Jesi 17/18 dicembre 2009

Malati di niente 2009

Radio "La Colifata" ospite della IX Rassegna "Malati di niente"

9 / 12 / 2009

Dedicato a Alda Merini

 Questa del 2009 è la nona edizione della rassegna "Malati di niente". Quest'anno il filo conduttore delle nostre riflessioni e del nostro agire sarà la comunicazione e il suo imprescindibile rapporto con il potere e il pensiero critico.

La comunicazione come elemento della mistificazione, se utilizzata per nascondere, occultare, opprimere, controllare; oppure comunicazione come elemento costituente dei processi di liberazione, se utilizzata e praticata come forma di democrazia, di svelamento, di partecipazione.

Crediamo che non ci sia possibilità di democrazia senza libera comunicazione e che non si sviluppi soggettività e  pensiero critico se la comunicazione è mistificante.

 Radio La Colifata è nata come uno spazio di libertà all’interno dell'ospedale neuropsichiatrico Borda di Buenos Aires. Oggi è diventato un simbolo di creatività e comunicazione per pensare collettivamente, su temi difficili come la politica, la vita, la salute, la follia.

Apriamo insieme tante “Colifate” per buttare i muri delle emarginazioni

La Colifata incontra le scuole a Jesi per raccontare questo percorso e per farci capire come anche la comunicazione della musica di Manu Chao ha contribuito ad abbattere i muri che separano quelli che stano dentro da quelli che stanno fuori, per aprire una riflessione e una battaglia contro lo stigma sociale, attraverso la valorizzazione delle diversità, contaminazione culturale e "musicale"... per sensibilizzare sul pensiero che i diritti, la libertà e la dignità, sono terapeutici

MANU CHAO COLIFATO

Radio La Colifata nasce 1991, quando Alfredo Olivera (studenti di psicologia) dai giardini dell'ospedale neuropsichiatria Borda di Buenos Aires inizia questo percorso in totale autogestione con i pazienti ricoverati e ex ricoverati . Era 1996 quando un documentarista arriva a La Colifata per fare un video. Poco dopo decide di trasferirsi in Spagna dove per caso diventa amico del celebre Manu Chao. Insieme in un pomeriggio noioso condividono la visione di quel documentario.

Il musicista nato a Parigi rimane gradevolmente colpito e sorpreso, decide di mixare le sue canzoni con le parole dei «colifatos» per realizzare un nuovo CD, "Siempre fui loco". In Argentina i promotori del cd sono stati gli stessi colifati del Borda. Ed è cosi che inizia la collaborazione con Manu Chao. Nel 2005 il cantante arriva a Buenos Aires con una nuova proposta: realizzare un concerto a sostegno del progetto. A novembre i concerti di Manu Chao in Argentina vedono sul palco i «colifati» del Borda. Nel 2007 Manu Chao registra il videoclip, con la regia di Emir Kusturica, del brano "Rainin in paradize" con la partecipazione di Hugo, Alejandro ed Eduardo di La Colifata.

Nel 2009 oltre i concerti in Argentina con i colifati Manu Chao lancia il nuovo CD "Viva La Colifata", già disponibile su www.vivalacolifata.org  per essere scaricato gratuitamente, la pagina è stata creata per dare un sostegno economico a Radio La Colifata.

 

 -  Giovedi 17 dicembre, ore 10.00 - Sala Consiliare Comune di Jesi

La comunicazione attraverso la musica

Il sindaco di Jesi saluta gli ospiti di La Colifata.

Radio La Colifata incontra le scuole per raccontare il progetto artistico culturale di La Colifata con Manu Chao. Proiezione video e dibattito.

- Venerdì 18 dicembre, ore 16.00 - Università Fondazione Colocci

Comunicazione e diritti di cittadinanza

Intervengono: Alfredo Olivera e Hugo Lopez radio La Colifata, Radio TAB Reggio Emilia, Radio Fragola Trieste, Radio 180 Mantova, Radio Sherwood Padova, Radio TLT Jesi.

  

- Dal 12 dicembre al 21 dicembre, Palazzo dei Convegni

Mostra di pittura degli artisti dell’Atelier Sollievo di Jesi

«Ogni giorno che passa
fiorisce un usignolo
di bel canto sul ramo,
che fa qualche richiamo
modesto richiamo
alla povera vita,
usignolo che canta di povertà infinita.
Ogni giorno che passa
alza questo sipario
di perpetua baldanza
ed ecco il calendario
della vita che passa.»
 (Alda Merini)

...Ciao Alda!

