Lotte multiple ed interdipendenti per un'Europa dei comunardi

4 / 5 / 2015

Sono passati solo pochi mesi da quando un piccolo squarcio si è aperto nella catena europea del comando. Le elezioni in Grecia, al di là dello specifico giudizio su Syriza, hanno consegnato un messaggio non fraintendibile: i popoli ne hanno abbastanza delle politiche di austerity. Poteva un voto risolvere tutti i problemi? Ovviamente no. Nessuno lo credeva, ma è stato il segnale che le persone vogliono riprendersi il potere sulle loro vite. Cosa è successo nel frattempo? I negoziati per un nuovo piano di aiuti finanziari alla Grecia stanno ancora andando avanti, dando vita a un braccio di ferro fra una parte dell'Eurogruppo, capitanata da Merkel e da Schäuble, e il governo greco. Da una parte abbiamo gli strenui difensori dell'austerity a qualunque costo, dall'altra chi ha la necessità di rinegoziare queste misure insostenibili. Il netto rifiuto di cambiare la gestione della crisi e dare respiro a una popolazione che sta annegando nell'austerity ha chiarito che non ci possiamo aspettare alcuna salvezza dalle politiche neo-liberali. Le vite dei poveri non contano. La democrazia non conta.

Nel frattempo, in Italia il governo di Matteo Renzi ha approvato una riforma del lavoro che sancisce formalmente la fine degli ultimi diritti dei lavoratori. “Lo facciamo per la generazione precaria”. La verità è diversa: per loro le vite dei precari non contano, le vite dei lavoratori non contano. Queste sono buone solo quando possono essere sfruttate con bassi salari o addirittura gratis, come in questi giorni a Expo. Se vi rifiutate, se chiedete maggiori diritti e salario, allora siete “choosy”. Il capitalismo non contempla altre opzioni, prendere o lasciare.

Infine, ad alcune miglia di distanza dalla coste meridionali dell'Europa, migliaia di persone stanno annegando nella speranza di raggiungere l'altro lato del Mar Mediterraneo. Il regime dei confini che l'UE ha innalzato alle sue frontiere li sta obbligando a rischiare la vita su barconi alla deriva. Chi è in fuga da morte, guerre, persecuzione politica, povertà (che in molti casi siamo noi occidentali ad aver causato) ancora conserva il sogno di trovare una vita migliore in paesi più ricchi. Sfortunatamente, come abbiamo detto, il capitalismo non fornisce salvezza per tutti. Le vite dei migranti non contano. Sono buoni quando possono essere sfruttati nel lavoro nero, quando accettano salari bassi e nessun diritto, quando i padroni possono usarli come schiavi. Niente di più. Dopo sono solo gli scarti della ricchezza che qualcun altro godrà. La retorica dei governi europei è disgustosa quando prova ad estendere muri attorno all'Europa adottando il linguaggio della solidarietà.

Tre situazioni differenti da cui comunque possiamo provare a trarre tre osservazioni connesse.

Primo, l'Europa non è uno spazio omogeneo. La definizione, da parte del capitalismo, di un'area chiusa di potere ed economica non significa che non ci siano differenze. Dentro e fuori. Ciò che accade al di fuori dei nostri confini ha dinamiche diverse rispetto a quanto accade all'interno. Il modo in cui l'austerity colpisce l'Italia o la Spagna è profondamente differente da come colpisce in Germania o Francia. La stessa necessità di salvare capitali e profitti ha diverse articolazioni a seconda dei casi specifici.

Secondo, le differenze non si trovano tutte sullo stesso piano ma distribuite su un asse verticale. Non tutti gli stati membri della UE stanno giocando lo stesso ruolo nello stabilire la gestione della crisi. È fuori di dubbio che il governo di Merkel stia ricoprendo un ruolo determinante nella prosecuzione delle politiche di austerity.

Terzo, c'è il rischio che questa articolazione del potere si trasformi anche in una frammentazione degli sfruttati. La solidarietà e la cooperazione non si danno immediatamente. È innegabile che in alcuni casi le politiche di austerity hanno avuto un consenso popolare nella speranza che queste avrebbero salvato alcuni (a scapito di altri) dalle conseguenze sociali della crisi. In altri casi, assistiamo alla riproposizione di vecchi slogan fascisti e razzisti che invitano le persone a prendersela con chi sta peggio. La guerra tra poveri.

Possiamo concludere che l'UE sta funzionando come un operatore differenziale, che crea differenze molteplici e connesse: tra élite e popoli, territori e territori, cittadini e migranti.

