Il ruolo degli scienziati ed il suo valore sociale. La democrazia nelle scelte davanti alle emergenze.

La sentenza de L'Aquila e la democrazia

di Natalia Fuccia

29 / 10 / 2012

La sentenza pronunciata dal giudice unico del tribunale del L’Aquila qualche giorno fa ha suscitato un vespaio di polemiche sulla stampa nostrana ed internazionale ma soprattutto nel mondo scientifico che grida allo scandalo per la durissima condanna inflitta ai sette membri della commissione grandi rischi della protezione civile, condannati a 6 anni di carcere per omicidio colposo.

Franco Barberi, presidente vicario della commissione Grandi Rischi, Enzo Boschi (al tempo presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), Bernardo De Bernardinis vice capo tecnico del dipartimento di Protezione civile e finora l’unica persona che si è presentata in aula, Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.a.s.e. e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile sono stati ritenuti responsabili di cattiva comunicazione per essere venuti meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro funzione.

Sei anni sono tanti. Sono cioe’ una pena lunga ma soprattutto difficile da digerire per chi nell’esercizio della professione si occupa abitualmente di movimenti tettonici delle placche terrestri che per spostarsi di un millimetro generalmente ci mettono un millennio.

Rispetto a questa sentenza va però sgomberato il campo dalle incomprensioni e dalle letture di parte; in primo luogo va chiarito il perimetro dell’accusa mossa dai PM : a questi scienziati nessuno aveva chiesto di prevedere il terremoto, non gli era stato chiesto di sapere se, dove e quando il terremoto avrebbe colpito. Non era cioe’ questo il tipo di risposta che gli imputati erano chiamati a dare nella loro veste di componenti della commissione, una risposta scientificamente scorretta e inesigibile dato che allo stato della tecnica, anche se molto avanzata ed in continua evoluzione, i terremoti non si prevedono.

Al contrario gli era stato chiesto di fornire un analisi del rischio ed una corretta informazione sulle possibili conseguenze dello sciame sismico che da giorni interessava la regione dell’Abruzzo e che aveva fatto scivolare nel panico i cittadini dell’intera zona. Il problema, e dunque l’accusa, non e’ la cattiva scienza ma la cattiva comunicazione della scienza.

Quando il 31 marzo del 2006 la commissione e’ convocata e si riunisce in gran fretta, non discute delle possibili conseguenze dello sciame sismico che turbava pesantemente la popolazione abruzzese, non prende in considerazione l’idea di dover approntare un progetto di evacuazione della cittadinanza , di liberare le vie di fuga, di mettere in sicurezza le costruzioni fatiscenti, di tener in allerta le forze dell’ordine presenti sul territorio e di potenziarne gli organici in vista della se pur remota possibilita’ che quel continuo tremolio della terra si trasformasse in una tragedia.

La commissione non discute affatto. Anzi la riunione dura solo 45 minuti e serve ai presenti per incamerare a dovere il dictat che proviene dall’allora super capo della protezione civile Guido Bertolaso: tranquillizzare la popolazione attraverso una conferenza stampa successiva durante la quale tutto va detto tranne che la verita’. Non c’e’ pericolo, ne’ che avvenga il terremoto ne’ che gli esperti si sbaglino, dite alla gente che tornino nelle loro case, che stiano sereni, che bevano un ottimo bicchiere di Montepulciano e che il tremolio finira’ tra poco. Lo sciame sismico e’ solo un concentramento anomalo di energia sotterranea che attraverso queste piccole scosse si sta liberando e piano piano sfumera’ , non certo attraverso una scossa piu’ forte che dovete in tutti i modi smentire.

Di quella riunione farsa non fu redatto neanche un verbale, sara’confezionato ad hoc solo dopo il terremoto e ovviamente ante datato al giorno in cui questa effettivamente era avvenuta.

Negligenza, imperizia, imprudenza. Ecco di cosa sono accusati e per quale ragione sono stati condannati i sette imputati : per non essersi opposti alla diffusione di notizie non vere, per aver interpretato in maniera deontologicamente scorretta il ruolo di esperti attendibili e riconosciuti dalla comunita’ scientifica internazionale su cui fare legittimo affidamento , per essersi resi allo stesso tempo succubi e complici di un progetto di comando e controllo che sfruttando la preoccupazione e la paura della cittadinanza ha colpevolmente infuso un senso confortante di sicurezza e protezione indirizzando tutti di nuovo verso le proprie case che di li’ a pochi giorni, purtroppo, gli sarebbero crollate addosso.

Avendo chiarito l’oggetto delle accuse e’ allora il caso di chiedersi se altri scienziati o esperti dopo questa esemplare condanna avranno ancora il coraggio di esprimersi, di collaborare con le istituzioni pubbliche, di assumersi la responsabilita’ di comunicare alla popolazione sui rischi che si corrono ad essere cittadini di questo paese.

È la prima volta che la comunicazione del rischio ambientale finisce in tribunale, oggetto di una specifica e personale responsabilità penale. Questo dovrebbe farci capire due cose: la prima e’ che il ruolo di questi scienziati ha un forte valore sociale. In un paese come l’Italia dove il rischio terremoti e costante e concreto, questi operatori sono inequivocabilmente lasciati soli, possono cioe’ studiare, analizzare, prevedere ed anche correttamente avvisare per tempo gli organi di protezione civile preposti alla protezione della popolazione ma non hanno il potere di intervenire materialmente sulla prevenzione di questi stessi rischi, sulla messa in sicurezza di un paese intero che per lunghi anni ha fatto la fortuna dei cementificatori senza scrupoli e dei condoni edilizi.

In secondo luogo la vicenda del l’aquila deve porre al centro della discussione ancora una volta un problema di democrazia. Nel caso di uno sciame sismico, ad esempio, tutti i soggetti interessati, scienziati, politici ma soprattutto cittadini, dovrebbero essere messi nella condizione di compartecipare alla scelta susseguente la percezione del pericolo. Capire insieme se cioe’ sia il caso di andare via o di restare sul proprio territorio,e nel caso come rimanerci.

Chi meglio dei cittadini che abitano certe zone da sempre interessate al fenomeno dei terremoti possono dire se in una zona sia il caso di costruire, se ci sono crepe nelle aule delle scuole, se un piano urbanistico di nuova cementificazione delle campagne sia piu’ utile alla speculazione edilizia o a l concerto bisogno abitativo?

Non occorre semplicemente riflettere sui rischi ambientali dopo che questi si siano trasformati in tragedie, occorrerebbe intervenire imparando a riconoscere nel rischio un’ occasione per praticare la democrazia, iniziando dalla prevenzione basata su progetti costruiti in maniera condivisa tra chi analizza e studia i fenomeni , chi li vive e li subisce e chi si ne assume la responsabilità politica di risolverli.