La pandemia e la prima vera ‘crisi-O’Connor’: intervista di Emanuele Leonardi ad Andreas Malm

30 / 6 / 2020

Pubblichiamo in esclusiva un’intervista fatta da Emanuele Leonardi ad Andreas Malm, professore associato di “human ecology” all’università di Lund, Svezia, sull’intreccio tra cambiamento climatico, giustizia climatica e pandemia di Covid-19 coronavirus. Alcune domande riguardano il suo ultimo libro, Corona, Climat, Chronic Emergency. War Communism in the XXI Century, che uscirà perVerso editore questa estate. Questa pubblicazione sarà accompagnata da un’altra, dal titolo How to Blow Up a Pipeline. Learning to Fight in a World on Fire, che uscirà nella versione inglese (sempre per Verso), ma verrà tradotto anche in italiano. Altri due libri di Andreas particolarmente rilevanti per le questioni di nostro interesse sono Fossil Capital e The Progress of This Storm.

Ci sono stati vari dibattiti sulla relazione tra il Covid-19 e la crisi climatica. Nel tuo libro sostieni che questa correlazione è fondamentalmente errata e che sarebbe come paragonare una guerra a un proiettile. Allo stesso tempo, le tue argomentazioni evidenziano che i due processi sono in qualche modo relazionati, come se potessero essere ricollegati a una stessa tendenza e andassero affrontati assieme. Ti vorrei chiedere quindi di approfondire un po’ il tuo punto di vista al riguardo.

Certamente. Fatemi dire che dal punto di vista dei movimenti climatici questa pandemia è stata politicamente un vero disastro. Dico questo perché hanno raggiunto il loro picco finora più alto l’anno scorso e per via della pandemia tutto ciò che era organizzato è saltato. I movimenti climatici sono stati congelati, paralizzati. Purtroppo, credo che ancora non siamo riusciti a rimpiazzare l’attivismo sulle strade che tanto ci caratterizza con qualunque altra forma di attivismo digitale che possa essere in grado di colmare quel vuoto. Ma il problema più grande deriva dal fatto che il Covid è arrivato come un fulmine a ciel sereno, un improvviso e casuale disastro senza alcuna causa politica o alcun altro innesco nascosto. Ha colpito la terra quasi come un asteroide, e tutto ciò che noi potevamo fare era affrontarlo e prendere tutte le precauzioni necessarie per sopravvivere.

Ma quello che vorrei puntualizzare si basa su ricerche e argomentazioni che altre persone hanno portato alla luce ed è che questa pandemia dovrebbe essere considerata parte integrante della crisi ecologica. L’errore nel paragonare il Covid-19 con il cambiamento climatico consiste nel fatto che il Covid è un evento singolo che manifesta un trend più profondo, ossia la zoonosi, l’aumento di malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’uomo. Abbiamo assistito a un aumento di malattie di questo tipo e si prevede che continueranno a diffondersi sempre più. Anche in questo emerge un parallelismo con la temperatura globale, che seguirà lo stesso trend di incremento. Questi due aspetti quindi, l’aumento delle malattie infettive e del surriscaldamento globale, sono due facce della stessa medaglia: la crisi ecologica.

Ad un certo punto nel mio libro sottolineo proprio che la diffusione di malattie e il surriscaldamento globale vanno di pari passo e, di conseguenza, hanno vari punti di contatto. Giusto per prenderne uno faccio riferimento alla causa principale della diffusione di malattie infettive derivanti dagli animali: la deforestazione. In natura, soprattutto nelle foreste tropicali, circolano dei patogeni che, nel momento in cui quella natura viene distrutta per far spazio a strade e piantagioni, iniziano a riversarsi sugli umani. Si crea così un’interfaccia che collega l’umanità, guidata dai suoi intenti economici, e quei patogeni che fino ad allora erano soliti vivere negli animali. Quindi la deforestazione è sia il motore che innesca la diffusione di questo genere di malattie infettive, sia, come tutti sappiamo, la seconda più grande causa della crisi climatica, dopo la combustione dei fossili. Una volta che i patogeni si sono traferiti sul genere umano, si innesca un sistema di circolazione rapidissimo che porta alla generazione di pandemie. Questa dinamica di rapida diffusione, propria a tutti i tipi di Coronavirus che conosciamo (il Sars, il Mers, e il Sars Covid-19), si basa quindi sullo spostamento di massa che favorisce il contagio a tappeto, causando pandemie. Spostamento di massa che è anche legato alla crisi climatica. Questi sono solo alcuni dei nessi tra le zoonosi e l’emergenza climatica.

