L'importanza della memoria. Appunti sulla protesta davanti alla Prefettura di Treviso del luglio 2015

22 / 1 / 2020

Nota del centro sociale Django sul luglio 2015 sui fatti di Quinto di Treviso, che vede trentasette compagni e compagne del nord-est imputati per aver protestato contro il trattamento disumano riservato ai migranti e il pogrom messo in atto da forza nuova in quei giorni.

La memoria è il risultato di una decisione intellettuale e politica attiva, sempre soggetta a continue negoziazioni, nei confronti di cosa conservare e cosa invece abbandonare all'oblio.

L'oblio nella creazione di una memoria collettiva è importante quanto il ricordo perché svela il piano su cui si è mossa la selezione, dice non dicendo, smaschera su quale scala e su quali priorità è stata costruita la narrazione di un passato, che per quanto recente, viene mutilato grazie ad un processo di sottrazione dal contesto entro cui presero forma gli eventi di quel luglio del 2015, nella settimana che precedette la mobilitazione che ci vide protagonisti di un sit-in pacifico davanti alla Prefettura di Treviso all'indomani dei fatti di Quinto e che oggi vede imputati a processo 30 nostri compagni.

Ci trovavamo nel pieno di quella che è ricordata come emergenza umanitaria e a Treviso vennero trasferiti circa un centinaio di profughi provenienti da Lampedusa e dai centri di prima accoglienza in Sicilia. Per 48 ore i corpi stanchi dei migranti, indifesi e ridotti a ostaggi, vennero parcheggiati all'interno di pullman a ridosso della Stazione ferroviaria in via Dandolo, per poi essere temporaneamente trasferiti nella notte all'interno di alcuni locali destinati ad ospitare delle attività commerciali all'interno della centralissima stazione, in vetrina come delle merci.

L'allora prefetto in città era Maria Augusta Marrosu, oggi indagata dalla procura di Venezia per "non aver impedito"  ai vertici delle cooperative di arricchirsi illegalmente sulle spalle dei migranti in relazione all'inchiesta sul Centro di Identificazione (CIE) e il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) quando prima di arrivare a Treviso era Prefetto di Gorizia.

Fin dalla loro apertura questi due centri di Gorizia, gestiti dalla Connecting People una Onlus di Trapani, furono oggetto di aspre polemiche per le condizioni di vita al loro interno tanto da guadagnarsi l'appellativo di "Guantanamo d'Italia".

Ma torniamo a Treviso, dalle boutique della Stazione Ferroviaria, i migranti vennero trasferiti su ordine della Prefettura in una palazzina a Quinto di Treviso: una decisione dall'alto senza neppure tentare una mediazione e senza avvisare i residenti dell'imminente trasferimento.

Il giorno stesso esplose una protesta, grazie alla presenza di alcuni Forzanovisti che, cavalcando la paura dei residenti violarono gli appartamenti destinanti ai migranti e trasportarono in strada materassi e scatoloni di materiale di prima necessità a cui venne poi dato fuoco.

I media parlarono di una protesta spontanea da parte dei residenti del quartiere,ma il lavoro sporco fu fatto da noti esponenti di Forza Nuova, partito politico neofascista che secondo i dati del Ministero dell'Interno tra il 2011 e il 2016 ha accumulato 240 denunce e dieci arresti per violenze e raid squadristi contro migranti, omosessuali, medici e giovani di sinistra.

La notizia di quello che viene ricordato come il pogrom di Quinto, all'indomani dai fatti, fece il giro d'Italia. A Roma militanti di Casa Pound manifestarono per impedire il trasferimento dei migranti in un altro centro di accoglienza, segno evidente che dietro a quanto stava accadendo nel piccolo comune trevigiano esisteva un disegno politico su scala più ampia.

Le reazioni a caldo del governatore del Veneto Luca Zaia, mediante il suo profilo twitter, furono testualmente "Questa notte la povera gente di #Quinto ha dormito per la strada nelle tende coi figli" lodando la resistenza dei cittadini contro l'arrivo degli stranieri, "se ne devono andare" e Matteo Salvini annunciò una visita nel quartiere. I militanti di Forza Nuova ancora presenti nel quartiere allestirono un presidio permanente, bloccarono l'arrivo dei viveri mentre Polizia e Carabinieri di fatto si limitarono a sorvegliare quanto stava accadendo.

