Apocalisse significa rivelazione. Che cosa ci rivela
l'apocalisse scatenata dal maremoto che ha colpito la costa
nordorientale del Giappone?
Non o non solo - come sostengono più o
meno tutti i media ufficiali - che la sicurezza (totale) non è mai
raggiungibile e che anche la tecnologia, l'infrastruttura e
l'organizzazione di un paese moderno ed efficiente non bastano a
contenere i danni provocati dall'infinita potenza di una natura che si
risveglia. Il fatto è, invece, che tecnologia, infrastrutture e
organizzazione a volte - e per lo più - moltiplicano quei danni, com'è
successo in Giappone, dove la cattiva gestione di una, o molte, centrali
nucleari si è andata ad aggiungere ai danni dello tsunami.
Non è
stato lo tsunami a frustrare anche le migliori intenzioni di governanti,
manager, amministratori e comunicatori: l'apocalisse li ha trovati
intenti a mentire spudoratamente su tutto, di ora in ora; cercando di
nascondere a pezzi e bocconi un disastro che di ora in ora la realtà si
incarica di svelare. È un'intera classe dirigente, non solo del nostro
paese, ma dell'Europa, del Giappone, del mondo, che l'apocalisse coglie
in flagrante mendacio, insegnandoci a non fidarci mai di nessuno di
loro. Solo per fare un esempio, e il più "leggero": Angela Merkel corre
ai ripari fermando tre, poi sette, poi forse nove centrali nucleari che
solo fino a tre giorni fa aveva imposto di mantenere in funzione per
altri vent'anni. Ma non erano nelle stesse condizioni di oggi anche tre
giorni fa? E dunque: c'era da fidarsi allora? E c'è da fidarsi adesso?
Per
chi non ha la possibilità o la voglia di sviluppare un pensiero critico
e si lascia educare dai media, sono gli scienziati e i tecnici a
poterci e doverci guidare lungo la frontiera dello sviluppo. I risultati
di quella guida sono ora lì davanti ai nostri occhi. L'apocalisse ci
rivela invece che sono gli artisti, con la loro sensibilità e il loro
disinteresse, a instradarci verso la scoperta del futuro. Leggete Terra
bruciata di James Ballard o, meglio ancora, La strada di Cormac
McCarthy; o andate a vedere il film tratto da questo romanzo. Vi
ritroverete immediatamente immersi in panorami che oggi le riprese
televisive della costa nordorientale del Giappone ci mettono davanti
agli occhi. E con McCarthy potrete rivivere anche il senso di abbandono,
di terrore, di sconforto, di inanità che solo una irriducibile voglia
di sopravvivere a qualunque costo e il fuoco di un legame affettivo
indissolubile riesce a sconfiggere.
L'apocalisse ci rivela che la
normalità - quella che ha contraddistinto la vita di molti di noi per
molti degli anni passati, ma che non è stata certo vissuta dai miliardi
di esseri umani che hanno fatto le spese del nostro "sviluppo" e del
nostro finto "benessere" - è finita o sta per finire per sempre. È
finita per il Giappone - e non solo per le popolazioni sommerse dallo
tsunami - che ora deve fermare le sue fabbriche, sospendere le sue
esportazioni, far viaggiare a singhiozzo i suoi treni, chiudere le pompe
di benzina, spegnere le luci, bloccare tutti o quasi i suoi reattori
nucleari; senza sapere con che cosa sostituirli e senza sapere se e
quando potrà riprendersi da un colpo del genere (un destino simile a
quello che potrebbe far piombare di colpo la Francia nelle condizioni di
un paese "sottosviluppato" se solo le accadesse un incidente analogo). I
tanti programmi di «rinascita del nucleare» varati negli ultimi anni -
che sono la risposta più irresponsabile e criminale alla crisi economica
mondiale - si rivelano una truffa: il tentativo di far credere che con
l'atomo consumi, sviluppo ed "emersione" di paesi che annoverano
miliardi di abitanti possano riprendere e continuare a crescere come
prima. Tant'è che quei programmi stavano andando avanti - e forse
verranno mantenuti ancora per un po' - soltanto nei paesi senza nemmeno
la parvenza della democrazia (tra cui l'Italia). Ma adesso tutti, o
quasi, si dovranno fermare.
