Lo strano concetto di legalità della casta.

27 / 11 / 2012

Se mai Francis Ford Coppola avesse bisogno di uno spunto per realizzare il più volte annunciato quarto capitolo della serie del Padrino, certamente la vicenda Ilva di Taranto potrebbe fornire suggerimenti per una sceneggiatura quanto mai interessante ed appassionante.

Ciò che emerge, infatti, dalle carte dell'inchiesta partorita ieri dalla Procura di Taranto, è che intorno all'Ilva si era creato un sistema di favori e corruzione vastissimo, che comprendeva politici in maniera assolutamente bipartisan, giornalisti, consulenti e persino agenti di polizia.

Un sistema che, sempre secondo la Procura, permetteva alla dirigenza dell'Ilva di “condizionare pesantemente l’azione a proprio favore degli organismi chiamati ad esercitare, a vario titolo e per il proprio ruolo, funzioni di controllo critico nei confronti di una realtà industriale dal fortissimo e notorio impatto inquinante sul territorio”.

Ciò, che stupisce, tuttavia non è l'entità di questa inchiesta, in quanto chiunque sia vissuto nella città dei due mari sa perfettamente come dietro il sistema Ilva si nascondesse, da sempre, una rete clientelare larghissima e con pochi eguali nel resto del paese, quanto la reazione delle classi dirigenti locali e nazionali.

Pochi giorni fa, a seguito delle manifestazioni del 14 novembre, abbiamo assistito e letto fior di prese di posizione e comunicati da parte del governo e dei partiti politici che lo sorreggono contro i movimenti studenteschi, colpevoli, a loro dire, di “infrangere” la legalità attraverso cortei che bloccano le strade delle principali città e di scendere in piazza con “pericolosissimi” scudi di polistirolo a forma di libri. Insomma, un giustizialismo becero che aveva spinto, addirittura, il Ministro Cancellieri a chiedere leggi più repressive nei confronti dei manifestanti e di solidarizzare, invece, con le forze dell'ordine che, proprio in quella giornata, si erano particolarmente contraddistinte per una feroce caccia allo studente e per i lacrimogeni lanciati dalle finestre del ministero della Giustizia.

Stranamente, di fronte all'enormità dell'inchiesta che vede il più grande stabilimento industriale del paese corrompere, senza alcuna difficoltà, ogni tipologia di istituzione pubblica presente sul territorio e non, gli stessi che si erano contraddistinti due settimane fa per dichiarazioni ultra-forcaiole assumono atteggiamenti di ben altra natura.

Il primo a prendere parola è stato il presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido (ex sindacalista Cisl, ora in quota al Partito Democratico), che ha espresso “dolore e solidarietà” per il suo ex assessore finito agli arresti domiciliari, Michele Conserva (anche lui del Partito Democratico, ma con un passato in Alleanza Nazionale).

A livello nazionale, invece, il partito Democratico non commenta questo episodio, così come non si esprime il suo segretario, Bersani, finito anche lui nell'inchiesta per aver ricevuto, in passato, un finanziamento in denaro da parte del gruppo Riva e per aver avuto, poco tempo dopo, una richiesta nell'intervenire (e quindi fermare) l'azione di un senatore del suo stesso partito, Della Seta, che chiedeva norme più restrittive per l'emissione di sostanze inquinanti come il benzo(a)pirene.

Nessuna presa di parola neanche dall'onorevole piemontese Stefano Esposito, che da anni invoca l'uso dell'esercito contro i manifestanti No-Tav, e il suo collega padovano Alessandro Naccarato, impegnato in una guerra del tutto personale contro i centri sociali del nord-est, definiti a più riprese una vera e propria associazione a delinquere.

Tacciono, quindi, i due “paladini della legalità” in seno al PD, tra l'altro entrambi supporters di Pierluigi Bersani alle ultime primarie del centro-sinistra.

Nessun comunicato neanche dai sindacati locali delle forze dell'ordine per essere emerso, dagli atti, come un ispettore della Digos di Taranto (quindi non un panciuto e attempato poliziotto di pattuglia nelle periferie) riferisse al dirigente dell'Ilva, Archinà, informazioni sulle manifestazioni ambientaliste contro l'azienda e il contenuto degli incontri tra Questura e Procura di Taranto.

Appena 15 giorni fa tutte le organizzazioni sindacali di Polizia erano in rivolta, in nome della legalità e in difesa della loro professionalità, per scongiurare l'ipotesi che venissero applicati i numeri identificativi sui caschi dei vari reparti antisommossa (come avviene da anni in tutta Europa); silenzio assoluto, invece, su un dirigente della Questura di Taranto al soldo del gruppo Riva.

Chi parla, invece, è il governo dei professori e dei tecnici. Ma non certo per esprimere sdegno sulla vicenda, ma per scongiurare la chiusura del colosso siderurgico e per definire l'operazione come un vero e proprio accanimento giudiziario nei confronti del Gruppo Riva.

Insomma, ciò che emerge da questa vicenda è che Taranto rappresenta la punta più avanzata di un paese, l'Italia, dove le varie caste (partitiche, sindacali, imprenditoriali ecc) ormai sono, oltre che un emblema del malaffare, sempre più rappresentanti di se stessi e dei loro interessi.

La legalità che professano, in maniera strumentale e del tutto ipocrita, è una legalità ottenuta a suon di leggi vergogna, distorte in nome del dio denaro e del profitto, mai per l'interesse collettivo.

A questo sistema, ormai marcio fino nel suo Dna, si può solo rispondere con la strada del conflitto sociale. Ben vengano, quindi, a Taranto come nel resto d'Italia, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, libri scudo, cortei non autorizzati....e qualsiasi pratica che, esprima, oltre che radicalità, una vera istanza di cambiamento dell'esistente.

Che sia la gioia dell'illegalità dell'alternativa a spazzare questa falsa e cupa legalità della casta.