L’agosto di Taranto tra menzogne del potere e verità libere e pensanti

22 / 8 / 2012

 Sin dai tempi dell’antica Grecia, si cogliel’esistenza di una relazione molto stretta tra la degenerazione del potere e l’alterazione delle pratiche veritative, ossia di quelle attività verbali in cui il parlante sceglie di dire cose chiare e franche. Tuttavia, nel corso di tutta la storia della filosofia politica occidentale, l’uso politico della menzogna è stato considerato come un farmaco, da applicare in piccole dosi per il bene della città.

E chi governa deve “esercitare la virtù di saper simulare e dissimulare, senza però apparire spergiuro e mentitore”, per dirla con Machiavelli. Soltanto in epoca contemporanea, con Hannah Arendt si arriva a considerare come in realtà la menzogna reiterata finisca per mostrare, prima o poi, il suo impatto distruttivo sulla politica. E ciò avviene soprattutto nei regimi totalitari.

Ma nel tempo presente, nelle democrazie occidentali, anche in quelle più mature, l’atto intenzionale del mentire è diventato una specifica forma di azione politica che ha perduto ogni carattere di eccezionalità, la cui perpetuazione non solo mette a repentaglio l’uguaglianza e la libertà di tutti, ma mina alla radice il vincolo fiduciario su cui si fonda ogni forma di convivenza organizzata della società. Oggi, nel tempo del potere fluido, la menzogna è esercitata a più livelli: quello della finanza, della classe politica, del clero.

Oggi il potere mente per abitudine alla manipolazione e per istinto di conservazione. E il governo tecnicamente totalitario "fabbrica la verità attraverso la menzogna sistematica". Succede a Taranto, dove il 17 Agosto, i ministri dellosviluppo economico e dell’ambiente, Passera e Clini, arrivano in una città completamente militarizzata, per incontrare i vertici degli enti locali, dei sindacati, dell’azienda. E la prefettura diviene il luogo in cui i diversi poteri provano a mistificare la verità. A fabbricarla. Nella falsità del potere che va in scena a Taranto, sono diversi gli attori protagonisti. Come Rocco Palombella, detto “penna facile”, per aver firmato negli anni ogni sorta di accordo con la proprietà, segretario generale del sindacato UILM, che ha lavorato in Ilva per 36 anni senza, dice, lui, mai ammalarsi, secondo il quale, “i livelli di diossina sono stati ridotti e le emissioni possono essere tagliate ulteriormente con le nuove tecnologie, senza fermare la produzione". Come la Regione Puglia e Bruno Ferrante, che proprio il 17 Agosto hanno firmato un accordo quadro “per cospargere i parchi minerali di un gel speciale che ricopra i cumuli”.

Una soluzione che risulta già essere adottata da anni e che è risultata fallimentare. Una menzogna fabbricata ad arte per non dover coprire i parchi minerari, come prevede l’ordinanza del gip, e come avviene in tutto il mondo. A Taranto, invece, succede intanto, che anche chi non lavora all’Ilva, ma nelle fabbriche adiacenti, come la Vestas, che produce pale eoliche, o chi abita ai Tamburi, avverte penetrare nei pori della pelle le particelle di minerale, leggere e sottili come la polvere di borotalco. O chi lavora al porto, dove le operazioni di sbarco dei minerali, dalle navi ai nastri trasportatori, avvengono a "cielo aperto".

Agosto è stato il mese della menzogna del potere, e da queste parti si è giocata a chi la sparava più grossa. Campione di bufale il ministro dell’ambiente Corrado Clini, che nella relazione presentata qualche giorno fa al Parlamento ha dichiarato che i rischi ambientali da considerare all’Ilva di Taranto “sono quelli dei decenni passati, mentre è più difficile identificare una correlazione causa-effetto sull’eccesso di mortalità per tumori nell’area con la situazione attuale che, per effetto di leggi regionali e nazionali e misure ad hoc hanno avuto una evoluzione delle tecnologie con significative riduzioni delle emissioni, particolarmente della diossina e delle polveri”.

Quello che è stato il vero “ministro ombra” dell’ambiente nell’ultimo decennio, a margine dell’incontro del 17 agosto, ha dichiarato anche che «la nuova autorizzazione integrata ambientale (Aia), assumerà come riferimento l'impiego delle migliori tecnologie indicate dalla Commissione Ue e le prescrizioni del Gip di Taranto per la sicurezza degli impianti senza pregiudizio per la continuità produttiva». Salvo poi contestare la stessa decisione del Gip di fermare la produzione.

