La salute o il profitto

Perchè bisogna espropriare i brevetti. Un documento dei Centri Sociali Marche

22 / 2 / 2021

Martin Schkreli, classe 1989, è un broker finanziario e gestore di un fondo speculativo sulla sanità. Nel 2015 ha acquistato i diritti negli Stati Uniti del Darapin (farmaco utilizzato per curare il cancro e le gravi infezioni da AIDS) aumentando il suo prezzo da 13 a 750 dollari, cioè del cinquemila percento. Il fatto ha immediatamente creato polemiche e proteste ma Schkreli non è arretrato di un passo ed è rimasto saldo sulla sua posizione. Durante un’intervista con la stampa finanziaria, a riguardo, gli è stato chiesto se tornando indietro avrebbe cambiato qualcosa del suo operato. La risposta, nel suo cinismo, va apprezzata per la sincerità: “penso che avrei alzato il prezzo ancora di più, è questo che avrei fatto. Trovo che i prezzi nel settore sanitario siano troppo rigidi, con un incremento maggiore avrei ottenuto più profitti per i nostri azionisti ed è questo il mio obiettivo. Nessuno lo vuole ammettere - non ne siamo fieri - ma viviamo in una società capitalista e queste sono le sue regole. I miei investitori si aspettano il massimo dei profitti e io non mi accontento del minimo o della metà voglio che arrivi al cento per cento.” Il profitto come unico mantra è quello seguito dai colossi farmaceutici che mettono al centro del loro agire non il diritto alla salute ma la tutela degli azionisti e delle loro speculazioni. La proprietà privata, in questo caso di un bene immateriale, il brevetto, viene prima del diritto alla vita e lo vediamo chiaramente ora con i vaccini anti-Covid in mano alle case farmaceutiche. Tra queste c’è la Pfizer che merita la giusta presentazione partendo da alcuni episodi che la riguardano.

Negli anni la Pfizer ha collezionato denunce e condanne miliardarie per vendita illegale di farmaci. Tra queste nel 2009 viene condannata a pagare 2,3 miliardi di dollari per il più grande accordo di frode sanitaria al mondo per la promozione illegale di quattro farmaci: il Bextra, un farmaco antinfiammatorio; il Geddon, un farmaco antipsicotico; il Zyvox, un antibiotico; e il Lyrica, un farmaco antiepilettico. L’azienda incaricava i suoi rappresentanti di vendita di trasferire i medicinali ai dottori per patologie diverse da quelle indicate e in dosi superiori a quelle approvate, nonostante i rischi per i pazienti (rischi che hanno portato al ritiro definitivo del Bextra nel 2005).L’inchiesta è stata possibile grazie alle testimonianze di John Kopchinski, un ex rappresentante di vendita della Pfizer, secondo cui “l’intera cultura di Pfizer è guidata dalle vendite, e se non vendi prodotti off-label, non fai gioco di squadra e subisci mobbing”. Alla fine di questa vicenda l’azienda risulta averci comunque guadagnato, infatti, la sanzione economica ricevuta è inferiore al profitto ricavato dalla vendita illegittima di farmaci. Non è tutto, Pfizer si è macchiata anche di un altro crimine agghiacciante, la sperimentazione illecita sull’uomo di un antibiotico, il Trovan. Questa vicenda è conosciuta tristemente come il “contenzioso di Kano”. A metà anni novanta l’azienda testò questo nuovo farmaco che prometteva profitti milionari se immesso sul mercato e - dopo aver condotto 87 studi in 27 paesi diversi - mancava solo la sperimentazione in ambito pediatrico in caso di patologia infettiva acuta come la meningite, un test che non poteva essere condotto negli USA. Nel ’96 l’OMS lanciò un programma di emergenza per un’epidemia di meningite scoppiata a Kano, una cittadina in Nigeria, e Pfizer aderì proponendo di curare 200 bambini con un farmaco riconosciuto ma le cose andarono diversamente. Solo a 100 bambini venne somministrata la cura riconosciuta mentre gli altri furono usati per sperimentare il Trovan. Il risultato fu disastroso: 5 di loro morirono e molti altri rimasero affetti da cecità, paralisi e malformazioni. Per la Pfizer questa sperimentazione risultò comunque soddisfacente e immise sul mercato il farmaco con l’indicazione di somministrarlo solo agli adulti, poi, a distanza di anni, venne ritirato per la sua tossicità.

