Alcune riflessioni dopo la contestazione a Bonanni

La semplicità e la melassa

di Luca Casarini

11 / 9 / 2010

Sui recenti fatti di Torino, la contestazione a Bonanni, vi è qualcosa di torbido che aleggia mettendosi a confondere la realtà con la mistificazione, il buon senso con l’opportunismo, la stupidità con l’intelligenza. Non è il fumogeno incriminato, ci mancherebbe, ma qualcosa di strutturato, latente come un herpes che c’è anche quando non si vede, e che quando appare si sa che sarà per poco, fino alla prossima volta, ma allo stesso tempo per sempre, come una condanna. Questo qualcosa non so come chiamarlo, essendo frutto appunto di tanti mescolamenti, la storia con le biografie personali dei commentatori, gli esiti di ciò che è passato, con un presente che si dice “nuovo” ma che poi dovrebbe sempre ripeterlo, il passato. Per comodità si potrebbe dare un nome a questo “torbido”, che confonde come la nebbia: chiamiamolo “melassa”. La melassa, difronte ad un accadimento semplice semplice come una contestazione, comincia il suo lavoro di uniformazione, come con i gusti, di ogni cosa. Il fumogeno diventa un’arma omicida, il lancio di sedia deve essere rivisto alla moviola per stabilirne i tempi, i fischi “prima che parli” assumono i connotati di una lesione storica al paradigma della democrazia, e così via. E ovviamente tornano i "cattivi maestri", siano essi quelli degli anni '70, o la Fiom che adesso è nel mirino dei vari Sacconi e Brunetta. Invece di vedere le cose per quello che sono, semplici, frutto di una situazione sociale chiara almeno nel fatto che un sacco di gente in questo paese è incazzata nera per quello che Bonanni & C. stanno facendo e dicendo, il problema è quello che per mandare affanculo qualcuno che ha il privilegio di poter parlare come vuole e quando vuole dalle pagine di ogni giornale e dagli schermi di ogni televisione, e da questi ha il compito di convincere che quello che Marchionne, Berlusconi, la Confindustria, Federmeccanica stanno compiendo è “ cosa buona e giusta”, bisogna prima superare un esame di filosofia, uno di diplomazia internazionale ed un altro di balistica. Occorre aver fatto un corso di etichetta, e sapere che livello di decibel separa il “civile” dissenso dalla “violenta” aggressione. Bonanni non è certo appena uscito dal confino, e neppure la festa del PD è l’Agorà ateniese che abbiamo studiato, eppure la melassa agisce efficacemente tanto da far diventare questo l’argomento della discussione. Pazienza se fossero solo i soliti: cosa volete che dicano i signori della direzione del PD, messi difronte alle loro pesanti responsabilità in ciò che oggi si compie ed è stato preparato da anni di logica concertativa, dall’estenuante lavoro di tessitura della trama ideologica e politica della “società senza conflitti”? Cosa possono fare, se non imbrogliare le carte per criminalizzare questa e ogni forma di contestazione, loro come la destra?

Ma questo è sempre anche  il momento, a sinistra, in cui la semplicità delle cose soffoca nelle categorie posticce del “a chi serve”, “è utilizzato dal potere”, etc. Ma ogni cosa è utilizzata sempre anche dal potere. Puoi farlo in tutti i modi che vuoi, ma quando c’è un conflitto, niente è solo positivo o unidirezionalmente utilizzabile. Se seguissimo questo altro principio semplice, la discussione sarebbe diversa. Eviteremmo gli assoluti, e anche i paragoni ridicoli con il passato, ovviamente tutti che buttano sul tragico. La semplicità a volte è un salvagente formidabile: in una occasione che si è resa possibile, Bonanni è stato sonoramente contestato. Enrico Letta agita il maglioncino invocando arresti e lanciando anatemi. “Voi non c’entrate nulla con noi!” urlava ai contestatori. Appunto. Ma si da il caso che anche chi non deve entrarci, a volte, riesca a farlo. In maniera normale, di come si può fare quando non si è nemmeno invitati, pur essendo coinvolti da ciò che lì si discute e anche si decide.

Quando delle persone distruggono un campo di mais transegenico, piantato in barba a ogni legge, diritto o buon senso, forse a sinistra bisognerebbe smetterla di condannare “la violenza dei metodi”, come se le pannocchie fossero state “gambizzate”, e magari invece gioire del fatto che c’è ancora qualcuno, dalle biografie diverse non foss’altro per l’età, che ha voglia di rischiare un minimo, le denunce, il “pubblico ludibrio di sinistra”, a volte anche l’impopolarità ( pensiamo ai Cpt e a tutto ciò che riguarda i migranti ) pur di tentare di cambiare il corso delle cose. Così come quando Bonanni viene contestato, semplicemente, non ci si perderà a balbettare giudizi da esperti della politica, come se si fosse tutti allenatori della nazionale, ma si ragionerà a partire da ciò che questa fase storica e politica segnala e porta con sé: o auspichiamo che invece il conflitto lo faccia solo lui, Bonanni, contro i lavoratori, perché le categorie che sappiamo utilizzare sono solo quelle di “a chi giova?”, “violate le regole, la democrazia”, “vittima”, etc.? In questo caso, bisogna saperlo, gli stessi che se ne nutrono a bocca piena quando si tratta di criminalizzare chi lotta, mica ci verranno in aiuto. Anzi. Coglieranno l’occasione per dire e per fare ancora peggio. Forse bisognerebbe rinnovare il nostro vocabolario, di tutti noi, per far si che per ragionare su ogni cosa non ci tocchi sviluppare ogni volta una formula algebrica.   

Luca Casarini