È tutto qui? Fortunatamente no. In questi mesi abbiamo anche assistito ai crescenti tentativi dei movimenti sociali, dei collettivi, dei sindacati di base e delle associazioni di andare al di là dei confini nazionali e creare rete tra di loro. Lo abbiamo detto tempo fa, la mancanza di lotte immediatamente generali ci deve spingere a cercare di connettere differenti pezzi di resistenze e riappropriazione.

Ci sono lotte nazionali che agiscono su condizioni locali e sociali così come ci sono alcuni spazi politici pubblici, alcune tendenze a connettere le esperienze della sinistra radicale. La sfida è quella di riuscire a stare nella dimensione territoriale cercando di sincronizzarla sul livello globale.

Blockupy è stato il prodotto di un duro lavoro in questa direzione e anche il segno che questo metodo funziona. Non possiamo sintetizzarne la partecipazione con una frase, un nome, un obiettivo. Questa è stata la forza di questo percorso: Blockupy è come un grande ombrello con un'attitudine condivisa contro le politiche di austerity. Dobbiamo fare tesoro di questo e cercare di continuare a lavorare in questa direzione.

Se il capitalismo funziona creando uno spazio di operazioni differenziali, dobbiamo lottare dentro e contro questo spazio. Ossia, dobbiamo preservare, estendere e allargare la necessaria inter-dipendenza tra lotte territoriali, nazionali ed europee e le interconessioni tra le diverse forme di agire politico che si sviluppano nelle articolazioni sociali. E, d'altra parte, dobbiamo articolare e adattare i percorsi delle coalizioni europee sia su differenti e specifiche parole d'ordine territoriali, sia su piattaforme comuni ed omogenee di rivendicazioni da agire direttamente nello spazio europeo. Interdipendenza, prospettive trans-nazionali, azioni territoriali. Tre assi per i prossimi mesi con l'obiettivo di dare voce a chi non ne ha, per aprire molte e larghe brecce nella catena di comando.

È per questo che vorremmo condividere 3 suggerimenti d'azione.

Non possiamo lasciare l'ordine del discorso sulle migrazioni tutto nelle mani delle élite europee.  Non possiamo rimanere in silenzio mentre condannano migliaia di persone a morire nel Mar Mediterraneo. In questi anni i migranti e gli europei hanno costruito reti di solidarietà, lotte per una diversa concezione della cittadinanza, nuovi e liberi progetti di accoglienza. È il momento di abbattere questo regime criminale dei confini. Il prossimo 20 giugno sarà la giornata mondiale del rifugiato, possiamo trasformare questo evento istituzionale in un vero momento di azione meticcia?

D'altro canto, è chiaro che dobbiamo aggiornare il nostro modo di portare avanti le lotte anti-austerity. Nella catena europea del comando non tutti i governi giocano lo stesso ruolo, solo alcuni sono nella cabina di pilotaggio. Il governo tedesco di Merkel e di Schäuble è il conducente. Potrebbe essere il momento per andare direttamente alla fonte di questa gestione della crisi. Se le élite europee non si curano delle persone, è tempo per i popoli di farli ascoltare la loro voce. Come potrebbe essere potente andare a protestare davanti al parlamento tedesco a Berlino? Ottobre potrebbe essere il momento.

È innegabile che descrivere la UE come un operatore differenziale significa riconoscere che nella crisi c'è salvezza solo per pochi. Prima si sono occupati delle banche, poi delle grandi aziende. Alle persone solo quello che sgocciola dai loro profitti: nulla. I lavoratori però stanno riscoprendo il loro strumento più potente: lo sciopero. Ci sono diversi tentativi di dare nuovo senso e fattualità a questa pratica nelle molteplici forme della produzione contemporanea: etichettarle non conta. Come abbiamo detto, Blockupy ha avuto il merito di aver messo insieme una coalizione di soggetti differenti per un obiettivo condiviso. Perché non provare a innescare un processo simile per costruire uno sciopero davvero transnazionale, immediatamente politico, col fine di chiedere un reddito, un salario minimo e diritti uguali per tutti i lavoratori europei (laddove “europeo” non è una questione di ius sanguinis ma ius soli) e la cancellazione del debito? A novembre potremmo organizzare uno o più giorni di convergenza per gli scioperanti.

Se le élite della UE ci vogliono divisi e in lotta tra di noi, noi dobbiamo agire insieme mettendo a valore l'arcobaleno di tutte le diverse lotte. Alla ricchezza del capitale possiamo opporre la ricchezza della moltitudine.

È tempo di essere ambiziosi, è tempo di organizzarci, di mettere a valore il nostro desiderio di sfidare il capitalismo della crisi. 

Facciamolo.

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