Questo modo criminale di operare però non riguarda unicamente la Pfizer ma anche i suoi competitor (che insieme a lei detengono praticamente il monopolio del mercato farmaceutico mondiale) infatti anche per loro la lista di procedimenti e condanne per gravi reati contro la salute è lunga.

Ora però torniamo al panorama attuale per affrontare la questione più che mai centrale della ricerca e dei brevetti per il vaccino anti-Covid. Quando la Pfizer ha annunciato che stava lavorando ad un vaccino per il coronavirus è stata dipinta come colei che ci avrebbe salvato dalla pandemia, la verità però è che, anche in questo caso, le sue scelte sono esclusivamente figlie della sua sete di profitto e non hanno nulla a che vedere con la volontà di difendere la salute della popolazione mondiale.

Per la ricerca solamente a Pfizer e BionTech sono stati dati 350 milioni di euro in finanziamenti pubblici per sviluppare il vaccino. Nei trial di valutazione non erano presenti donne in gravidanza o in allattamento e neanche i minori di sedici anni, per questo non ci sono dati di efficacia su queste categorie che per il momento non possono essere vaccinate. Inoltre nei trial si è dimostrata l’efficacia del vaccino nel prevenire la malattia con il manifestarsi dei sintomi, ma non si è verificato se i vaccinati si possano infettare in modo asintomatico e quindi contagiare altre persone - nonostante i primi dati che emergono sembrerebbero dimostrare un'efficacia in tal senso. Per fare questo occorrevano forse tempi un po’ più lunghi e un impiego maggiore di risorse, mentre si è seguita la logica inversa di accorciare i tempi e di economizzare, nonostante gli ingenti fondi pubblici ricevuti. La fretta di arrivare per primi sul mercato è dimostrata anche da alcuni documenti segreti pubblicati da alcuni hacker sul dark web. In quei documenti emerge il braccio di ferro tra l’EMA (agenzia del farmaco) ovvero l’ente che doveva certificare la validità scientifica dei vaccini, i governi e le case farmaceutiche. Noal Vatium, direttore dell’EMA, in alcune mail interne commenta le pressioni subite per accelerare l’autorizzazione: “atmosfera tesa, a tratti sgradevole, ci ha dato un assaggio di cosa l’EMA si può aspettare se tradirà le aspettative”. Le pressioni alle istituzioni del resto non sono una novità in questo settore. Oliver Hoedeman, del Corporete Europe Observatory, si occupa di monitoraggio delle attività di lobbing e sostiene che i colossi del farmaco spendono oltre 40 milioni di euro l’anno solo per influenzare le scelte dei membri del parlamento europeo, una somma che non tiene conto delle eventuali mazzette da spendere in corruzione. Un’altra criticità riguarda il contratto per la fornitura dei vaccini stipulato da Pfizer-Biontech con l’UE, in cui è previsto che per eventuali danni o effetti collaterali dovranno pagare gli Stati. Questa è una liberatoria a vantaggio delle multinazionali farmaceutiche inaccettabile. Al di là del grado di efficacia dei vaccini, resta il fatto che una sperimentazione non privatizzata e non piegata alle esigenze di concorrenza avrebbe consentito di avere un diverso livello di garanzia riguardo ai rischi ed alla efficacia della campagna vaccinale.