L’enorme sfida che il movimento climatico dovrà affrontare adesso sarà quella di cercare di spiegare al mondo che questo disastro non corrisponde a una qualche inspiegabile e casuale sfortuna astronomica ma è a tutti gli effetti una conseguenza di come la nostra società si relaziona alla natura. Per questo, si tratta di un fenomeno che si ripresenterà se continueremo a deturpare la natura selvaggia come stiamo facendo. La nostra più grande battaglia sarà quella di riconnettere i punti tra le nostre vecchie preoccupazioni e questa nuova situazione estremamente complicata.

Grazie Andreas, non potrei essere più d’accordo. In tutti i webinar che abbiamo organizzato come ecologia politica in Italia abbiamo cercato di trattare in modo coerente attività in apparenza disconnesse. Non so se ci siamo riusciti, ma la tua spiegazione è sicuramente molto puntuale. E quindi, grazie per la tua risposta.

Seconda domanda. Sono stato molto felice di vedere che nel libro affermi che “questa crisi potrebbe essere definita come la prima vera ‘crisi-O’Connor’, in riferimento all’economista marxista James O’Connor, morto un tre anni fa. In Italia, assieme alla casa editrice Ombre Corte, al momento molto interessata al tema dell’ecologia politica, stiamo pensando di ripubblicare il libro “La seconda contraddizione del capitale”, e proprio per questo sono stato positivamente colpito. Quindi, la mia seconda domanda è: puoi spiegare più approfonditamente che cosa intendi con “la prima vera crisi-O’Connor” in riferimento a questa pandemia?

Certo. Sembra che il coronavirus abbia scatenato una crisi del capitale, più precisamente una crisi economica perlomeno comparabile a quella finanziaria del 2008, se non peggiore. Finora in questo campo pochi esperti hanno affermato che questa crisi economica, questa recessione o il quasi collasso della normale crescita capitalista siano peggio di qualsiasi altra cosa si sia vista nei tempi moderni. Ad esempio, qualche settimana fa la banca di Inghilterra ha affermato che questa sembra essere la peggior crisi mai attraversata in questo secolo o addirittura in vari secoli. Non sappiamo quando tutto questo finirà, nessuno sa se l’economia inizierà a riaprirsi, se ci sarà un rimbalzo e un ritorno ad una sorta di crescita normale nella seconda metà dell’anno o se si culminerà in una crisi economica ancora più profonda che si trascinerà in una depressione grave e duratura. Non lo sappiamo.

Tuttavia, la presenza di una crisi economica è chiara, e se accettiamo che la zoonosi sia un processo ecologico e un problema, ci interfacciamo con una situazione in cui abbiamo una grave crisi capitalista indotta da un fattore ecologico. Penso che non si sia mai visto in maniera così evidente prima d’ora. Non possiamo fare il paragone con la crisi finanziaria del 2008, non essendo stata direttamente causata da un evento ambientale ed essendo difficilmente riconducibile alla crisi ecologica. Allo stesso modo considerando le varie crisi finanziarie e le bancarotte a cui abbiamo assistito negli anni ’90, la crisi finanziaria asiatica del 1997 o andando ancora più a ritroso, la crisi del 1973 o quella del 1929, si può affermare che nessuna di esse rientra nel modello per cui una crisi ecologica fa scoppiare una crisi economica capitalista.

È questo che fa apparire unica la crisi attuale e, per quel che ne so, esiste un solo teorico delle crisi di stampo marxista che abbia provato a teorizzare in maniera precisa questo tipo di crisi, ed è James O’Connor, che afferma che ci sono soltanto due possibilità per il capitalismo, due percorsi verso la crisi capitalista. Il primo è dato dall’intrinseca contraddizione presente nell’accumulazione di capitale, per cui si pensa spesso alla sovrapproduzione, alla sovraccumulazione ed oggi potremmo dire a vari tipi di crisi finanziarie. D’altra parte il capitalismo ha anche una tendenza a distruggere le condizioni naturali dell’accumulazione di capitale, e ha quindi una tendenza a far esaurire la forza-lavoro e la natura stessa. Ad un certo punto questo può rivoltarsi sul capitale, come un boomerang che va a colpire il capitale stesso creando seri problemi alla produzione del profitto. Ciò che è successo durante la pandemia rientra in questo modello, così come il fatto che ci sia stata una crisi indotta dal salto di specie che ha poi minacciato l’integrità fisica e la riproduzione della forza-lavoro e dei consumatori, al punto che una delle condizioni naturali necessarie per l’accumulazione di capitale, la salute della popolazione, è stata minacciata e gli Stati hanno dovuto intervenire per tentare di proteggere questa condizione e per cercare di mantenere in salute la popolazione. Ma facendo ciò e proteggendo questa condizione hanno dovuto intervenire in maniera estremamente profonda in quel processo di normale accumulazione di capitale che aveva invece risolto gravi crisi capitaliste.

