La Solitudine degli Eroi

12 / 5 / 2020

Nella giornata internazionale dell'infermiere, in questo paese, ma anche all'estero, la retorica continua ad essere incentrata sulla figura dei lavoratori della Salute rappresentati come "eroi". Condividiamo questo articolo di Claudio Beltramello, pubblicato su Salute Internazionale che, partendo dal presupposto che l'eroismo è una scelta libera e consapevole, traccia un'analisi approfondita delle carenze nella protezione del personale sanitario che, non solo non si sente tutelato a sufficienza, ma percepisce quasi un accanimento nei propri confronti. Ricordiamo che solo in Italia gli infermieri contagiati sono stati 12 mila ed i morti 39.

“I professionisti riferiscono non solo di non essersi sentiti tutelati, ma addirittura di aver subito una sorta di accanimento contro di loro”.

Di che reggimento siete fratelli?

Parola tremante nella notte 

 Foglia appena nata 

Nell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità 

Fratelli Giuseppe Ungaretti, 1916

Bisogna rileggere le poesie di Ungaretti per capire quello che hanno provato gli operatori sanitari in prima linea nell’affrontare questa tragica epidemia da COVID-19: una battaglia contro una malattia sconosciuta e il confronto costante con la morte in un senso di profonda solitudine e abbandono[1, 2]. Unico conforto i propri “Fratelli”, gli altri professionisti clinici. Non a caso sono state utilizzate in questi mesi innumerevoli espressioni legate alla guerra: “Soldati mandati al fronte a mani nude”, “In trincea a combattere a rischio della vita”, “Chiamata alle armi”, “Lottare contro un nemico subdolo”, “Eroi!”. Anche usate dagli stessi professionisti[3-7]. Il vissuto di solitudine e abbandono appare infatti come una sorta di filo conduttore di quasi tutte le testimonianze del personale in prima linea (medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici, ostetriche, assistenti sanitari, OSS) e in tutti i setting (ospedale, territorio, RSA)[5-17]. Il senso di abbandono ha riguardato diversi aspetti: la gestione clinica dei pazienti, le scelte legate al non poter curare tutti, l’impatto emotivo, la mancata protezione del personale dall’infezione. Questo articolo si concentra ad analizzare l’ultimo punto.

La mancata protezione 

Al 6 maggio, tra il personale sanitario, contiamo 22.000 infettati (il 10% del totale!) e più di 200 deceduti, tuttavia il numero di decessi ad oggi noto del personale non medico è probabilmente in difetto. I professionisti riferiscono, non solo di non essersi sentiti tutelati, ma addirittura di aver subito una sorta di accanimento contro di loro [4, 18, 19]. Come in un incubo di una “gara al ribasso” per non proteggerli, nonostante essi si infettassero e morissero, nonostante le battaglie loro e dei sindacati. Sarebbe infatti sbagliato attribuire questo disastro solo alla carenza iniziale di scorte di mascherine o alle promesse mancate da parte della Protezione Civile nel primo mese sull’imminente arrivo di stock immensi, visto l’andamento della curva delle infezioni (Figura 1). 

figura 1

Evidentemente i protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) hanno indicato livelli insufficienti di protezione per il personale e tali protocolli sono stati raramente messi in discussione dalle Regioni o ASL o ospedali. L’OMS ha revisionato il proprio il 6 aprile [20lasciando sostanzialmente tutto invariato rispetto al precedente del 19 marzo nonostante le numerose segnalazioni dai Paesi e nonostante la comunità scientifica si fosse mossa trasversalmente in merito (ad es. la campagna lanciata dall’Editor del British Medical Journal Protect our healthcare workers [21] ed un editoriale di The Lancet “Covid-19: protecting health-care workers”[22]). Dal protocollo OMS si evince che sono stati confermati due presupposti:

- che la malattia si trasmette solo attraverso il droplet (goccioline di saliva medio-grandi che risentono della gravità), mentre la trasmissione tramite aerosol (micro-goccioline che restano in sospensione) può avvenire solo in seguito a manovre invasive come broncolavaggio, intubazione, ecc.;

- che i soggetti positivi asintomatici siano poco infettanti. Autorevoli studi già davano evidenze opposte su entrambi i punti[23-26].

Tuttavia va ricordato che il protocollo dell’OMS dà indicazioni di minima e non di massima dal momento che deve essere valido per tutti i Paesi del mondo con presenza del virus anche molto diversa.

