Milano si mobilita per la cultura

Macao!

700 all'assemblea pubblica

7 / 5 / 2012

Si respira qualcosa di più della semplice soddisfazione a Macao. Sabato mattina i lavoratori dell’Arte di Milano, assieme ad un gruppo di realtà che da mesi si mobilita sulla questione culturale (Teatro Valle Occupato e Cinema di Palazzo di Roma, S.a.L.E.-Docks di Venezia, Asilo di Napoli, Teatro Coppola di Catania, Teatro Garibaldi di Palermo) avevano occupato la Torre Galfa di Milano. Un luogo simbolico per diversi motivi, primo perché i suoi 102 metri si ergono nel cuore finanziario della città, secondo perche la proprietà è in parte riconducibile all’immobiliarista-finanziere Salvatore Ligresti.
Domenica, giorno 2, è il giorno della prima assemblea pubblica, indetta per il pomeriggio. Alle quattordici il primo piano del grattacielo è già gremito, a sera si conteranno oltre settecento persone e decine di interventi. L’assemblea inizia ed è immediatamente chiara una cosa, non ci sono dubbi, Macao s’ha da fare. C’è chi propone attività, chi vuole impegnarsi nel recupero dello spazio, chi si offre per raccogliere fondi e così via. E’ sulla scia di un’energia tanto reale da parere palpabile che il discorso interseca, naturalmente e senza contrasti, piani differenti, passando dalle idee per la gestione dello spazio fino al significato politico di Macao e di tutte le altre esperienze italiane presenti. Perché tanto entusiasmo? Perché l’assemblea sembra più che altro un grande abbraccio collettivo che la città tributa all’idea di Macao? Forse perché c’è qualcosa che collega quanto accade a Milano in questi giorni con quanto sta facendo il movimento di Occupy in giro per il mondo. L’occupazione del grattacielo di Ligresti è un attacco simbolico al legame tra arte e finanza, un legame che non si spiega attraverso astrusi processi economici, ma che ha appiattito per decenni la percezione collettiva dell’arte e della cultura. Nelle mani dei finanzieri le opere sono diventate puri segni senza referenza (scambiate come “promesse di valore” al pari dei prodotti finanziari) e parallelamente, le vite degli artisti e dei lavoratori delle cultura sono diventate oggetto di speculazione per mezzo della precarizzazione. Rovesciare questa percezione è certamente uno dei segni di maggiore discontinuità di Macao e delle altre esperienze diffuse in Italia. L’obbiettivo è restituire alla cultura e all’arte il loro ruolo di strumenti di soggettivazione. A dire il vero questa funzione non è  taciuta nemmeno dal mainstream, anzi, gli economisti dell’arte la evocano per esorcizzarla, la catturano e la ammaestrano allo scopo di difendere le loro rendite accademiche. Macao invece ci crede, non con ingenuità, ma con coraggio, il coraggio di trasformare l'arte da terreno di speculazione a strumento in grado di cambiare il modo in cui guardiamo al mondo e, in definitiva, di cambiare il mondo stesso.
Di questo discutono artisti e architetti, designers e informatici, fund raisers e vicini di casa di Macao, di come proseguire l’avventura a partire da domani, di come gestire il trentadue piani della torre. Ricorrono termini quali occupazione, riappropriazione, autodeterminazione, comune (quale terza via che rompe la dicotomia pubblico/privato), sperimentazione giuridica e conflitto. Passano le ore e si susseguono proposte, attestati di solidarietà e idee. Sulla scia dell’assemblea nazionale della rete della conoscenza, avvenuta il giorno precedente a Roma, si commenta il DDL Fornero, incapace di tutelare i precari della cultura e i lavoratori autonomi, si invita a non farsi ipnotizzare dalle retoriche governative del conflitto generazionale e a costruire un fronte comune con chi lotta contro la modifica dell’articolo 18. Così il pomeriggio diventa sera e l’assemblea sancisce che da domani la vita di Macao ripartirà dalla fondazione di diversi tavoli di lavoro. Nello spazio contiguo Motus prova la perfomance serale. Non serve affacciarsi e guardare la città dall’alto del trentesimo piano, la sensazione condivisa è che a Milano stia succedendo qualcosa di importante.

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