Nella diffusione della crisi i processi di resistenza

La ripresa che produce precarietà

Utente: gianmarco
2 / 12 / 2009

Dedichiamo l'apertura di oggi ad alcune istantanee della crisi, non catastrofica ma radicale e di lungo periodo, che, ci sembra, siano utili per la costruzione di parole e pratiche comuni.

Gli outlook degli istituti di analisi nazionale ed internazionale chiamano a semestri in cui la crescita economica c'è, purchè essa si intenda misurata con gli indicatori tradizionali dei quali il PIL è il principale e spesso l'unico.

Questi aruspici chiamano, d'altra parta, ad una disoccupazione crescente, ad uno stato diffuso e sempre più esteso di precarietà, alla cannibalizzazione di diritti anche acquisiti, correlando questi effetti agli indicatori di crescita prima citati.

Insomma, sembra di essere sospesi su un violentissimo iato impossibile da vedere se indossiamo gli occhiali della tradizione macroeconomica keynesiana: l'uscita dalla crisi passa per la produzione, apparentemente correlata, di precarietà, disoccupazione ed esternalità ambientali e sistemiche.

Si rompe, se così è, un assunto della politica economica per la quale il “tirar la cinghia” e l'intervento pubblico a favore dell'iniziativa d'impresa generava, come pay back, occupazione e quindi ripresa dei consumi e quindi il riavvio del ciclo virtuoso della “crescita”.

Non è poco, davvero. Soprattutto se consideriamo la tendenziale egemonia della rendita.

Nei giorni scorsi ho conosciuto impiegati cinquantenni del controllo qualità che, licenziati dall'industria automotive europea, si sono ri/occupati in nero nella raccolta delle patate (provincia di Brescia); ho ascoltato un responsabile d'area di un'azienda del bergamasco che distribuisce e vende gas che ha misurato una decrescita del 30% dei consumi domestici per uso alimentare (si cucina di meno e ci usa meno acqua calda); infine, chiacchierato con un ingegnere di trent'anni che, nel milanese, si è visto offrire uno stage da 600€/mese in sostituzione del contratto di lavoro meccanico da 1400€/ mese posseduto fino al pochi mesi fa.

Sono esempi, null'altro. Ma diffusi e tendenzialmente egemonici nella crisi dell'equilibrio economico di questi territori. Più di 2.000.000 disoccupati in Italia, senza considerare i non censiti (migranti fuori statistiche) ed i mal censiti come “giovani”, cui viene attribuito un tasso di disoccupazione di quasi il 30%, e donne che subiscono per primi i devastanti effetti della crisi e che sono spesso esterni alle protezioni degli istituti di welfare. La battaglia per il reddito è decisiva per questi segmenti della nuova composizione di classe ed in alcune lotte lo slogan yes we cash è davvero programmatico.

Gli effetti dei processi di crisi stanno radicalizzandosi, non placandosi, sotto l'effetto di nuove, enormi, pressioni della globalizzazione (anche la crisi e/o la "sua ripresa" sono globalizzate!).

I giornali evidenziano gli impatti sui distretti produttivi, sulla de-territorializzazione delle fabbriche, sulla gigantesca migrazione del lavoro dalla sua forma novecentesca a nuove forme. Processi che erano da tempo in campo, da quant'anni in alcune zone, ma che ora sono ultra accellerati dal boost della crisi. 

Un trend che sta davvero informando i territori è lo smottamento del passato equilibrio della divisione internazionale del lavoro: anche la piccola e media impresa metalmeccanica, ceramica, chimica non è più competitiva e la produzione è delocalizzata lasciandosi dietro centinaia di migliaia di nuovi precari.

In prospettiva,  vent'anni fa la Cina era il terzista del distretto calzaturiero di Fermo, ora è il contrario.

Soggettività precarie producono irruzioni nella piatta cronaca messianica della ripresa -un'attesa escatologica per l'aumento del PIL che unisce PD e PDL.

Le cronache delle loro lotte e delle loro parole che pubblichiamo quotidianamente su Globalproject sono un'opportunità per tutt* noi per farle circolare, per riprodurle, per contaminarci, per spingere più in là l'asticella della nostra analisi e per condividere un nuovo immaginario della trasformazione.

Dentro e contro questa crisi. La liberazione trova qui i suoi prolegomeni, nuovi processi organizzativi, nuovi dispositivi di moltiplicazione. 

Essi sono il nostro sentiero di uscita dalla crisi.