Quindi, come successo anche in Italia, c’è stata la sospensione della produzione delle merci più comuni e del consumo e chiusure durate mesi. Non abbiamo mai visto nulla di simile, e l’obiettivo di tutte queste misure è stato proprio quello di avere la certezza che la popolazione non morisse in grandi quantità. Mi sembra che questo si adatti abbastanza bene, quasi sorprendentemente bene, al secondo modello di conflitto proposto da James O’Connor.

Ed ecco l’ultima domanda: nel tuo libro proponi un quadro politico per organizzarsi e lottare contro ciò che tu qualifichi come “emergenza cronica”: lo chiami “leninismo ecologico”. Questa definizione mi ha intrigato e vorrei chiederti di descrivere le caratteristiche principali di questa strategia politica.

Certo. Questa è in qualche modo una provocazione intenzionale. L’idea è emersa durante una sorta di dialogo critico con altre correnti della tradizione socialista. L’argomento generale è che le crisi che stiamo vedendo durante questa emergenza cronica sono essenzialmente, per dirla in parole povere, il prodotto del capitalismo. Per questo, se vogliamo occuparci di queste crisi e delle loro cause dobbiamo obbligatoriamente sviluppare delle forme di azione anticapitaliste. Questo non significa necessariamente che per risolvere la crisi si debba per definizione creare una società completamente socialista al più presto, ma che, poiché le radici della crisi sono forti interessi tra le classi dominanti, non saremo mai in grado di affrontare tali cause senza prima affrontare queste classi dominanti, e questo comporta una sorta di elemento anticapitalista di in qualsiasi politica seria finalizzata a mitigare queste crisi.

Quindi, che cosa può ispirare in questa situazione la tradizione socialista? Abbiamo, ovviamente, la social-democrazia, qui intesa come il classico progetto riformista basato su riforme graduali che partono dalle classi dominanti e che portano lentamente ad una società più equa. Questo tipo di processo ha funzionato abbastanza bene in Svezia negli anni ’50, ’60 e ’70, ma era basato sul fatto di avere molto tempo a disposizione poiché il cambiamento era concepito come graduale e lento. La social-democrazia, quindi, non ha alcuna concezione di catastrofe ed emergenza. La genesi della social-democrazia riformista in Germania era totalmente concentrata sull’affermare che “non siamo più di fronte ad una crisi catastrofica nel capitalismo, ma ci stiamo orientando verso un periodo di crescita lenta, all’interno del quale possiamo gradualmente creare la nostra forza”. Questo non è il caso in una situazione di emergenza cronica, siamo di fronte ad una serie di catastrofi e ritengo che questo comporti il fatto che in questo periodo la social-democrazia tradizionale non stia funzionando in quanto progetto politico.

Questo non significa che il partito laburista inglese, o il DSA (Socialisti Democratici d’America) negli Stati Uniti o qualsiasi altro partito, siano inutili. Al contrario potrebbero essere le formazioni politiche più promettenti tra quelle che abbiamo. Ma se dovessero prendere il potere, come stavano per fare recentemente, ad esempio nel caso di Jeremy Corbyn o di Bernie Sanders, dovranno andare oltre il classico riformismo lento e graduale, puntando invece su un confronto diretto con le radici del problema. Quindi, la social-democrazia sembra non essere le strada più promettente. Un’alternativa è l’anarchia, che come corrente politica in generale è diventata popolare negli ultimi decenni all’interno dei movimenti sociali, incluso il movimento climatico, per ragioni comprensibili, come reazione all’esperienza stalinista.

