La prima notte della Libera Repubblica insorgente del tetto occupato (del Campidoglio)

Utente: emiliano
4 / 9 / 2009

Si tendono i muscoli. Contrazioni ritmiche veloci, l´adrenalina accelera il battito cardiaco, aumenta la lucidità e fa sparire la paura del vuoto. Stiamo salendo su un´impalcatura, undici o forse dodici metri da terra.   

E  l'altezza, combinata alle reazioni chimiche del sistema nervoso centrale che mette in allerta ogni senso, danno alla testa, regalando sorrisi sfacciati, inebriano gli animi, li rendono felici. E´ il primo di settembre, e stiamo lottando, tra la vita e la morte.

Ricordi confusi di una sveglia frettolosa nella mattina, le telefonate dei compagni che urlano irritate dello sgombero del Regina Elena occupato, che chiedono di accorrere, e fanno precipitare in via ippocrate centinaia di persone.

Siamo sempre in tensione, mentre saliamo quell´impalcatura. Di sotto qualcuno discute con dei vigili urbani un po´ stantii che provano, con poca convinzione, a spiegare perché non si sarebbe dovuto salire su quell´impalcatura, tra gli sberleffi di persone incazzate, poco propense ad ascoltare ordini in quel preciso momento. Metto i piedi sul tetto dei Musei Capitolini, e subito mi accorgo che sarà dura: il tetto è interamente tegolato, nessuna zona piatta, tranne un minuscolo bordo di marmo accanto al parapetto dove si sporgono da centinaia di anni statue di imperatori ed eroi romani.

Da quel pomeriggio, oltre a quelle statue, dieci sguardi in più si affacciano sulla piazza del Campidoglio. Si calano i primi striscioni, "come all´Innse sino alla vittoria! Casa subito!", "Camping-Doglio". Si guarda di sotto, sbracciandosi, ululando al cielo una rabbia che esplode di felicità, perché abbiamo conquistato un altro pezzo di città, perché stiamo reagendo, perché dopo una giornata fatta di sgomberi e polizia a sorpresa trovarsi a pochi metri dal Campidoglio su un tetto fa sentire vivi, regala la sensazione di non poter essere sconfitti neanche con tutta la polizia del mondo.

Forse pie illusioni, forse il senso dell´ineluttabilità. O forse, il ragionevole effetto dell´adrenalina. Fatto sta che ci sentiamo padroni del cielo, come se avessimo avuto davanti a noi il sindaco Alemanno e gli avessimo rifilato un bel ceffone in pieno volto. Da terra partono applausi appena ci affacciamo, e le urla si mischiano ai cori, i baci mandati da lontano agli insulti divertenti degli amici e dei compagni. Dieci persone su un tetto.

Sembra un racconto, e invece è la lotta. Meglio, tutte e due le cose. In questa città si sta giocando una partita cruciale per tutti: quella per la sopravvivenza, quella per la libertà. sindaco e prefetto vogliono chiudere i conti con il movimento, giocano a provocare e a testare la resistenza allo strappo di chi non si è mai arreso alla speculazione e ai soprusi, minacciando di sgomberare a raffica ogni posto occupato nel nome della "legalità", ma soprattutto non offrire chance a chiunque abbia scelto il conflitto come forma di vita e di esistenza, come occasione di dignità. Per questo siamo su questo tetto, come gli operai della Innse: perché abbiamo deciso che le nostre teste continueranno a guardare fisso in alto, senza paura. Perché abbiamo deciso di non arrenderci, perché siamo pronti a resistere se questo è il prezzo. Perché una città fatta di milioni di metri quadrati di cemento privato, di lame fasciste e xenofobe, di ronde mascherate, di polizia e militari ad ogni angolo, non può essere la nostra casa.

