Le lotte contro il climate change e la rivoluzione contro il Vampiro

15 / 11 / 2018

L’ultimo rapporto IPCC (intergovernmental Panel on climate change) afferma che abbiamo poco più di una decina d’anni per contenere l’aumento della temperatura mondiale entro 1,5 gradi e mantenere gli effetti del riscaldamento già in corso entro livelli gestibili. Ciò che emerge da questi dati inequivocabili è una realtà che si racchiude in un principio semplice: i mutamenti climatici non rappresentano un problema tra tanti, una contraddizione accanto ad altre contraddizioni del modo di produzione capitalistico, ma la contraddizione principale.

Per la precisione il cambiamento climatico, che inesorabilmente apre scenari catastrofici per la vita dell’intero pianeta, di cui peraltro ci sono già segnali drammatici in ogni parte del mondo, è piuttosto un orizzonte epocale nel quale si concentrano e si saturano tutte le contraddizioni del capitalismo. Allo stesso tempo è la cornice dentro la quale può ritrovare prospettiva strategica e nuovo slancio vitale un processo rivoluzionario globale, immediatamente internazionalista.

I conflitti per la “giustizia climatica”, contro il capitale estrattivo e predatorio e la privatizzazione dei “commons” naturali e sociali, non hanno nessuna mediazione possibile: sono direttamente contro la mostruosa macchina del biopotere capitalistico, in quanto potere di sfruttamento e distruzione del “vivente”, della vita in tutte le sue espressioni ed articolazioni. Sono spazzate via tutte le ipotesi riformiste ed economiciste, il vecchio ambientalismo, le mistificazioni della green economy, ma anche lo schema dello sviluppo illimitato delle forze produttive, il mito del progresso e dello sviluppo economico, la riduzione delle contraddizioni di classe a un’unica dimensione, quella tra capitale e lavoro, vero mantra di tutti i socialdemocratici. Quando l’intera vita del pianeta e del mondo-ambiente che avvolge le nostre esistenze può essere interamente distrutta, nessuna mediazione è possibile. L’alternativa non può che porsi in maniera radicale e mette in discussione non singoli aspetti di questo sistema politico-economico, ma i suoi fondamenti costitutivi, la sua totalità e la sua essenza.

La sensazione è che tutto ciò sia non più profezia catastrofista, bensì la dimensione del presente nel quale siamo già entrati, con il susseguirsi sempre più veloce di catastrofi climatiche, l’aumento oltre ogni limite dell’avvelenamento dell’acqua, dell’aria, della terra, della catena alimentare, con esodi biblici di intere popolazioni migranti. Una dimensione immediatamente comunicativa, pervasiva, diffusiva. Le iniziative di resistenza e lotta su queste tematiche biopolitiche si propagano immediatamente, partendo magari da un singolo punto, in maniera rizomatica, come se esse fossero del tutto immanenti a un nuovo corpo comune e collettivo. Un corpo spesso di giovani e giovanissimi, “virtualmente” ribelle e che ha già il senso di trasformazione radicale del modo di produzione, ma anche il desiderio di altre forme di vita, di un rapporto nuovo con la natura ed il “vivente”. Una potenziale “macchina da guerra” desiderante contro la” macchina da guerra” del biopotere ordoliberista, per usare il linguaggio, spesso ricco e suggestivo, di Deleuze.

