del codice penale per denunciarci.
Oggi con i meeting point proviamo a riattualizzare la pratica dei blocchi metropolitani, attuando delle forme di contestazione che forse nella nostra città hanno dei padri storici nei disoccupati organizzati.

Senza dubbio è ancora presto per capire come si evolverà la battaglia, se a Chiaiano e nel resto della Campania scoppieranno scintille, falò o incendi, e se i nuovi amministratori del Pdl riusciranno a sopravvivere a se stessi. Senza dubbio però lo stimolo che la dimensione di queste lotte ci consegna rispetto al ragionamento sulle pratiche resta un esercizio non solo utile ma anche necessario.

La dimensione delle lotte sui beni comuni, a partire dalla complessità del corpo sociale che le anima, ti porta sempre a ragionare intorno alle pratiche come un terreno su cui sperimentare di continuo a seconda della condizione repressiva davanti alla quale ti trovi. Infondo anche il soft walking nacque dalla necessità che avevamo in quella fase di riuscire ad alzare il livello dello scontro spostando il piano del conflitto in una dimensione extraterritoriale. I meeting point rispondono ad esigenze diverse, da un lato una mobilitazione che ha ripreso vigore ma non ancora i numeri di un tempo, dall’altra quella di sfuggire ad una gestione del controllo del territorio che negli ultimi due anni ne ha viste di tutti i colori abituandosi a delle dinamiche divenute “classiche”. 
Questo tipo di pratiche inoltre riesce a costruire immaginario anche dal punto di vista mediatico. Di certo dimostra come spesso siamo costretti a trovare definizioni “particolari” per solleticare l’interesse di una stampa spesso troppo mediocre.
Inoltre questa pratica ci offre un nuovo terreno di analisi in termini biopolitici. Ovvero di come proprio quella complessa composizione sociale riesca a liberarsi dalle paure della repressione reinventando continuamente le pratiche del conflitto.

E’ come se quella propensione alla difesa collettiva, tipica di una dimensione del comune non sempre immediata, ci consegni di volta in volta delle armi che non solo possano assestare colpi alla controparte ma anche “liberare” e “rafforzare” chi le mette in pratica.
In attesa che la scintilla diventi incendio possiamo senza dubbio affermare che l’entusiasmo e la suggestione delle lotte in difesa dei beni comuni resta un fenomeno tutt’altro che accantonato.



[1] Da circa 150 anni la parola “sviluppo” utilizzata da politici ed amministratori indicando il Mezzogiorno d’Italia è stato sinonimo di grandi e affari per pochi e grandi sciagure per molti. N.d.r.

[2] Primo consiglio dei ministri dell’attuale governo Berlusconi tenutosi a Napoli il 16 maggio 2008

[3] In questo caso dovremmo ricordare la miriade di “l’avevamo detto noi…!” che si tralascia per non dimenticare nessuno di tutti quelli che già due anni fa avevano previsto questo scenario. N.d.r.

[4] Le SAP societa’ provinciali sono state istituite per tutte le province campane come società municipalizzate con il compito di gestire le discariche dal decreto di fine emergenza rifiuti del febbraio 2010.

[5] 10/12 mesi secondo i dati riportati su un ordine del giorno approvato dal Consiglio Provinciale di Napoli il 24 maggio 2010

[6] Si rimanda all’esperienza della Rete See You in Copenhagen in occasione delle mobilitazioni contro il vertice sul clima denominato Cop 15 , Copenhagen 12-17 dicembre 2009