Il primo protocollo di protezione dell’ISS (che era uguale a quello dell’OMS) è stato poi revisionato il 28 marzo[27], inserendo alcune modifiche, ma recependo solo minimamente quanto richiesto dai sindacati e da alcune organizzazioni indipendenti come la Fondazione GIMBE[28]. Anche all’interno dell’ISS pare che ci sia stato dibattito affinché la revisione facesse maggiore riferimento ai protocolli più tutelanti di ECDC e CDC[29, 30]. E invece ancora oggi, a inizio maggio, se venisse applicato quanto stabilito dal protocollo ISS non si dovrebbero usare sistematicamente le FFP2 in tutte le situazioni di assistenza ai pazienti noti positivi (vengono fatti vari distinguo, ed è contemplato l’uso della mascherina chirurgica per chi assiste pazienti Covid-19 senza eseguire manovre). In aree di triage ospedaliero per accettazione utenti sarebbe indicato solo l’uso (e non sempre) delle mascherine chirurgiche per il personale e bisognerebbe far indossare una mascherina chirurgica solo ai pazienti con “sintomi respiratori” (peraltro febbre, congiuntivite, anosmia, diarrea non sono sintomi respiratori e sono tipici della Covid-19). Ed inoltre, ad oggi, non andrebbero usate protezioni (nemmeno le mascherine chirurgiche) nei reparti non dedicati a Covid-19. Ancora sarebbe prevista in molte circostanze come misura di protezione quella del “mantenere la distanza di un metro”. Tutto collegato al protocollo OMS dal quale l’ISS non ha voluto distaccarsi se non marginalmente.

Tutto questo appare come assolutamente incomprensibile al personale sanitario in prima linea che ha assistito a molteplici epidemie ospedaliere (molte delle quali partite proprio da reparti in teoria non COVID-19 o da casi asintomatici) e che ha visto troppi professionisti infettarsi e alcuni dei quali morire. Senza parlare dei medici di famiglia (un terzo dei decessi tra i medici). Senza parlare delle residenze per anziani, dove il personale stesso, ovviamente senza consapevolezza, ha contribuito alla diffusione. E da ultimo, ma non ultimo, i casi di familiari infettati.

Purtroppo l’ipotesi che i soggetti positivi asintomatici fossero pochi e poco infettanti si è protratta oltre ogni limite ragionevole, nonostante lo studio effettuato dal Profesoor Crisanti a Vo’ Euganeo nei primi giorni dopo l’inizio dell’epidemia avesse dimostrato che il 40% dei casi positivi al tampone – anche con elevate cariche virali – era clinicamente del tutto asintomatico. Allarme peraltro già lanciato da alcuni autori[23]. Ricordiamo anche che il DM del 9 marzo ha escluso il personale sanitario dalla quarantena obbligatoria dopo contatto con un caso a meno di insorgenza di sintomi respiratori o accertata positività [31]. Dopo più di due mesi di dibattiti e scontri sull’uso dei DPI e sulle mascherine in particolare, forse la spiegazione dell’assoluto disallineamento tra organi istituzionali e professionisti è la seguente: da una parte OMS e ISS cercano di basare su solidi trial e/o revisioni sistematiche le loro indicazioni dall’altra il personale che grida: "Ci stiamo infettando e stiamo morendo non vi basta come evidenza per accettare che il livello di protezione che ci indicate è sbagliato?”.

In realtà per la metodologia della scienza, sarebbe sufficiente. Infatti secondo il “principio di falsificazione” ben declinato da Popper, innumerevoli esperimenti a favore non daranno mai certezza assoluta sulla validità di una teoria scientifica ma una sola evidenza che la confuti è sufficiente a farla cadere. Pertanto si può affermare che qualsiasi sia la teoria alla base del protocollo vigente essa è sbagliata, visti i risultati. In merito alla protezione del personale, sarebbe stato più utile un approccio pragmatico secondo la logica detta “del paracadute”[32]: non esiste alcun trial a suo supporto ma, nonostante questo, nessuno si getterebbe da un aereo senza utilizzarlo. Ovvero, in assenza di certezze, sarebbe stato prudenziale iniziare con un livello di protezione molto elevato e se mai abbassarlo. Non viceversa. Anche perché nelle precedenti epidemie di SARS e MERS, anch’essi coronavirus, il tributo di vite del personale sanitario è stato molto elevato e in gran parte ritenuto evitabile. Quindi la storia suggeriva prudenza.

