Le diverse anime di Bruxelles

Si sono concluse le tre giornate di mobilitazione europea a Bruxelles del 15,16,17 ottobre

19 / 10 / 2015

Le giacche e le cravatte, i tailleur ed i tacchi eleganti, questa l'estetica delle persone che dal lunedì al venerdì frequentano il quartiere europeo di Bruxelles. Tra impiegati delle ONG, della Direzione Generale della Commissione Europea e delle altre istituzioni comunitarie, si possono contare decine di migliaia di persone (solo l'organo presieduto da Juncker ne richiede più di trentamila).

Durante gli eventi di incontro e di discussione tra i leader europei la presenza di questa burocrazia internazionale - che attira giovani stagisti e tirocinanti per fare esperienze in questo ambito da ogni angolo del continente – sembra farsi più visibile per soddisfare al meglio l'accoglienza nella capitale. Non è stato così durante l'Eurosummit del Consiglio europeo di giovedì e venerdì.

Il centro del quartiere europeo è stato completamente chiuso e militarizzato dalle forze dell'ordine belghe per impedire che le voci del primo giorno di mobilitazione transnazionale, organizzato principalmente dall'Altersummit, attraversassero gli spessi muri ed i vetri infrangibili del Parlamento europeo.

Centinaia di attivisti dalla Spagna, dall'Italia, dalla Grecia e dalla Francia sono arrivati nella capitale politica dell'Unione, dopo aver percorso migliaia di chilometri in carovana, per mettere in comune un lessico che descrive un altro futuro possibile al di là dell'austerità, del nuovo diritto del lavoro e del TTIP, del regime delle frontiere e del governo della mobilità, della decisionalità post-democratica. Queste tematiche sono infatti state la caratterizzazione dei presidi attorno al Parlamento europeo che ci sono stati durante la prima delle tre giornate contro l'Eurosummit, così come dei blocchi non autorizzati delle vie d'accesso al palazzo dove questo si svolgeva. Ai diversi presidi hanno partecipato movimenti sociali, sindacati, associazioni e collettivi.

La delegazione italiana, composta in gran parte dai Centri Sociali del Nord-Est e delle Marche, si è inserita nell'organizzazione delle mobilitazioni costruendo un discorso politico per cui il dogma del pareggio di bilancio ed il controllo o la chiusura delle frontiere sulla pelle dei migranti sono da considerarsi i due segni che mostrano la vera faccia del Vecchio Continente.

E' di pochi giorno fa la notizia che la Commissione europea vuole approfondire il solco di divisione tra chi è degno di avere il permesso di restare nei nostri Paesi e chi, invece, sarà respinto perché non considerato in fuga. Attraverso l'espulsione di quattrocento mila migranti cosiddetti economici, si cerca di rendere compatibile l'accoglienza differenziata di alcuni migranti con il mantenimento del rigore finanziario, senza allargare in alcun modo i diritti di cittadinanza ma, anzi, limitandoli anche per coloro che ne sarebbero titolari formalmente. Quale rispetto o solidarietà può avere l'Unione Europea che oltre ai muri nazionalisti e xenofobi permette le democratiche bidonville di Stato come a Calais?

Lo spezzone collettivo di migranti ed europei ha denunciato le scelte contenute negli ultimi provvedimenti, riassunte con efficacia dallo striscione: “I rifugiati di oggi sono i sans papiers di domani”. Dire comunemente “Welcome to Europe” è dare un messaggio di accoglienza a tutti: da chi arriva e pretende cittadinanza fino a chi si trova diseredato dai diritti che questa dovrebbe garantire.

Il punto prioritario all'ordine del giorno dell'Eurosummit è ruotato attorno alla questione della migrazione. I big degli Stati membri hanno passato velocemente in rassegna nodi giudicati “secondari”, come il cambiamento climatico che causa devastazione economica e morti, per arrivare a ciò che impegna maggiormente le strategie geopolitiche: l'accordo tra Commissione europea e Turchia. Juncker si è speso già dagli inizi di ottobre nella promozione di un dialogo con Erdogan al fine di permettere l'avvicinamento turco all'Unione Europea. Gli esiti del confronto sono prevedibili in base al pre-accordo firmato nella notte di giovedì a questo proposito: il controllo esterno delle frontiere non ha alcun tipo di intenzione umanitaria, come sarebbe la costruzione di un corridoio per far passare in sicurezza le persone da un Paese all'altro, ma parla di detenzione e blocco delle migrazioni. Con una promessa di tre miliardi di euro ed una velocizzazione del processo di ottenimento del permesso di soggiorno per i cittadini turchi, Erdogan si impegnerebbe a istituire e gestire degli hotspot sul suo territorio per fare da tampone con i flussi provenienti dalla Siria. Tutto ciò si accompagnerebbe al riconoscimento della Turchia come zona sicura, ossia un territorio dove vige il rispetto per i diritti umani. Proprio ciò che mancava a Erdogan: fare in modo che anche soltanto l'osservazione formale internazionale non costituisse più un problema, soprattutto in periodo di campagna elettorale e di guerra aperta con i curdi e le opposizioni politiche. L'Europa della democrazia, della libertà di parola e della pace chiuderà gli occhi di fronte alle bombe esplose, alle uccisioni a freddo, alle collaborazioni con l'ISIS? Lo scetticismo da parte di alcuni Primi Ministri è ancora debole rispetto alla possibilità di gestire il flusso esterno dei migranti e il posizionamento strategico turco sul Medio Oriente.

La chiusura dal basso dell'Ambasciata turca, proprio durante l'espressione di voto dei cittadini residenti in Belgio, praticata dalla delegazione dei centri sociali, da IL e dalle reti antirazziste europee, è riuscita a immettersi nell'ordine del giorno delle élites europee. Nessun accordo può essere stipulato sulla pelle dei migranti e di coloro che in Turchia, come i curdi, si stanno mobilitando per far cadere la tirannia cieca di Erdogan e diffondere i principi della rivoluzione del Rojava. Le soluzioni da applicare sarebbero molto semplici: condanna della Turchia, sostegno diretto al popolo curdo, apertura di canali umanitari, regolarizzazione di chi è senza documenti e un sistema degno di accoglienza a livello europeo che preveda il superamento di Dublino.

Tali rivendicazioni acquistano un senso politico nel momento in cui vengono attivate all'interno di reti transnazionali, da Blockupy – che ha deciso di riunirsi in quei giorni proprio a Bruxelles – ad altre piattaforme che cercano di connettere le alternative alla governance autoritaria. Lo si è visto sabato 17 ottobre durante la “Marcia contro la povertà“, in cui diverse migliaia di persone hanno attraversato le arterie principali della capitale economica europea.

Un corteo convocato sì contro il Trattato Transatlantico, ma che è stato capace di condensare dei punti che accomunano nelle diverse lingue europee i movimenti sociali. Certo, l'organizzazione e le pratiche devono ancora svilupparsi e trovare una loro dimensione di efficacia sul piano europeo. Eppure, sembra che un germoglio di senso politico comune sia stato seminato per la condivisione di una strategia che investa la trasformazione - radicale, solidale, democratica - della nostra Europa.