Inoltre per quanto riguarda la commercializzazione la Pfizer non si fa scrupoli a fare profitto vendendo i vaccini a 15,50 euro a dose nel mezzo di una pandemia che ha già ucciso oltre 2 milioni di persone. In un momento come questo in cui in tanti sono colpiti – oltre che dal covid - dalle conseguenze economiche e sociali di questa crisi, le multinazionali del farmaco sono pronte a spartirsi 20 miliardi per la vendita dei vaccini contro il coronavirus nei prossimi due anni. Un’altra criticità, forse la più grave, riguarda la produzione. Come stiamo vedendo le case farmaceutiche per via della loro limitata capacità produttiva stanno inviando dei quantitativi minori di vaccini rispetto a quelli stabiliti per contratto, mettendo così a serio rischio l’esito positivo della campagna vaccinale. Questo accade perché non intendono cedere il brevetto e quindi il loro monopolio sulla produzione e sui profitti. Gli accordi di vendita, chiaramente, sono stati siglati con i paesi più ricchi e quindi in grado di pagare un prezzo elevato per i vaccini. La quasi totalità delle dosi distribuite sono arrivate a paesi che insieme detengono un sesto della popolazione mondiale, per i 67 paesi più poveri, invece, il destino che si prospetta sembra essere quello di iniziare la vaccinazione per gli operatori sanitari quando nei paesi ricchi sarà già terminata per la popolazione giovane e adulta. Questo, assieme alla difficoltà di accesso ai tamponi e ai medicinali per la cura, determina una condizione drammatica per la gran parte della popolazione mondiale - quella più povera – che è maggiormente esposta ai rischi e agli effetti del contagio e al pericolo di una terza ondata.

Proviamo ora a individuare delle proposte pratiche su che cosa fare e cosa rivendicare in questo momento. Per prima cosa dobbiamo dire chiaramente che la ricerca scientifica, soprattutto in materia di salute collettiva, deve essere pubblica e non si può delegare a questi soggetti. L’alternativa è possibile e ce lo dimostra l’esempio di Cuba che sta terminando la sperimentazione del vaccino pubblico “Soberana 02”, con l’intento poi di produrlo per vaccinare l’intera popolazione dell’isola e distribuirlo ai paesi in via di sviluppo. Questa vicenda meriterebbe di essere attenzionata e approfondita.

L’altra cosa da fare è pretendere immediatamente la sospensione della proprietà intellettuale sul brevetto dei vaccini per il Coronavirus, dei medicinali necessari per le cure e dei materiali necessari per effettuare i tamponi. Quei brevetti vanno espropriati, resi pubblici e utilizzati per la produzione su larga scala e in tempi rapidi dei vaccini (e del materiale di cura e prevenzione) da distribuire a prezzo di costo. In questo momento questa strada, oltre ad essere la più giusta, è l’unica praticabile per tutelare realmente la salute collettiva. Di questo fortunatamente se ne stanno accorgendo in molti e le proposte e le azioni messe in campo, in questo senso, sono tante e diverse. L’India e il Sudafrica hanno richiesto un’immediata moratoria sui brevetti per i vaccini e i farmaci anti-coronavirus ed altri paesi potrebbero accodarsi. Medicina Democratica ha sottolineato che Italia e UE dovrebbero immediatamente ricorrere alle licenze obbligatorie: una clausola di salvaguardia prevista dagli accordi internazionali sulla proprietà intellettuale, che autorizza gli stati, in situazione di pandemia e difficoltà economica, a produrre direttamente i farmaci salva-vita come farmaci generici, scavalcando quindi il brevetto. Oltre a questo in tanti sostengono che i brevetti finanziati con i soldi dei cittadini vadano considerati pubblici e quindi i vaccini un bene comune.

Rompere il monopolio su vaccini, farmaci e materiale sanitario è possibile oltre che necessario e urgente, ora sta a noi capire come perseguire dal basso questo obiettivo con le forme e le pratiche più adatte.