La Politica della propaganda non cambia verso: dal Governo dei Tecnici a quello del rottamatore totale continuità

Verso le mobilitazioni contro il Jobs Act e la costruzione dello sciopero sociale del 14 novembre

3 / 11 / 2014

LA POLITICA DELLA PROPAGANDA NON CAMBIA VERSO: dal Governo dei Tecnici a quello del rottamatore totale continuità delle politiche contro i lavoratori per aumentare la precarietà e i ricatti

Lo hanno chiamato (o meglio si è autoproclamato) il rottamatore, quello che avrebbe spazzato via i vecchi disonauri della politica italiana, ci hanno costruito attorno una campagna politica il cui slogan era #cambiaverso, con tanto di hashtag per utilizzare al meglio la condivisione abbagliante in chiave social che tanto riesce a far parlare, parlare e parlare ma solo delle parole, mai della sostanza, i principali mezzi di informazione gli hanno creduto e ci hanno fatto credere che finalmente la “casta” era stata messa all’angolo, i professoroni erano stati de istituzionalizzati e il nostro paese era pronto, sotto l’egida del nuovo leader, ad intraprendere un nuovo ed innovativo corso verso la fuoriuscita dalla crisi.

Salvo poi attendere che questo Governo iniziasse a fare le riforme per accorgerci che no, non è cambiato e non cambierà nulla e che il lavoro, quello su cui è fondata la nostra repubblica, e i lavoratori continueranno ad essere ancora sotto attacco, privati ormai dei loro diritti e della loro dignità.

Basta prendere come esempio il Jobs act. Ovvero un termine inglese (che appare così innovativo e smart) che altro non è se non un sostituto per le parole ‘riforma del Lavoro’. Come la Riforma Fornero per interderci.

E a leggerlo verrebbe da dire in linea con questa precedente riforma, quella dei tecnici rottamati.

Non solo. Basterebbe osservare cronologicamente quali misure sono state introdotte dai governi che si sono succeduti negli ultimi cinque anni per capire come lampante sia la continuità di questo governo con le precedenti legislature.

Se il Governo Monti, infatti, sotto la scure della spending review, ci ha lasciato in eredità una riforma di riordino istituzionale incompleta, dove il declassamento delle province ad enti di secondo livello, le cui giunte sono attualmente elette dai consiglieri comunali, rappresenta l’ennesima ghigliottina allo Stato Democratico e alla rappresentanza dei cittadini, il buon Renzi non fa che peggiorare le cose, oscurando le sue manovre dietro slogan costruiti ad hoc e misure politiche che poco hanno a che fare con una visione di lungo periodo, ma che assomigliano piuttosto alla carota davanti al muso dell’asino, costretto ad andare avanti con tutto il suo carico con l’obiettivo di arrivare ad un risultato che è tanto vicino quanto irraggiungibile.

Gli 80 euro e la propaganda renziana

Con questo spirito dunque è arrivato nelle buste paga di alcuni italiani il bonus di 80 euro, non un ammortizzatore sociale che garantisse reddito a chi un reddito non lo ha, ma una ‘paghetta’ mensile come quella che la mamma da al bambino se fa i compiti senza fare i capricci. Una misura che in molti hanno accolto con entusiasmo (come biasimare del resto lavoratori che nonostante il full time e gli straordinari spesso non raggiungono la soglia dei mille euro mensili, del resto non sta a loro valutare l’impatto di lungo periodo di una misura politica), mentre qualcuno, già alla vigilia delle elezioni europee, aveva definito questo intervento come mera propaganda, finalizzata ad ottenere un discreto risultato elettorale e infatti 41% fu.

Politiche di attivazione e sostegno al lavoro al tempo del governo Renzi. Il caso della Garanzia Giovani e la situazione dei Centri per l'Impiego

Lo stesso metro di valutazione può essere utilizzato per esprimere un giudizio sulle politiche di attivazione e sostegno al lavoro, misure che possono essere definite in molti modi fuorchè innovative e tendenti a raggiungere l’obiettivo di diminuire il tasso di disoccupazione. Ne è un esempio lampante la Garanzia Giovani, il programma finanziato dall’UE per incentivare l’occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni, che ha preso avvio in Italia il primo Maggio di quest’anno (lo stesso mese degli 80 euro e delle elezioni europee) senza che le Regioni avessero gli strumenti per metterli in atto.

Attualmente a fronte di migliaia di iscritti al portale web (perchè questo è quello che ha messo in campo il Governo) sono minime le attivazioni al lavoro e soprattutto i Centri per l’Impiego, ovvero gli uffici pubblici per l’attivazione al lavoro, con pochissime risorse umane a disposizione e senza ulteriori risorse economiche per essere potenziati (a dispetto di quanto invece il premier va dichiarando nei talk show) si devono far carico di colloquiare tutti i ragazzi che si iscrivono al portale ed offrigli, entro 4 mesi dall’iscrizione, un’offerta lavorativa o formativa.

E qui veniamo di nuovo travolti dall’ennesimo slogan renziano, il modello tedesco. Parla e straparla il premier di avere come fonte di ispirazione il modello dei job center tedeschi, ma evitando di sottolineare come altrove in Europa ogni 20 disoccupati ci sia un operatore che li segue.

La media in Italia è di molto superiore, nell’ordine delle centinaia di disoccupati per operatore per intenderci.
E questo resterà. Perchè da nessuna parte, neanche nel Jobs act (al cui interno dovrebbe essere prevista anche la riforma di questi servizi), si accenna a dire che andranno  potenziate le risorse umane. Anzi il piano è quello di andare verso un sistema integrato tra pubblico e privato, con un  altissimo rischio di contraffazione del raggiungimento degli obiettivi, visto che si prevede un bonus (per agenzie o cpi) in base alla capacità di collocare i disoccupati.

Che fare?

Appare evidente che, oltre lo slogan e la propaganda, politiche di rilancio dell’occupazione e di sviluppo economico come quelle messe in campo fino ad ora hanno una chiara direzione che non è certo quella di togliere a chi ha di più per dare a chi ha di meno o non ha nulla, bensì l’opposto, ovvero tenere buoni quelli che hanno qualcosa (80 euro, bonus bebè, ecc) perché, e questo Matteo lo sa bene, in fondo nel nostro paese la cultura individualista è sempre stata quella dominante.

Solo una reale inversione culturale potrà rendere evidente quanto anacronistico e totalmente fuori dalla realtà sia lo scenario offertoci alla Leopolda.

Solo guardando alle manifestazioni di piazza con gli occhi di chi vive quotidianamente le difficoltà di questa crisi e ascoltando le reali difficoltà di questo paese potremo mettere in campo una forza collettiva che abbia un obiettivo comune. Solo guardando con onestà agli errori che hanno decostruito la credibilità sia dei sindacati sia della sinistra, politica e di movimento, saremo in grado di esercitare una efficace opposizione, di interpretare la realtà e di offrire a questa realtà proposte concrete, condivise e che offrano, al numero più ampio di persone possibile, un miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

In estrema sintesi e per dirlo con uno slogan è arrivato il momento di pretendere più diritti per tutti.

*Contributo di Agnese Cossa, consulente ed esperta politiche del lavoro Sportello “Diritti per tutti” –  ADL Cobas Rimini