Promuovono l'iniziativa: Regione Marche - Provincia di Ancona - Comune di Jesi - Ambito Territoriale IX - Comunità Alloggio "Soteria" - Dipartimento Salute Mentale, Jesi - Rete del Sollievo, Jesi

Collaborano: Associazione Ya Basta! - Coop. Soc. Cooss Marche - Associazione Culturale "Asiamente" - Centro Servizi Volontariato   

Si ringrazia per il contributo il Centro Sociale Autogestito TnT

Progetto “Malati di Niente” 

Premessa

“Ricordo di aver pensato che gli schizofrenici sono i poeti strangolati della nostra epoca.

Forse per noi, che dovremmo essere i loro risanatori, è giunto il momento di togliere le mani dalle loro gole.”

Con questa frase di David Cooper (medico psichiatra inglese, esponente di spicco del movimento antipsichiatrico non solo in Inghilterra) abbiamo a che fare ogni giorno, quando iniziamo il nostro lavoro di terapeuti e di operatori psichiatrici, queste righe sono all’entrata della nostra comunità  quotidianamente ci dobbiamo fare i conti.

Ma la nostra riflessione parte da lontano e il modo di intervenire oggi e la storia e i perché del progetto “malati di niente”, forse hanno a che fare con la storia del movimento antipsichiatrico e antiistituzionale in Italia, a cominciare dalla Riforma psichiatrica e dalla cosiddetta “rivoluzione basagliana”.

Il 13 maggio del 1978, nasceva in Italia la L. 180 che di fatto concludeva, con un atto legislativo, l’esperienza della custodia manicomiale, imponendo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici (OP).

Negli anni ’50 in Italia i manicomi ospitavano più di 100 mila persone e parte di queste privi di disturbi psichiatrici, quindi il manicomio fungeva da struttura per il controllo sociale, dove alcolisti, handicappati, barboni, emarginati, venivano “separati”, in un “luogo altro”, dalla società civile, perdendo immediatamente libertà, dignità e diritti civili elementari.

Il criterio per l’internamento non era quindi la malattia mentale, ma la “pericolosità sociale” o il “pubblico scandalo”, quindi evidente la funzione del manicomio solo in minima parte riguardava l’assistenza e la “cura”. Il ricovero significava l’iscrizione al casellario giudiziario e la schedatura.

Ma proprio a partire dagli anni ‘50, in gran parte dell’occidente, le attività di assistenza psichiatrica vennero attraversate e contrastate da un sempre più forte movimento antiistituzionale.

In Italia il movimento nasce soprattutto a Gorizia, Trieste, Perugia, Arezzo, Reggio Emilia… e questo grazie al grande apporto di Franco Basaglia.

La nuova cultura antimanicomiale introduce concetto e categorie quali decentramento, territorio, comunità, lavoro di equipe… Si fa quindi strada l’idea della prevenzione nella comunità e nell’ambiente di vita delle persone con disagio psichico.

Basaglia inizia il suo intervento deistituzionale negli anni ’60 a Gorizia, ma è dal ’71 a Trieste che si radicalizza e si concretizza l’offensiva ai manicomi e alla vecchia psichiatria come istituzione totale, anche perché si iniziava a collegare con una grande domanda di cambiamento e trasformazione sociale che in questi anni pervadeva l’Italia.

Possiamo affermare con certezza che la L. 180 è stata più di una legge, ha rappresentato un progetto politico in quanto i suoi  presupposti tendevano a sviluppare una coscienza critica e una trasformazione dell’organizzazione sociale attraverso la partecipazione della collettività a tutte le forme di emarginazione e disagio. Il ricordo torna spontaneo ad alcuni momenti significativi: la gioia della libertà nel manicomio che abbatteva il muro e si apriva alla città, gli internati che con stupore potevano finalmente esprimere affetti, idee, potevano accedere a lavori retribuiti, potevano costruire cooperative e avere una casa propria.

Per questo diciamo che la libertà e terapeutica. Non solo la libertà di essere matto, bizzarro, diverso, ma soprattutto la libertà dalla violenza delle istituzioni totali, liberta dalla stupidità e rigidità della burocrazia. Libertà di “rischiare di vivere” accompagnata dalla responsabilità di prendersi cura dell’altro, di essere solidali.

Prevaricare, segregare, violentare, imbavagliare, mortificare le persone, “strano modo di curare un uomo, cominciando con l’assassinarlo…” scrisse Antonin Artaud sottoposto in 3 anni a ben 51 elettroshock, devastanti per la sua mente ed il suo corpo.