Il bagliore di quei fuochi si impresse nelle nostre coscienze, non si poteva stare in silenzio rispetto a quanto stava accadendo sotto i nostri occhi e l'indomani decidemmo dopo un giro di telefonate di andare a sederci pacificamente davanti alla prefettura in segno di protesta, era necessario lanciare un segnale di protesta rispetto alla malagestione dell'accoglienza da parte del Prefetto Marrosu, e furono in tanti a telefonarci e scriverci da altre città del Veneto increduli rispetto a quanto stavano vedendo in tutti i telegiornali nazionali. Perché ancora una volta Treviso? una risposta era necessaria ne andava della dignità dei tanti cittadini che come noi inorridirono davanti alla violenza di quei roghi.

Sull'entrata della Prefettura venne affisso uno striscione con su scritto "Refugees Welcome" e in tanti decidemmo di sederci davanti all'ingresso, pacificamente. 

Il ruolo di Polizia e Carabinieri in questa occasione, contrariamente a quanto accaduto a Quinto, fu decisamente più attivo per usare un eufemismo, molti ragazzi e ragazze vennero trascinati a peso dentro le camionette della celere e circa una trentina di attivisti messi in stato di fermo e una volta identificati denunciati per interruzione di pubblico servizio.

Contrariamente a quanto accaduto per i militanti di CasaPound autori nei disordini a Casale San Nicola, a nord della capitale, condannati in primo grado con le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e lesioni, per gli autori del pogrom di Quinto non c'è stato nessun indagato, come se non fosse successo nulla, il "fatto non sussiste", la passarono liscia insomma.

Il prefetto Marrosu su richiesta dell'allora Ministro dell'interno Alfano venne rimosso, al suo posto Laura Lega, la "lady di ferro" arrivata da Roma che come soluzione "temporanea" decise di aprire l'hotspot dell'ex caserma Serena di Treviso, di li a poco i 101 migranti di Quinto diventeranno molti di più. L'hub tra il 2015 e il 2017 arriverà ad ospitare oltre 1.000 persone, anche su questo dato la Prefettura di treviso non è mai stata chiara e non ha mai fornito dati precisi, informazioni che abbiamo ottenuto attraverso un lavoro di inchiesta indipendente.

La palazzina che doveva ospitare i migranti nel quartiere di Quinto a Treviso venne liquidata perchè di proprietà della Guaraldo Spa, impresa che dopo 6 anni di concordato è fallita per poi venir definitivamente liquidata nel 2017 con un passivo di quasi 90 milioni di euro tra ipoteche e creditori.

Alla richiesta di concordato il Gruppo Guaraldo, stando a quanto affermato dal commissario giudiziale, apparteneva interamente alla Nova Marghera Spa, società guidata dalla stessa famiglia Marinese di cui fa parte anche Gian Lorenzo, oggi responsabile della società Nova Facility che dai roghi di Quinto del 2015 si è aggiudicata la gestione dell'hotspot all'interno dell'ex Caserma Serena di Dosson e che dal 2019  su mandato dell'attuale amministrazione Conte, ha ottenuto anche l'appalto del Comune di Treviso per la gestione del dormitorio Comunale e della mensa.

Ancora una volta le proteste dei fascisti e dei leghisti sono state funzionali ad un sistema di malaffare, l'inchiesta Roma Mafia Capitale d'altronde ne ha evidenziato molto chiaramente il modus operandi e le complicità tra gruppi neofascisti e criminalità organizzata.

La Caserma Serena da soluzione temporanea è diventata sistemica e grazie ai tagli dei budget del decreto sicurezza Salvini, è oggi l'unico modello "industriale" di gestione dell'accoglienza che esiste in città, a grandi numeri corrispondono grandi profitti, e poco importa l'inadeguatezza del percorso di integrazione e la poca trasparenza da parte delle società di gestione. In questo modo, i richiedenti asilo dopo aver arricchito società di comodo e senza aver avuto la possibilità di apprendere la lingua e di sviluppare competenze utili all’inserimento lavorativo vengono abbandonati in strada al loro destino: ciò determina, anche in caso di riconoscimento dello status di rifugiato, la forte esposizione a situazioni di marginalità e un peso a cui devono far fronte i budget dei Comuni che ne subappaltano la gestione ai soliti amici.

La storia è questa, molto di queste vicende se non è stato rimosso è destinato all'oblio, ma noi in Tribunale ci andremo a testa alta e racconteremo la nostra verità.