Ma non saranno rose e fiori neanche per i
paesi che viaggiano a petrolio, metano e carbone, come il nostro. Il
Medio Oriente è in fiamme e se - o meglio, quando - crollerà il regno
saudita, anche il petrolio arriverà con il contagocce. Soprattutto in
Italia; ma anche in Europa. E allora addio sogni di gloria per
l'industria automobilistica: non solo quelli di Marchionne (che sono un
mero imbroglio), ma anche per quelli di tutta l'Europa. Per non parlare
degli Stati Uniti: a giugno dovranno rinnovare una parte del loro
debito, che è ben più serio e in bilico di quelli di tutti i paesi
dell'Unione europea messi insieme; ma forse nessuno lo vorrà più
comprare. Il che significa che un nuovo crack planetario è alle porte.
Insomma,
niente sarà più come prima. Era già stato detto all'indomani dell'11
settembre; ma poi ciascuno ha continuato a fare quello che faceva prima.
Comprese le guerre; compresa le speculazioni finanziarie e la
reiterazione della crisi che essa si porta dietro; e che è stata invece
trattata come «un incidente di percorso», da cui riprendere al più
presto la strada di prima, discettando sui decimali di Pil che da un
momento all'altro potrebbero invece precipitare di un quinto o di un
terzo.
Quello che l'apocalisse dello tsunami in Giappone ci rivela è
la "normalità" di domani. L'apocalisse è già tra noi, in quello che
facciamo tutti i giorni e soprattutto in quello che non facciamo.
Dobbiamo imparare ad attraversare e a vivere dentro un panorama
devastato, dove niente o quasi funziona più: non solo per il crollo o il
degrado delle sue strutture fisiche; o per l'intasamento della loro
"capacità di carico"; ma anche e soprattutto per la manomissione delle
linee di comando, per la paralisi delle strutture organizzate, per la
dissoluzione dello spirito pubblico calpestato dalle menzogne e
dall'ipocrisia di chi comanda.
Volenti o nolenti saremo obbligati a
cambiare il nostro modo di pensare e dovremo studiare come riorganizzare
le nostre vite in termini di una maggiore sobrietà; e in modo che non
dipendano più dai grandi impianti, dalle grandi strutture, dalle grandi
reti, dai grandi capitali, dalle grandi corporation che li controllano e
dalle organizzazioni statali e sovrastatali che ne sono controllate:
tutte cose che possono venir meno, o cambiare improvvisamente aspetto
dall'oggi al domani.
Dobbiamo adoperarci per mettere a punto
strumenti di autogoverno a livello territoriale, in un raggio di azione
che sia alla portata di ciascuno, in modo da avvicinare le risorse
fisiche alle sedi della loro trasformazione e queste ai mercati del loro
consumo e alle vie del loro recupero: perché solo di lì si può partire
per costruire delle reti sufficientemente ampie e flessibili che siano
in grado di far fronte a una improvvisa crisi energetica, alle molte
facce della crisi ambientale, a una nuova crisi finanziaria che è alle
porte, al disfacimento del tessuto economico e alla crisi occupazionale
che si aggrava di giorno in giorno; e persino a una crisi alimentare che
potrebbe farsi improvvisamente sentire anche in un paese del "prospero"
Occidente. Le fonti rinnovabili, l'efficienza e il risparmio
energetici, il riciclo totale dei nostri scarti, un'agricoltura a
chilometri zero, la salvaguardia e il riassetto del nostro territorio,
ma soprattutto uno stile di vita più sobrio e restituito alla
socievolezza sono i cardini e la base materiale di una svolta del
genere. Va bene tutto ciò che va in questa direzione; anche le piccole
cose. Va male tutto ciò che vi si oppone: soprattutto la rinuncia a un
pensiero radicale.
L'apocalisse è già qui
17 / 3 / 2011
Tratto da: