La risposta di Trieste all’invasione (aliena) di CasaPound

7 / 11 / 2018

Una riflessione del collettivo Cronopios dopo la marea antifascista che ha invaso Trieste sabato 3 novembre.

Se foste arrivati a Trieste sabato mattina avreste trovato questo: un centro città diventato zona rossa per la visita di Mattarella con varchi e controlli per gli ingressi; mezzi militari, camionette della polizia e idranti ad ogni incrocio; reti metalliche nei punti sensibili; appelli sul quotidiano locale da parte del Comune per invitare i cittadini a non uscire per tutta la giornata; negozi chiusi, dehors fatti ritirare; linee degli autobus soppresse o deviate.

Se per caso foste arrivati a Trieste sabato pomeriggio invece lo scenario sarebbe stato diverso. C’erano ancora idranti, camionette e reti e queste erano lì per segnare un confine: da una parte nemmeno 2.000 fascisti di CasaPound venuti da tutta Italia per un corteo nazionale che voleva festeggiare la “vittoria” italiana nella Prima Guerra Mondiale; dall’altra 10.000 antifasciste e antifascisti che hanno deciso di riprendersi la propria città, senza farsi impaurire dal terrorismo mediatico alzato nei giorni precedenti e, anzi, con tanta rabbia e tanto amore.

La mobilitazione antifascista “Liberiamoci dai fascismi! // Osvobodimo se fašizmov!” è stata organizzata dalla rete Trieste Antifascista (composta da collettivi, associazioni, singoli, sigle sindacali e partiti), che in un mese e mezzo è riuscita a creare non solo uno dei cortei cittadini più partecipati degli ultimi anni, ma anche, come ci fa sapere il ricercatore Elia Rosati – nonché autore di CasaPound Italia. Fascisti del terzo millennio (Mimesis) -, la più grande mobilitazione anti-CasaPound di sempre. Soprattutto è riuscita a mobilitare, in un mese e mezzo ricco di iniziative, tante persone che per la prima volta hanno sentito il bisogno di mettersi in gioco.

CasaPound ha scelto una data e un luogo non neutrali: Trieste ha iniziato la Prima Guerra Mondiale sotto l’Impero Austro-Ungarico e la maggior parte dei triestini ha combattuto sotto questo esercito; l’Italia è arrivata il 4 novembre 1918, il giorno della firma dell’armistizio che pose fine al conflitto: Trieste (insieme a Trento) era stata liberata, era stata redenta. Trieste tornava italiana, così dicono.

La retorica di Trieste italiana (retorica, ahimè, usata allo stesso modo dai neofascisti e dai Giovani Democratici che nel loro comunicato di adesione alla manifestazione antifascista rivendicano di scendere in piazza per i “cento anni di Trieste italiana”) è pericolosa perché riduce la complessità e la storia di Trieste a una visione monolitica. Questo è stato per secoli un luogo di scambi e di incontri, un luogo eterogeneo dove le diverse comunità potevano convivere. Questa diversità abbiamo provato a portarla in piazza, a partire dal nome della mobilitazione che abbiamo deciso di scrivere in italiano e in sloveno: Liberiamoci dai fascismi! - Osvobodimo se fašizmov!.

Ci siamo trovati al mattino in campo San Giacomo, un quartiere storicamente operaio nonché uno dei punti più caldi della storia operaia, socialista e comunista di Trieste e, per questo, luogo di attacchi da parte di polizia e squadristi nel corso del Novecento.

Abbiamo iniziato con un pranzo sociale per poi partire insieme in un corteo verso il centro città. Le prescrizioni che la Prefettura ci aveva consegnato pochi giorni prima parlavano chiaro: il percorso di CasaPound sarebbe partito dalla piazza davanti alla Questura (…) per poi andare verso il Giardino Pubblico; il percorso di Trieste Antifascista sarebbe partito da campo San Giacomo per scendere verso il centro città, ma sarebbe stato bloccato in piazza Goldoni. Quello che si poteva vedere arrivati in questa piazza era questo: migliaia di persone bloccate da reti metalliche, cordoni di polizia, idranti puntati contro che si sarebbero dovute fermare in una piazza troppo piccola per contenerle tutte. Abbiamo visto in scena l’ottusità e il burocratismo di Prefettura e Questura: hanno preferito mantenere dei muri per poter proteggere un triste corteo di fascisti invece che aprirli a migliaia e migliaia di manifestanti. Possiamo solo dire che ce ne ricorderemo la prossima volta.

Una marea non si può arrestare! Piazza Goldoni viene attraversata, ma non ci si ferma: c’è troppo entusiasmo, troppa voglia di stare nelle strade, troppa rabbia contro una città bloccata a causa di una manciata di fascisti. Ci giriamo e il corteo prosegue per riprendersi la città, quella che noi antifasciste e antifascisti attraversiamo ogni giorno. Si dice che le strade sono di chi ama, e questo è stato.

 A distanza di giorni permane l’entusiasmo e la soddisfazione di essere riusciti a fare un passo importante: un passo, questo è, il primo di tanti perché quello che questo mese e mezzo ci ha ricordato è che se riusciamo a organizzarci, in così tanti e così diversi, i risultati li otteniamo. Il percorso andrà avanti e speriamo che sia arrivato ben chiaro il messaggio, sia a CasaPound che vuole aprire una sede in città sia a Forza Nuova che purtroppo c’è già: non c’è più spazio per nessun tipo di fascismo e c’è una rete di persone pronta a ribadirlo con sempre più forza e determinazione.

Lo avevamo scritto nella piattaforma di lancio: «Lì dove CasaPound e gli altri movimenti neofascisti vogliono dividere, noi abbiamo intenzione di unire: diverse condizioni, diverse forme di attivismo nella società, diverse lotte, tutte caratterizzate dal fermo orientamento antifascista e per una società libera da razzismo, oppressione e violenza». Forse, senza nemmeno tanto esagerare, ci siamo riusciti.