Le ferite non si archiviano!

La Procura della Republica del tribunale di Torino chiede l'archiviazione in merito ai fatti del 3 Luglio 2011 in Val Susa, dove un'attivista, Fabiano Di Berardino, fu vittima di un pestaggio da parte delle forze dell'ordine.Pubblichiamo un suo commento

18 / 10 / 2012


Da pochi giorni ho ricevuto gli atti da parte della Procura della Repubblica del tribunale di Torino, che chiede l'archiviazione della mia querela nei confronti delle forze dell'ordine, che il 3 Luglio del 2011, durante la manifestazione in Val Susa contro il Tav, hanno attuato un vero e proprio pestaggio nei miei confronti. 
Si chiede l'archiviazione del caso, sulla base di testimonianze di poliziotti, di giornalisti e fotografi "accreditati", che dicono di non aver visto nessun comportamento scorretto delle forze dell'ordine nei miei confronti.

Inoltre negli atti, viene citato un 'articolo http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/07/04/gli-agenti-volevano-farci-male.html?ref=search (difficilissimo da trovare in rete) pubblicato su La Repubblica Torino il 4 Luglio (giorno seguente al pestaggio) dalla giornalista Sarah Martinenghi, che mi attribuisce un virgolettato contenente parole, che io non ho mai pronunciato. In fondo alla pagina potete trovare la mail da me inviata alla redazione di La Repubblica Torino, che a distanza di 72h non mi ha ancora dato risposta.

Io se chiudo gli occhi e ripenso a quella giornata, sento ancora le botte in testa e il sapore di sangue che dal naso scende giù fino alla gola, vedo ancora i volti dei poliziotti coperti da caschi e bandane, che si avvicinano alla barella e  mi bisbigliano "ti ammazziamo" ad un palmo dall'orecchio, mi vengono ancora i conati di vomito al pensiero delle scatarrate e degli sputi, che si mescolavano col sangue sul mio viso, sento ancora le ossa che si spezzano mentre sono rannicchiato a terra, ricordo bene anche il momento in cui ho pensato "cazzo mi stanno ammazzando davvero". 
Bé, anche se sono convinto che la storia non si scrive nei tribunali e che la giustizia non sia quasi mai quella che passa tra le labbra di un giudice, ritengo ingiusta e vergognosa questa richiesta di archiviazione, perché per me è come essere stato pestato una seconda volta.
E' per questo che il mio legale ha proposto opposizione a questa assurda richiesta. E' per questo che chiedo che questo testo, sia fatto girare il più possibile in rete.
E' di questi giorni la notizia, che il poliziotto che colpì Martina Fabbri rompendole 4 incisivi, il 12 Ottobre del 2011, nella carica davanti alla sede della Banca d'Italia a Bologna, è stato finalmente identificato, ed è stato possibile solo grazie ai video forniti dagli attivisti e non a quelli delle forze dell'ordine. Comunque un dato positivo,che conferma però che qui, non si parla di una o di poche mele marce ma di un'intero apparato che sa di poter agire colpendo duramente e restando impunito e che si autodifende, facendo dell'omertà e della "solidarietà" di branco una pratica quotidiana, arma infallibile contro la verità.
Per questo e non per altro, bisognerebbe lanciare una campagna seria sull'uso dei numeri identificativi su caschi e divise e sul reato di tortura in Italia.
Per quanto mi riguarda, neanche tutte le botte prese, le cicatrici e i vari acciacchi che mi porto dietro da quella fantastica, seppur per me drammatica, giornata di lotta del 3 Luglio 2011, sono bastati a sedare la mia voglia di ribellione, avete fallito ancora una volta. Perchè faccio parte di una banda immensa, che non molla mai, che vi troverete sempre davanti, lì dove ci sono zone rosse, limiti invalicabili, spazi liberati e territori da difendere, lì dove c'è anche solo la puzza di ingiustizia, liberi dalla zavorra della paura, perché il sorriso non ce lo toglierete MAI!

QUI SOTTO LA MAIL INVIATA A SARA MARTINENGHI DE "LA REPUBBLICA":

Gent.ma Sarah Martinenghi,
io non la conosco, ma le scrivo in merito ad un suo articolo intitolato “Erano organizzati e volevano farci male” pubblicato il 4 luglio del 2011 su La Repubblica Torino, dove appare un virgolettato che lei mi attribuisce: “ma non mi hanno picchiato sono stati i miei a ridurmi così -ha raccontato ai medici- sono caduto e gli altri mi sono passati sopra, mi hanno calpestato”. Io non ho mai pronunciato quelle parole, né davanti ai medici né davanti a lei, al mio arrivo in ospedale stavo molto male a causa delle ferite e delle fratture e non ho mai rilasciato un'intervista a lei; l'unica che ho concesso a La Repubblica è testimoniata dall'inizio alla fine da un video reperibile in rete su You tube ed altri canali dove ho pubblicamente denunciato il pestaggio. Le scrivo a distanza di più di un anno, perchè solo ora vengo a conoscenza di questo articolo attraverso gli atti ricevuti in questi giorni dalla Procura Della Repubblica del tribunale di Torino che chiede l'archiviazione del mio caso. La digos di Torino ha sostenuto che io stia mentendo sulla base del suo articolo e il pubblico ministero ha allegato agli atti per il giudice questa sua intervista fantasma. Io il 3 luglio ho subito un pestaggio, ho subito botte, tagli e fratture,  sputi ed insulti,  la mia persona è stata ingiuriata sia fisicamente che psicologicamente e leggere il suo articolo tra gli atti usati per smontare la tesi del pestaggio mi fa rivivere la sensazione di ingiustizia ed impotenza che ho vissuto in quella giornata. 
La prego di pubblicare questa mia lettera, quale segno di rispetto.
Domenica 14 ottobre San Vito Chietino (CH)
Fabiano Di Berardino

Foto Fabiano

conferenza stampa Fabiano

intervista Fabiano