Mafia capitale: un’altra cooperativa è possibile?

12 / 12 / 2014

C’è un aspetto, fra i tanti, del nuovo scandalo nazionale su cui vale la pena riflettere. Si tratta del coinvolgimento del mondo cooperativo nel grande affaire “Mafia Capitale”.

Forse sbaglio ma non ricordo una complicità così clamorosa, soprattutto se pensiamo all’importanza politica della vicenda. E’ bene premettere che ci sono tanti cooperatori di “buona volontà” che tutti i giorni fanno il loro dovere, credendo ancora nelle finalità originarie dei principi mutualistici. Principi però oramai sempre più infangati da un meccanismo micidiale perverso.

E’ la merce che ci è entrata nei polmoni” cantava tanti anni fa Gianfranco Manfredi. Credo che da qui bisognerebbe partire per capire come gradualmente buona parte del movimento cooperativo abbia deragliato, abbracciando completamente, o quasi, la logica del business.

Circa un mese fa ad Ancona durante un interessante dibattito con Gigi Malabarba sull’esperienza delle fabbriche autogestite, c’era chi faceva notare come il peccato originale fosse nel cambiamento giuridico apportato nello statuto delle cooperative, con l’aggiunta della parola “impresa”. Dunque non più “cooperative”, ma “imprese cooperative”.

L’articolo 45 della nostra Costituzione afferma: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Appunto. La dimensione privatistica  doveva e dovrebbe rimanere fuori dall’agire cooperativo. E’ evidente che nel momento in cui si sposa la logica d’impresa, l’aspetto altruistico viene meno. Troppo spesso si sceglie la forma cooperativa per essere più “competitivi” di fronte ai meccanismi perversi delle gare d’appalto.

Quante volte si vengono a creare differenziazioni salariali inaccettabili? Forme di sfruttamento micidiali? Avendo lavorato per molti anni in una cooperativa (libraria) non sarò di certo io a sottovalutare i meccanismi che ti portano, purtroppo, a confrontarti con il mercato. Ma pur vivendo in una società capitalista, anzi oggi di fronte ad una fase in cui si afferma una specie di “comunismo del capitale”, per dirla con Christian Marazzi, non è possibile uno  stravolgimento così radicale dello spirito originario della cooperazione.

In questi anni non solo sono stati abbandonati i principi che portarono a fine Ottocento tanti militanti socialisti avviare un percorso solidale lungo e glorioso, ma si è anche “tradita” la buona fede di chi ha scelto e continua a scegliere la forma cooperativa pensando di sposare un modello economico sociale altro. Se la Lega delle Cooperative assomiglia sempre più a Confindustria, forse sarebbe il caso di pensare ad un soggetto alternativo che possa raccogliere l’esigenza di chi vuole abbinare il lavoro a una pratica solidale fuori dalla logica del profitto.

Sergio Sinigaglia, giornalista e scrittore di Ancona