Ma pur accettando di essere partiti da protezione bassa, risulta incomprensibile non aver aumentato rapidamente gli standard dal momento che, per gli ambiti legati alla sicurezza, si usa molto il metodo empiristico-induttivo. Ovvero si elevano i livelli di tutela in base ai singoli incidenti dai quali si cercano di ricavare regole/metodi universali per non farli ripetere. Pensiamo all’aviazione. Nell’ambito sanitario, è quello che viene previsto dall’approccio reattivo del clinical risk management. Di fronte ad un evento avverso evitabile, si analizzano le cause a monte per capire da dove esso sia generato. E si agisce immediatamente di conseguenza per ridurre quel rischio per il futuro. Per questo è difficile comprendere l’inerzia con la quale, nonostante i ripetuti incidenti (personale infettato, pazienti/ospiti infettati, familiari infettati) si sia protratta la sotto-protezione del personale che ne era la causa a monte.

E questa inerzia, spiace dirlo visto che chi scrive è un igienista, ce l’hanno avuta troppi direttori sanitari, direttori di ospedale, risk manager regionali e di azienda che non si sono mossi tutti urgentemente per “aggiustare il tiro” nonostante gli innumerevoli incident reporting. In tale ritardo entrano in partita purtroppo anche i Medici del lavoro (i Medici Competenti) e RSPP (Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione): alcuni si sono davvero posti in difesa della salute dei lavoratori, facendo battaglie, anche a livello nazionale ad es. diffondendo rilevanti documenti sull’uso delle mascherine[33]; altri, per quanto riferito, hanno accettato passivamente le direttive dall’alto. Infine vi sono stati i ritardi e difficoltà legati all’esecuzione dei tamponi a tutto il personale sanitario che hanno aumentato lo sconforto. A corollario di questa situazione drammatica di contagio e morte degli operatori, la politica ha tentato di sottrarre a tutti i livelli superiori qualsiasi responsabilità sulle infezioni e i decessi del personale: questa è stata certamente una conferma del senso di abbandono[34].

Conclusioni

Lo psicologo Maslow nel ’54 ha teorizzato la cosiddetta “gerarchia dei bisogni” che muove i comportamenti umani. Ovvero ogni individuo, nella vita personale, sociale e lavorativa, agisce per colmare dei bisogni che sono posti in una scala gerarchica. Secondo tale modello non si passa al gradino successivo se non si sono consolidati i bisogni dei gradini precedenti.

piramide dei bisogni

Per fare un esempio, se non si ha da mangiare o si è in una condizione di pericolo tutto passa in secondo piano e l’unico obiettivo diventa quello di trovare cibo e mettersi in salvo. Questi sono i primi due gradini della piramide. Poi ci sono gli altri bisogni, detti secondari, quelli che ci spingono ad avere relazioni familiari e sociali positive, a fare al meglio il lavoro che abbiamo scelto, ad esprimere in toto le nostre potenzialità, i nostri interessi e valori.

Torniamo all’ambito del personale sanitario durante questa epidemia. I carichi di lavoro estremi hanno inciso sui bisogni fisiologici: fame, sonno, stanchezza enorme, non poter andare in bagno o lavarsi. (Primo gradino).

La mancata protezione ha inciso sui bisogni di sicurezza (paura di infettarsi e di morire) ma anche sui bisogni di amore e accettazione (paura di infettare i propri familiari e propri pazienti). Quindi secondo e terzo gradino. Peraltro molti hanno deciso di auto-isolarsi dai propri familiari e non li hanno visti per settimane colmando parte dei bisogni di appartenenza e amore con la vicinanza ai propri colleghi.

Dunque il personale che ha affrontato questa epidemia è stato privato della soddisfazione dei bisogni dei primi due gradini e di gran parte del terzo e si è però dato per scontato che potessero esprimere al massimo competenza, dedizione, impegno, empatia che sono propri dei due gradini al vertice della piramide.

Lo stesso Maslow aveva previsto che i gradini potessero essere saltati in nome di valori etici o religiosi molto forti. Solitamente gli esempi che vengono fatti nei libri riguardano però grandi personaggi (Gandhi, Mandela, Madre Teresa).

