Lo Stato della follia

Un emendamento dispone i ricoveri nelle Rems esattamente come negli ex Opg. In Italia i manicomi non hanno mai chiuso.

20 / 8 / 2016

“Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale (...); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo.” 

Queste le parole di Franco Basaglia, datate 1964, dal testo “La distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione”. Parole scritte 52 anni fa ma che sembrano essere state messe nero su bianco oggi, per rispondere ad un emendamento del disegno di legge 2067 che di fatto riapre gli ex Opg.

Ma andiamo con ordine, sappiamo cosa sono gli ex Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), sappiamo anche dell'enorme fatica che il nostro paese sembra abbia fatto per chiuderli, senza nemmeno riuscirci del tutto.

Infatti - come si legge nella lettera aperta dell’associazione #StopOpg, sottoscritta anche da Giovanna del Giudice (collega di Basaglia , tra le fondatrici dell’associazione #Etuslegalosubito contro la contenzione in psichiatria) - “l’emendamento in questione ripristina la vecchia normativa (quindi ante: legge 81/2014, Dpcm 1.4.2008 allegato C, Accordo Conferenza Unificata 13.11.2011), disponendo il ricovero nelle Rems esattamente come se fossero i vecchi Opg. Se non si rimedia, saranno inviati nelle strutture regionali, già sature, i detenuti con sopravvenuta infermità mentale e addirittura quelli in osservazione psichiatrica.”

Facciamo un ulteriore passo indietro, cosa sono le Rems? Acronimo di Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, su carta queste nuove residenze dovrebbero essere una sorta di clinica terapeutica di educazione e riabilitazione degli internati, altro non sono che i vecchi Opg con l’unica variante della gestione che dallo Stato passerà nelle mani delle Regioni.

Proprio per questo il mondo dell’associazionismo, in primis appunto #StopOpg, si sta muovendo affinché vi sia un richiamo pubblico sulla questione e affinché si adottino misure diverse per la malattia mentale. L’esortazione è quella ad investire su misure diverse da quelle detentive, per evitare la perpetua ripetizione della dimensione manicomiale che come disse appunto Basaglia, altro non fa che disumanizzare e alienare il malato.

Abbiamo chiesto, in merito a questo emendamento, l'opinione della Docente universitaria e Terapeuta Marialuisa Menegatto. 

“Premessa: Mi esprimo in qualità di psicologa sociale, di comunità e psicoterapeuta che segue un progetto sulle istituzioni totali in un Master di Criminologia critica e sul Restraint nelle relazioni di cura dell’Università di Padova. Questo per dire che dal mio punto vista mi sembra, analizzando anche molti altri casi nel mio percorso di ricercatrice, che ci sia una politica sorda che tende a promulgare leggi o emendamenti dall’alto senza tener conto che fenomeni così complessi necessitano di una pluralità di saperi tecnico scientifici a confronto. In altre parole sembra non esserci mai una messa in discussione teorica e pratica del fenomeno, facendo confluire più voci a confronto, anche scientifiche, per un cambio di paradigma, anche culturale, con i diversi attori sociali coinvolti - tra questi mi riferisco anche alle numerose associazioni che si occupano del problema e che meglio sanno intercettare i bisogni - per emanare una legge che risponda alle reali necessità. 

L’emendamento sembra più una maniera per non gestire un problema e rinviare competenza e responsabilità ad altri, anziché pensare a un processo di cura e riabilitazione totale. Sembra più uno spostare persone come fossero delle ‘scatolette’ in altri luoghi ‘chiusi’, ‘archivi’, lasciandole abbandonate a se stesse. Una maniera in cui la distinzione con la classica istituzione totale appare sfocata in quanto perpetua una visione manicomiale. 

Ma dietro a queste scatolette ci sono persone e famiglie con diritti, il primo alla cura. Pertanto il progetto di legge non può esimersi dal non considerare l’aspetto terapeutico di un progetto che sta dentro al diritto alla cura. Altrimenti è uno scarico civico del cittadino, una sottrazione di cittadinanza, quel non voler prendere in carico il problema da parte delle istituzioni, lasciando il fragile cittadino in balia, in un vuoto, senza che questi possa riacquistare la sua capacità di “presa sul mondo”, decidere per sé e per la sua vita. Credo inoltre che questo episodio mostri ancora una volta il rifiuto da parte delle istituzioni a non volersi occupare in modo esaustivo di una ripresa a 360 gradi sulla qualità delle cure e dei servizi in ambito di malattia mentale.”

Il rifiuto da parte delle istituzioni di una visione a 360, di un approccio che guardi alla cura e ai diritti del malato, della necessità di un cambiamento anche culturale da parte della società lo ritroviamo nel mantenimento di una pratica - una vera e propria sospensione dei diritti umani - che avviene spesso nelle strutture a stampo manicomiale (ex Opg, oggi Rems), ovvero la contenzione fisica del paziente. Contenzione che può portare anche alla morte. 

Reti come #etuslegalosubito (risposta data da Basaglia agli inservienti quando chiedevano che fare con un paziente legato) e #stopOpg, insieme a tutte le associazioni che hanno presa vita da familiari di vittime di questa pratica barbara (vedi il caso Casu o Mastrogiovanni rispettivamente del 2006 e del 2009), stanno spingendo affinché vi sia l’abolizione di questa pratica coercitiva.

Il punto centrale rimane sempre lo stesso: gli unici metodi con cui viene trattata la malattia mentale sono la forza e l’isolamento. 

Questo quando, nel nostro paese, le  leggi che tutelano la libertà personale sono sancite dalla Costituzione, basti pensare all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.

Leggi che di fatto vengono continuamente violate, attraverso Tso (Trattamento Sanitario Obbliogatorio) finiti in tragedia (un nome per tutti: Andrea Soldi), morti silenziate negli Opg ( come quella di Hajaj Derri), Tso dati per motivi sociopolitici (Karima, Torino 2015) ed infine decessi per contenzione (uno delle vittime più recenti: Franco Mastrogiovanni).

In conclusione dunque, la speranza è sempre la stessa; una celere riposta da parte del governo per una vera e definitiva chiusura degli Opg, per una discussione opportuna su misure diverse da quelle carcerarie e una revisione dei metodi di ospedalizzazione della malattia mentale.

Inconcepibile e inaccettabile è infatti, che nel 2016 in Italia la malattia mentale sia ancora una stigmate da nascondere e criminalizzare e non vi siano ancora devi veri e propri percorsi di rieducazione e riabilitazione da parte delle istituzioni ma che siano i singoli cittadini a doversene fare carico alzando la voce per quelli che, nella realtà dei fatti, non sono altro che diritti fondamentali della persona.