Il capitalismo estrattivo non è solo, ovviamente, estrazione dalle viscere della terra di combustibili fossili, carbone, gas, petrolio per ottenere l’energia che fa funzionare la mega-macchina dello sfruttamento. Molto di più: è la sintesi estrema del suo processo di costruzione storica, che ne svela fino in fondo la genealogia e in cui l’esito finale ci riporta al suo inizio, all’accumulazione originaria, un atto che non si dà una sola volta, ma si ripete a ogni fase del suo sviluppo e che implica il dominio sulla vita e sulla natura. L’estrattivismo capitalista ne rappresenta l’anima, così come nell’efficace metafora marxiana del Vampiro, con il capitalismo che ha bisogno di succhiare la linfa vitale del lavoro vivo, ma anche del mondo della vita in tutta la sua complessità, umana, animale, vegetale. Il vampirismo predatorio e costitutivo del capitalismo si definisce attraverso  vari  meccanismi e dispositivi sedimentati nel tempo e in un lungo processo storico. In esso confluiscono molteplici fattori: dalla teologia cristiana all’ideologia calvinista, alle costruzioni giuridiche, alle concezioni scientifiche, culturali, filosofiche. Alle spalle della nascita del Vampiro vi sono complesse operazioni di montaggio della macchina di dominio. Essa è da sempre finalizzata, pur con passaggi storici diversificati e continuamente ridefiniti, a una determinata concezione dell’uomo e del suo rapporto con la natura, mediato dal processo produttivo e dal lavoro, sotto la forma dello sfruttamento ed estrazione di plusvalore, il vero sangue vitale dei capitalisti e dei loro profitti. L’obiettivo è quello di creare una “visione del mondo” assoluta e totalitaria, performativa, che crea un vero e proprio modello antropologico e produce soggettività asservita, funzionale alla riproduzione dei rapporti di comando.

Questa visione del mondo si basa sul mito del Progresso, lo sviluppo illimitato del modo di produzione capitalistico, l’utilizzo della scienza e della tecnica come strumenti di assoggettamento e sfruttamento dell’uomo e della natura invece che come strumenti di liberazione. La precondizione storica di questi processi, sempre riattualizzati, consiste nell’eliminazione e violenza contro gli “eretici”, i portatori di un’altra visione del mondo, come Francesco d’Assisi nell’epoca di affermazione del capitalismo mercantile o Giordano Bruno e la sua concezione della natura come essere vivente e divino, fino allo sterminio, in nome del progresso e della “vera religione” di intere popolazioni “non civili”, o la persecuzione delle “streghe”, come donne non omologate o subordinate al ruolo patriarcale di inferiorità ed assoggettamento.

Alcuni passaggi sono fondamentali: la teologia cristiana stabilisce la superiorità ontologica dell’uomo su tutto il resto della natura, creando i fondamenti dell’antropocentrismo; Cartesio crea le basi del razionalismo moderno attraverso la separazione tra soggetto e oggetto, così che il mondo naturale viene oggettivato e, in quanto tale, infinitamente manipolabile dalla scienza e dall’opera dell’uomo. Questi sono solo due aspetti che stanno alla base dello “specismo”, ovvero la superiorità della specie umana su tutto il resto della natura, che può essere sacrificata in nome di questa superiorità. Questa concezione è alla base del colonialismo, del razzismo, del patriarcato; nella generica superiorità specista, si nasconde un’ulteriore segmentazione, ovvero la superiorità dell’uomo bianco patriarcale, il suo diritto di conquistare e sottomettere le popolazioni inferiori, occuparne i territori, saccheggiarne le ricchezze, ridurle ad uno status giuridico subumano, a pura animalità.

L’attuale espropriazione di terre, le nuove recinzioni, le terre destinate al sacrificio delle popolazioni, dell’habitat naturale, la distruzione di foreste e interi ecosistemi per estrarre, scavare, trivellare disegnano un quadro globale neocolonialista, non solo nelle aree esterne ai paesi metropolitani, ma al loro stesso interno. Ecco perché «system change, not climate change» è una parola d’ordine universale di immediata efficacia e comprensione, contro tutte le forme di inquinamento del nostro pianeta. Nel libro fondamentale di Naomy Klein, Una rivoluzione ci salverà, sono contenute una miriade di informazioni sui movimenti di resistenza e di lotta in tutto il mondo sotto questa bandiera. Anche qui da noi, a partire dai nostri territori, abbiamo recentemente toccato con mano come la proposta di iniziative e mobilitazioni su questi terreni, tarate sulla dimensione internazionale; abbiamo immediatamente e sorprendentemente un eco non solo locale, ma una condivisione transnazionale e globale, soprattutto dalle componenti giovanili. È un segnale importante perché forse è qui che «il nuovo che nasce e il vecchio muore». Proprio per questo è necessario, da parte della soggettività rivoluzionaria, adeguare le forme e i modi dell’agire politico a questo livello e a questa altezza.