Proprio la L. 180 nei suoi articoli più esemplificativi metteva al centro metteva al centro del nuovo intervento psichiatrico la costituzione di una serie di servizi territoriali che si articolavano all’interno del Dipartimento di salute Mentale (DSM).

Ogni DSM quindi prevedeva e prevede (Progetto Obiettivo)  sul territorio una serie diversificata di strutture: Servizio Psichiatrico  di Diagnosi e Cura (SPDC - un reparto all’interno degli Ospedali Civili cittadini); Centro di Salute Mentale (CSM – con funzione ambulatoriale e di programmazione dell’assistenza territoriale); Servizi Riabilitativi Residenziali e semi-residenziali (SRR e Centri Diurni dove sviluppare e agire programmi di reinserimento sociale); Comunità Terapeutiche; Comunità Protette; Gruppi Appartamento (con diversi gradi di autogestione).

Servizi e articolazioni di strutture importantissimi per recepire e cercare di dare risposte adeguate alle innumerevoli richieste di aiuto e supporto di chi soffre nella sua solitudine e nella sua angoscia.

Ma un accenno particolare meritano le Comunità.

Il termine stesso evoca significati e orizzonti che eludono alla “vita in  comune”, alla “solidarietà identitaria”, alla appartenenza.

Le Comunità sono strutture residenziali dove tutte le attività si sviluppano in un luogo nel quale sia possibile avvicinarsi reciprocamente in un rapportoche divente terapeutico in quantio immediato e spontaneo.

Un luogo quindi che crea legame.

Le Comunità quindi come luogo non separato, ma invece luogo della condivisione e della trasformazione, che crea permanentemente legame affettivo e sociale.

Intervento comunitario in psichiatria significa quindi, principalmente, che la “malattia mentale” non resti un tabù da delegare agli specialisti e da relegare in luoghi "altri".

L’intervento comunitario, dovrebbe essere sempre in rapporto, in “relazione sistemica”, con le dinamiche sociali del territorio, non è un luogo altro separato, ma si pone il problema di creare una realtà condivisa e una reale rete sociale.

Lavoro di rete che demedicalizza la malattia mentale perché si attua grazie alla pratica e alla attivazione di strutture e servizi non sempre propriamente sanitari.

Istituzioni sanitarie, Enti locali, associazioni culturali e del volontariato, cooperative sociali, possono rappresentare alcuni nodi della rete; ma è la “realtà condivisa” e il legame di soggetti individuali e collettivi che realizza il lavoro di rete sociale.

Il concetto di “realtà condivisa”,  è fondamentale se lavoriamo quotidianamente con persone che si pongono troppo spesso al di fuori del mondo reale, imprigionati nell’alterità del loro mondo fantastico,  privatidel potere decisionale e incapaci di comunicare l’urgenza dei propri bisogni.

La realtà è reale e vera solo nell’istante della condivisione, solo nel momento che si crea la relazione (paritaria e democratica)  tra due o più persone. Se non stabiliamo questo, lo psicotico avrà sempre torto, irresponsabile nel suo delirio e privo di potere,  mentre il terapeuta, avrà sempre ragione a priori, in quanto sano e il solo detentore  (per autorità) della verità.

Quante volte ci sentiamo impotenti di fronte al delirio e all’angoscia e ci chiediamo come poter comunicare “riportando per terra” la persona che abbiamo di fronte”? Quante volte siamo di fronte ad una persona e vogliamo vedere in lei, narcisisticamente, solo noi stessi e non riusciamo ad “incontrarlo”, a riconoscere ed accettare la sua alterità da noi perché impauriti e troppo inclini a normalizzare la differenza invece che farla esprimere. Ma tutto ciò è paradossale, in quanto è solo riconoscendo l’alterità dello psicotico che individuiamo noi stessi e non avremo più il terrore di confonderci con lui in un rapporto a tratti ambivalente e simbiotico.

“Se non ora... quando?”

Il nostro orizzonte  ideale, che determina l’intervento riabilitativo quotidiano, si colloca in piena continuità con  quello storico movimento che negli anni ‘60/’70 ha criticato, combattuto e vinto le logiche custodialistiche e le istituzioni manicomiali.

La Legge 180, è stato lo strumento legislativo che ha permesso, nel lontano 1978, il progressivo smantellamento degli ospedali psichiatrici e l’inizio di una nuova epoca per la sofferenza psichica.