Riprendiamo la definizione di eroe: "Colui che, di propria iniziativa e libero da qualsiasi vincolo, compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune"Collegandosi a Maslow è eroe chi riesce ad agire mosso dai valori espressi nel vertice della piramide “fregandosene” dei piani inferiori.

Tuttavia è un punto chiave la scelta libera e consapevole. E questo invece ai nostri professionisti sanitari non è stato concesso. Sono stati messi de facto a decidere se andare avanti nonostante la mancanza di protezione quando la nave, piena di pazienti, era già al largo e stava affondando. E loro non l’hanno abbandonata.

Quindi nessuno si stupisca se chi ha perso un collega-amico-fratello-compagno-genitore la vive, disperatamente, come una profonda ingiustizia.

** Claudio Beltramello, Medico Specialista in Igiene, consulente e formatore di qualità e management in Sanità

** Desidero ringraziare Rino Scuccato e David Delibori per i preziosi suggerimenti alla prima bozza di testo

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Bibliografia

1. Carlo Palermo e Pierino Di Silverio. Se il medico è insieme “untore, prete, becchino e paziente”. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 10 aprile 2020.

2. Mirco Nacoti et Al. At the Epicenter of the Covid-19 Pandemic and Humanitarian Crises in Italy: Changing Perspectives on Preparation and Mitigation. In a Bergamo hospital deeply strained by the Covid-19 pandemic, exhausted clinicians reflect on how to prepare for the next outbreak. Catalyst NEJM, 21 march. Lettera tradotta da Saluteinternazionale.info il 28 marzo 2020 

3. Coronavirus, il medico di Bergamo: «Negli ospedali siamo come in guerra. A tutti dico: state a casa». Corriere della Sera, 09.03.2020

4. Alessandra Larocca. Armateci per combattere questa guerra. Nessuno di noi è sacrificabile. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 16 marzo 2020.

5. Elena Rubatto. Medici di famiglia in prima linea. Salute Internazionale, 07.04.2020

6. Alberto Oliveti. Soli in trincea, senza protezione. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 19 marzo 2020

7. Flavia Petrini e Alessandro Vergallo. Coronavirus. Noi anestesisti e rianimatori in trincea. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 7 marzo 2020.

8. Alessandro Macedonio. Si sono dimenticati l’Assistente sanitario. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 5 maggio 2020

9. Claudia Caratino. La solitudine del medico di medicina generale. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 21 aprile 2020

10 .Sergio Perillo. Il fisioterapista invisibile. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 20 aprile 2020

11. Angelo Minghetti e Salvatore Loriga. Coranavirus. Non dimentichiamo gli Oss contagiati dopo aver prestato assistenza. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 28 febbraio 2020

12. Paolo Stocco. Quegli operatori delle Rsa dimenticati. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 26 aprile

13. Davide Bianchi et al. Coronavirus. Burn out e conseguenze psicologiche sugli operatori sanitari. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 19 marzo 2020

14. Maurizio Balistreri. Chi salvare e chi lasciar morire? La scelta spetta alla politica. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 26 marzo 2020

15. Marilena Cara.Come curare le “ferite” di chi cura. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 21 aprile 2020

16. David Lazzari. Coronavirus. Quella psicologica è un’emergenza nell’emergenza e per affrontarla non basta la solidarietà. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 28 marzo 2020

17. Alberto Vito. Coronavirus. Ecco come gli psicologi posso aiutare gli operatori sanitari. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 9 aprile 2020

18. Giovanni Leoni. Coronavirus. Morti evitabili, quelle degli operatori sanitari? Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 28 marzo 2020

19. Nicola Preiti. Coronavirus. L’importanza di proteggere gli operatori sanitari. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 24 marzo 2020

20. World Health Organization. Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease (COVID-19) and considerations during severe shortages. Geneva: WHO, April 2020

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30. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Interim Infection Prevention and Control Recommendations for Patients with Suspected or Confirmed Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) in Healthcare Settings 

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32. Malcolm Potts, Ndola Prata, Julia Walsh, Amy Grossman. Parachute approach to evidence based medicine. BMJ 2006;333:701 DOI: 0.1136/bmj.333.7570.701

33. Caterina Zanetti. COVID-19: Quali mascherine servono per proteggere i sanitari? Puntosicuro 02.04.2020

34. Alessandro Beux. Coronavirus: non si può annullare la responsabilità di politici e amministratori. Lettera al Direttore di Quotidiano Sanità del 4 aprile