Ci sono bufale e bufale, ma ci sono anche balle confezionate ad arte, come quelle di Franco Battaglia che in un articolo del 13 agosto, dal titolo eloquente, “Ilva, la bufala delle ricerche: sbagliati i dati sui tumori”, arriva a teorizzare lo studio epidemiologico alla base dell’ordinanza con cui il gip ha chiuso l’area a caldo, come non avente valore scientifico. Considerato anzi come “ un esercizio accademico di statistica fondato su ipotesi errate e risultati inconcludenti”. In un altro articolo dello stesso editorialista, poi, su quello stesso quotidiano, il Giornale, si spinge oltre, addirittura arrivando a ritenere le malattie che affliggono gli abitanti di Taranto, come dovuti al fumo di sigarette di contrabbando. Così scrive: “Taranto è uno dei principali porti di distribuzione di sigarette di contrabbando, che la polizia ha trovato contraffatte, contenenti aggiuntive sostanze tossiche. Nei quartieri incriminati hanno precarie condizioni socioeconomiche, ed è in questi quartieri che i fumatori acquistano sigarette di contrabbando, che costano meno. Hanno gli autori delle perizie epidemiologiche, considerato questo importante fattore, si chiede il giornalista mentitore.

Il 17 Agosto è il giorno in cui, invece, nella piazza del comitato operai-cittadini liberi e pensanti, a pochi metri dal vertice in prefettura dove i poteri provano a confezionare una verità artefatta, va in scena l’agorà delle verità. Sono in tanti a prendere parola per raccontare le storie di inquinamento di cui sono vittime. Le verità di chi ha perso tutto, come Vincenzo Fornaro, allevatore, che fino all’autunno del 2008 gestiva insieme alla famiglia una masseria a Statte. Immersa in una distesa di ulivi fitta come una pineta, qui i suoi animali erano felici, perché l’erba è verde ed abbondante. Fino al giorno in cui le cinquecento pecore del suo allevamento saranno abbattute perché contaminate da diossina, come reca e dispone una deliberazione del consiglio regionale pugliese che decise l’abbattimento in quell’area di ben milleduecento animali contaminati. Liquidando gli allevatori con un risarcimento complessivo di centosessantamila euro. Comprensivo di spese di smaltimento delle carcasse degli animali. 133 euro lordi a capra. E’ questo il prezzo della vita di un animale in terra di Statte, a pochi km da Taranto, dove la vita di un essere umano vale meno dei profitti di un industriale.

Lo sa bene Mauro, che intervenendo dal palco di Piazza della Vittoria, il 17 Agosto, parla del suo bambino Lorenzo, mostrando una foto che lo ritrae all’ospedale di Firenze, dove sta lottando tra la vita e la morte a causa di tumore celebrale, la malattia, come viene chiamata a Taranto. La foto del figlio magrissimo, ritratto con la testa bendata su un letto di un reparto di terapia intensiva con la mamma che lo coccola,commuove quella piazza. Facendo quasi piangere gli operai dell'Ilva che abbracciano il giovane padre che ha avuto il coraggio di mostrare a tutti il ritratto-choc del figlio e di raccontare la sua storia. “Lorenzo lotta con noi”, intanto, è l’urlo che parte dal palco e strozza il silenzio nel cielo afoso di Taranto.

Verità libere e pensanti, come quelle di Massimo, un passato nella Fiom, un presente da fondatore del comitato operai cittadini - liberi e pensanti, che introducendo l’assemblea, l’agorà di Piazza Giordano Bruno, si scaglia contro la rappresentanza politica e sindacale che negli ultimi cinquant’anni sono stati al servizio ed al soldo della grande fabbrica. Un lottatore, Massimo, che ha pagato con il mobbing, anzi con il bossing, l’impegno per il rispetto dei diritti del lavoro. La sua vicenda ricorda quella della palazzina Laf, un reparto confino della fabbrica, dove a metà degli anni ‘90 furono rinchiusi settanta dipendenti. Un lager in una fabbrica italiana, a Taranto, negli anni 1997-1998. Non nell’800, agli albori delle conquiste sindacali. Molti di loro si ammalarono di depressione, alcuni tentarono il suicidio. Per quella vicenda Emilio Riva fu condannato a un anno e sei mesi di reclusione ed il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso a un anno e otto mesi.

Succede nell’agosto surreale di Taranto, dove tra le menzogne del potere, e le verità dei cittadini e degli operai liberi e pensanti, si sta riscrivendo la storia della questione meridionale. Intanto, poche ore fa, un’altra agorà tarantina, quasi la decima in due settimane, quella che ha ospitato l’incontro con Guido Viale, ha rappresentato un'altra tappa per la costruzione della democrazia in questa città, in Italia, in Europa. “Mi auguro che dal prossimo autunno, in tutta Italia, ovunque ci saranno manifestazioni e piazze piene, ci sia sempre una bandiera, quella dell'apecar, quella del comitato operai- cittadini liberi e pensanti a sventolare, così come oggi troviamo una bandiera no tav,in tutte le città. Taranto deve diventare una battaglia nazionale”. Questo è stato l’auspicio di Guido Viale. Che possa essere anche quello di tutti i sinceri democratici. Liberi e pensanti, naturalmente.

*giornalista, attivista occupy archeotower