Si stava abbattendo una delle più vergognose e violente opere del genere umano: i manicomi, che andavano chiusi, e in alternativa aperti luoghi di “cura” e di socialità, dove l’intervento terapeutico si coniugava, e si coniuga, con la battaglia per i diritti di cittadinanza, contro lo stigma sociale e il pregiudizio.

Dentro questa cornice si esprime il nostro lavoro. 

Ore, settimane, mesi, vissuti insieme ai nostri utenti, sempre più convinti che l’utilizzo e l’affinamento delle più moderne tecniche riabilitative non sarebbero mai sufficienti a restituire “abilità sociali”, voglia di vivere, autonomia, dignità a uomini e donne che hanno trascorso troppo tempo “prigionieri”  all’interno del loro mondo, isolati dagli altri mondi possibili.

In questi anni abbiamo capito che essere dei “bravi tecnici  specialisti” non può bastare.

E’ necessario "esserci". Perché “…l’affetto è prassi di essere presente, cioè pratica costante dello stare insieme come ci ricorda lo psichiatra romano Massimo Marà nel suo libro “Comunità per psicotici”.

All’interno del nostro programma di attività settimanale abbiamo in effetti diversi gruppi di lavoro, dal giardinaggio al cinema, dalla ginnastica al disegno, dal canto alla pittura. L’importante però, è fare le cose insieme e trovare dei momenti per discutere e ascoltare, anche con i pazienti più gravi e regrediti.

Indubbiamente l’elemento  che può garantire il raggiungimento degli obiettivi è il rapporto con il sociale, con la città: l’intervento socio-riabilitativo dentro la nostra realtà territoriale.

Purtroppo nulla di tutto questo è scontato, anzi molta strada abbiamo ancora di fronte a noi per una oggettiva integrazione e per un reale rispetto della diversità.

La lotta allo stigma e al pregiudizio, la battaglia per i diritti, l’integrazione, si raggiungono con la visibilità, con la rivendicazione della propria diversità, della propria storia, della propria intima sofferenza.

Detto questo, dovremmo “vivere” e utilizzare la comunità come luogo dove si sperimenta la trasformazione, ma anche come luogo e strumento della trasformazione.

In entrambi i casi per trasformazione dobbiamo sempre intendere modificazione delle relazioni interpersonali, della comunicazione patologica, metamorfosi dei propri stati interiori intrapsichici; ma anche trasformazione come processo di liberazione, come superamento e stravolgimento dei rapporti sociali alienati i quali producono inevitabilmente  malattia e sofferenza.

Trasformazione quindi come riappropiazione del potere decisionale da parte di chi, mistificato e sottomesso, per una intera vita ha dovuto chiedere sempre il permesso a qualcuno, anche per comprare un semplice pacchetto di sigarette.

Laing nel suo celebre libro “L’Io  e gli altri”, ci dice che: “Ogni famiglia ha le sue controversie e ogni famiglia ha qualche mezzo per manovrarle. Uno dei modi di fronteggiare queste divergenze verrà illustrato sotto il nome di mistificazione.

Mistificare significa confondere, annebbiare, oscurare, mascherare ciò che succede. Genera confusione nel senso che non si percepisce ciò che veramente si sente, o ciò che si fa, o ciò che sta avvenendo…”

Bene, noi operatori psichiatrici, dobbiamo sempre evitare di praticare e agire la mistificazione con i nostri assistiti, in quanto ogni processo di trasformazione esprime conflitto, dinamicità e “crisi evolutive”; mentre la funzione principale della mistificazione è quella di eludere un vero conflitto, per il mantenimento dello stato di cose presenti.

Per concludere con le parole di Basaglia: “… questa è la vera psichiatria, perché non è psichiatria.”

Dal  1978 ad oggi sono trascorsi molti anni e tanto è cambiato nella nostra società, nell’economia, nel lavoro, nella cultura. La Legge Basaglia che poneva fine all’orrenda esperienza della custodia manicomiale, ha dato un forte impulso alla Riforma psichiatrica nel suo complesso; ma enormi problemi sono rimasti irrisolti.

Quello più grande è sicuramente l’incapacità di accogliere il diverso, il “folle” in particolare, e di reinserirlo nel tessuto sociale.

Anche per questo la battaglia contro lo stigma e il pregiudizio verso la persona sofferente è, e rimarrà l’obiettivo primario per quanti credono che ogni essere umano ha il diritto di migliorare la propria qualità di vita e che il disturbo mentale è un “male oscuro”, dove i termini relazionali e socio-culturali rivestono una importanza cruciale, a volte drammatica.