Dormiremo su quel tetto. Le tegole sono scomode, il sole picchia, qualcuno chiacchiera con le statue come fossero vive, in una imitazione un po´ bislacca e proletaria di un Machiavelli alle prese con i suoi fantasmi delle decadi di Tito Livio. Siamo in attesa dello sgombero del tetto, eppure la cosa non spaventa proprio nessuno. Salgono con noi decine di altre persone, vengono a portare sorrisi, a vedere anche loro la metropoli dall´alto, a offrire cibo e birre, acqua e sigarette, carta igienica e posate, fumo e compagnia. Quel tetto, così grigio e sporco di escrementi di gabbiani e piccioni, diventa una festa lunghissima. Arriva il tramonto, mentre, palmo a palmo, ogni tegola viene esplorata, ognuno costruisce la propria personale avventura immaginaria lassù.

E´ veramente strano: ti senti lontano da tutto su quelle tegole, eppure così vicino a tutti gli altri che, nella piazza di sotto, montano le tende e gettano per terra materassi per dormire. Dieci persone condividono la stessa sorte, su quel tetto. Uno strano assortimento, che sfugge a qualsiasi equilibrio politico lasciato a terra, e che invece sconta solamente la solidarietà e l´amicizia, l´ ebrezza della lotta. Qualcuno continua a rimanere affacciato a parlare con i compagni rimasti di sotto, altri continuano l´esplorazione. Uno o due si sdraiano stanchi, del resto la mattinata è cominciata presto. Altri ancora cercano un punto dove guardare il tramonto sulla città eterna, dall´alto di quei tetti. E´ fantastico il senso di gioia che ti invade.

Sono seduto su un tetto a gambe incrociate, guardo giù la metropoli che lentamente si spegne prima che nelle sue arterie scorra l´ubriacatura ribelle delle notti di Sann Lorenzo, pigneto e Trastevere. Vedi le cose in un modo diverso, lassù. I colori del tramonto assumono forme che mai avevo visto, forse dovuti al luogo privilegiato da dove lo stavo guardando. E tutto, per un attimo, svanisce e si mescola. Amori spezzati da poco, rapporti politici controversi, amicizie fortissime e le emozioni di ogni giorno diventano un turbine confuso, fuori dallo spazio e dal tempo, dove tutto è possibile, dove il cielo sopra a roma è così vicino da poterlo toccare con un dito, facendo capire a tutti quanti cosa significhi assaltarlo. E´ un miscuglio di lotta e passioni, di estasi e di rabbia, di tristezze personali e di gioia collettiva. E tutto insieme, fanno un bel cocktail.

La notte passa, tra chiacchiere e discussioni, tra amori che provano a ricomporsi con scarso successo e altri ancora che invece fioriscono sempre più forti. Tra amicizie che si stringono, tra piani di fuga nel caso di uno sgombero, tra la folle richiesta continua di birra, alla ricerca del posto più comodo per dormire qualche ora. Subentrerà la noia della routine, a un certo punto della mattinata. Non bastano i libri che ci eravamo portati per leggere, né Marco che, rubando cellulari, continua a mandare musica tramite il megafono giù nella piazza. La sveglia è prestissimo, il sole lassù non ha pietà. Lo sgombero sembra rimandato di qualche ora, resta l´ansia lassù.

Di sotto, come in un altro mondo, osserviamo i movimenti stanchi di chi comincia a svegliarsi, quelli della polizia che prende la strada per il bar, così vicino all´ impalcatura che porta su da noi, facendoci ogni volta prendere uno spavento. E´ mattinata inoltrata, e qualcuno di noi scende per darsi il cambio con qualcun altro. Montiamo le coperte della notte come tende per creare un po´ di ombra, e continua la lotta. Stanno per passare le prime ventiquattr´ore, e, rimbambiti di sonno e di caldo, ci sentiamo quasi come quelle statue lassù da chissà quanto: eroi, o forse solamente dei pezzenti che per una volta hanno toccato il cielo con un dito.

I muscoli non si sono mai rilassati, la tensione è costante, perché questo è solo il primo giorno, questa lotta durerà a lungo, perché siamo in un punto di svolta. Nessuno di noi sa quando finirà cosa avremo ottenuto. Nessuno di noi sa neanche se la vinceremo questa sfida. Ma nonostante l´imprevedibilità di queste domande, su quel tetto il cielo è bellissimo, e, per una volta, è nostro, finalmente.