Ma non vedo come potremmo anche solo pensare alle misure necessarie per affrontare la crisi climatica senza la presenza dello Stato. Penso che non sia neanche immaginabile la riduzione delle emissioni dell’8% all’anno, ad esempio, senza la presenza di quell’intervento statale che abbiamo visto attuarsi negli ultimi 6 mesi, e che è stato tutto basato sul trattare i sintomi della crisi ecologica, e non le radici della stessa. Pertanto, alcune delle richieste più concrete che sono emerse nel libro sono: la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere, ponendo come richiesta principale la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera; il tentativo di abolire totalmente il commercio della fauna selvatica; affrontare il problema della nostra catena di approvvigionamento, dei flussi commerciali e di ciò che viene importato in Europa e che è causa della deforestazione. Non vedo nessun altro che possa fare tutto ciò, se non lo Stato. Chiaramente lo Stato, nella forma in cui lo abbiamo visto sino ad ora in Europa e altrove, cioè lo Stato capitalista, non intraprenderà queste azioni di sua sponte, ma ci dovrà essere una spinta dal basso che lo obblighi a farlo. L’idea del leninismo ecologico, quindi, consiste nell’accettare la necessità di azioni emergenziali, che devono obbligatoriamente essere attuate dallo Stato.

Ma il nocciolo di questa teoria consiste precisamente nel tentativo di capovolgere le crisi che stiamo affrontando sempre più frequentemente. Queste sono crisi dei sintomi: dagli incendi in Australia alla crisi delle locuste in Africa orientale, ora aggravata dalle alluvioni, al COVID-19. Questi sono tutti sintomi manifesti della crisi ecologica. Quando scoppiò la più grande catastrofe dell’inizio del XX secolo, la prima guerra mondiale, che ruppe il lungo periodo di stabilità del XIX secolo, ciò che fece Lenin e non solo, in primis ovviamente Rosa Luxemburg, fu di affermare la necessità di ribaltare la crisi, trasformandola in una crisi delle cause della guerra, le quali andavano individuate, ovviamente, nello stadio imperialista del capitalismo. Fu quindi questa l’essenziale mossa strategica leninista che, durante la prima guerra mondiale, fu finalizzata alla trasformazione di una crisi dei sintomi in una crisi in cui il bersaglio sono le radici nascoste del problema.

Ed è esattamente questa la strategia che dobbiamo provare a perseguire all’interno del movimento climatico nei prossimi anni, cosicché quando assisteremo ad un numero ancora maggiore di disastri climatici e ad altri tipi di conseguenze della crisi ecologica, useremo tutti questi avvenimenti come opportunità politiche per prendere di mira le radici nascoste. In caso contrario ci troveremo di fronte a catastrofi in costante aumento, che potrebbero continuare per sempre o addirittura ucciderci tutti. È questo, quindi, il nocciolo della mia idea di leninismo ecologico. Tuttavia, è chiaro che la linea metaforica di questa teoria è che non sto proponendo una dittatura del proletariato o del partito o la distruzione dell’attuale apparato statale per sostituirlo con qualcosa di completamente differente, ma sto affermando che dovremmo essere aperti, perché quando abbiamo crisi così intense come quelle di quest’anno e come quelle che possiamo aspettarci di avere nel futuro, dato che la crisi ecologica è talmente profonda che ne vedremo ancora di più di questi avvenimenti, ti puoi anche aspettare una acuta volatilità politica. Non credo che a dicembre qualcuno avrebbe potuto aspettarsi che avremmo assistito ad un intervento politico dello Stato nel funzionamento del mercato così profondo come lo abbiamo visto in questi mesi. E questa è l’altra caratteristica fondamentale della politica leninista così come viene concepita nella tradizione da cui derivo. Cioè, si deve essere pronti a rotture improvvise e a cambiamenti nel rapporto di forze, e si deve provare ad intervenire proprio in questi momenti, mentre non bisogna aver paura di usare lo Stato come strumento per attaccare le radici di una crisi, ma è necessario invece essere pronti a mettere tutta la pressione su di esso per agire in maniera profonda.

È tutto chiarissimo. Sono sicuro che ci saranno molti dibattiti su questo nei nostri ciruiti, e penso che questo sia esattamente ciò che significa scrivere un libro. Grazie Andreas per il tuo tempo…

Posso solo aggiungere un’ultima cosa? Per noi che siamo parte del movimento climatico l’ultimo anno è stato incredibile, e una delle cose che più ci ha ispirato è stato vedere una sorta di esplosione del movimento climatico in Italia. Perlomeno, questa è l’impressione che ho avuto dalla Svezia. Ci sono state manifestazioni per il clima molto numerose e il Climate Camp a Venezia: sembra una improvvisa espansione del movimento. In Germania, ad esempio, il movimento climatico esiste da più tempo, ma sembra che in Italia si siano mobilitate molte persone e molto velocemente. Questo mi ha dato molta speranza. Spero anche che quando le circostanze lo permetteranno, potremo riprendere quel meraviglioso momentum e tornare sulla rotta su cui ci trovavamo prima che tutto questo iniziasse.