“Diamo un’opportunità alla parola”, abbiamo detto e scritto, proprio per i “senza-voce” e gli “invisibili” della nostra epoca, strozzati dalle forti mani del pregiudizio e dello stigma sociale. Diamo un’opportunità alla parola per esprimere onestamente e senza mistificazione che: 1) il pregiudizio verso il diverso, il “matto”, è molto forte e va combattuto; 2) è sempre più urgente costruire una rete sociale solidale, perché il nostro intervento come operatori psichiatrici è troppo debole se non supportato da una comunità, da un territorio, in grado di accogliere senza emarginare, 3) i diritti, la libertà e la dignità, sono terapeutici.

Noi, operatori psichiatrici, che lavoriamo quotidianamente nel settore della riabilitazione e dell’inserimento sociale dei pazienti, denunciamo troppo spesso una intolleranza e una diffidenza verso il diverso, verso l’escluso, ed è per questo che istituzioni, associazioni, strutture operative del settore, cooperatori, dovrebbero farsi carico di una vera e propria promozione culturale della salute mentale nei territori; dove riversare idee ed esperienze, mettendole a confronto con i desideri e le angosce di chi soffre, ma anche con le paure, l’intolleranza, lo smarrimento di una collettività sempre più in difficoltà ad accogliere senza remore, a riconoscersi senza escludere.

In effetti i presupposti della Riforma psichiatrica tendenti a sviluppare una coscienza critica e una trasformazione dell’organizzazione sociale, attraverso la partecipazione della collettività a tutte le forme di emarginazione, sono rimasti troppo spesso sulla carta, non realizzati. Ma con tutti i limiti che troviamo a questa legge, certo non possiamo e dobbiamo tornare indietro, perché nulla è più come prima, perché abbiamo appena iniziato a restituire a quelle persone ridotte a “matti da legare”, lo statuto di cittadini, il diritto di esistere dentro quel contratto sociale da cui erano stati definitivamente espulsi in modo del tutto improprio.

 

Il progetto “malati di niente” si inserisce a pieno in questo difficile e complesso contesto, ed ha l’ambizione di aprire un percorso, nel quale cammineranno insieme pazienti, familiari, operatori, gente comune, verso un orizzonte ideale rappresentato da una comunità di donne e di uomini ancora capaci di creare legame sociale, inclusione, solidarietà.

Questa del 2009 è la nona edizione della rassegna. Quest'anno il filo conduttore delle nostre riflessioni e del nostro agire sarà la comunicazione e il suo imprescindibile rapporto con il potere e il pensiero critico.

La comunicazione come elemento della mistificazione, se utilizzata per nascondere, occultare, opprimere, controllare; oppure comunicazione come elemento costituente dei processi di liberazione, se utilizzata e praticata come forma di democrazia, di svelamento, di partecipazione.

Crediamo che non ci sia possibilità di democrazia senza libera comunicazione e che non si sviluppi soggettività e  pensiero critico se la comunicazione è mistificante.

 

Gli obiettivi sulla nostra rotta

- Promozione di una riflessione e di una battaglia contro lo stigma sociale, il pregiudizio e il tentativo di revisionare la Legge 180 attraverso la riproposizione di una logica di segregazione manicomiale, per la piena riappropriazione dei diritti di cittadinanza e di reale democrazia.

- Prevenzione e promozione della salute mentale attraverso la valorizzazione delle diversità, contaminazione culturale e intervento sociale sul territorio, attraverso il lavoro di relazione e comunicazione con le scuole e il “mondo giovanile”.

- Costruire e attivare un lavoro di rete con l’associazionismo sociale e culturale, le istituzioni, le strutture del Dipartimento di Salute Mentale, il volontariato, il mondo della cooperazione sociale…


Informazioni:
Comunità Alloggio Soteria
Via Tabano, 51 - Jesi
tel 0731/290003 fax 0731/290218 email c.soteria[at]libero.it

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Manu Chao chiede un contributo volontario per il suo ultimo album 'Viva La Colifata'

Manu Chao per diffondere questa iniziativa ha iniziato un tour mondiale il 7 settembre da Le Phare di Chambrey. Sul sito è possibile effettuare una donazione direttamente tramite uno dei sistemi per effettuare transazioni o pagamenti online in modo veloce e sicuro, ma comunque è possibile anche scaricare il file senza nessuna donazione, anche se ovviamente sarebbe cosa gradita. Ma si può comunque effettuare in un secondo momento, dopo aver ascoltato il disco.

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