La Giustizia Asimmetrica di Maroni & C.

19 / 12 / 2010

Capita - raramente - che dal pianeta della giustizia penale applicata al conflitto sociale si alzi qualche voce dissonante. Qualche tribunale periferico o qualche giudice monocratico, al più.

Qualche tempo fa ci fu invece una voce proveniente dai piani alti: nientedimeno che dal procuratore generale presso la corte di Cassazione. Il quale, nell'ultimo e definitivo grado di giudizio relativo ai fatti dell'11 marzo 2006 a Milano (corteo non autorizzato in contestazione di un raduno di Fiamma Tricolore) chiese l'annullamento della condanna per quattro dei sedici imputati di resistenza, violenza, devastazione, danneggiamento ecc. Lo fece nel rispetto del principio chiave del nostro ordinamento - secondo cui la responsabilità penale è personale - chiosando: "La polizia ha una cultura deviata delle indagini perché pensa che identificare una persona che partecipa a una manifestazione consenta di attribuirle tutti i reati commessi nella stessa manifestazione". La prima sezione penale rigettò la richiesta e confermò tutte le condanne a quattro anni di reclusione. La difesa politica della professionalità dei tutori dell'ordine fu, come sempre, bipartisan.

Nello stesso periodo fu resa pubblica dal Tribunale di Genova la motivazione della sentenza che portò alla condanna quindici poliziotti e ne assolse trenta per le sevizie nella caserma di Bolzaneto. Si dolse, il relatore, perché i metodi usati "a pieno titolo avrebbero potuto ricomprendersi nella nozione di tortura adottata dalle convenzioni internazionali", ma, dato che nel nostro codice questo reato non esiste, fu contestato solo l'abuso di ufficio. E si dolse ancora della "scarsa collaborazione" delle forze dell'ordine, forse in ragione di un "malinteso spirito di corpo" che fece sì che non fosse possibile individuare con certezza gli autori dei singoli episodi di violenza. Per questo il Tribunale, in nome della responsabilità individuale e della certezza della prova, largamente assolse. Solo qualche opinionista benpensante si indignò perché dalle forze di polizia dovrebbe essere lecito aspettarsi una leale collaborazione nell'accertamento dei fatti e non spirito di corpo, non complicità, non omertà (la lealtà dovendo iniziare dall'impugnare il manganello dalla parte del manico). Ma siamo un paese garantista.

Il ministro dell'Interno Maroni infatti, assieme ai suoi amici di Roma Ladrona, si batte con fierezza per la verifica della fondatezza delle accuse e dell'attendibilità delle fonti di prova quando gli inquisiti si chiamano Dell'Utri, Cosentino, Verdini, Bertolaso. Per gli arrestati del 14 scorso, invece, circa l'esito del giudizio direttissimo parla di decisione da non condividere: "è stato un errore". Anche Alemanno grida con forza allo scandalo (e bara sui costi dei danneggiamenti). Perché quei ragazzi e ragazze dovevano essere carcerati e possibilmente incarnare il risultato di una sentenza esemplare. Chissenefrega se hanno commesso o meno reati. Una bella detenzione prolungata necessita a giustificare "un tempestivo adeguamento dell'ordine pubblico per prevenire altre occasioni di guerriglia urbana". Il sottosegretario Mantovano propone così il Daspo per le manifestazioni di piazza e Maroni già pensa di inserirlo nel decreto legge sulla sicurezza che ha iniziato il suo iter al Senato, confermando la sua passione per gli strumenti limitativi della libertà personale sulla base di una semplice denuncia. Alfano dispone solerte un accertamento urgente sull'operato dei giudici della direttissima. Nella nota ministeriale scappa un lapsus freudiano: "a seguito della scarcerazione dei responsabili, appena poche ore prima, di gravi atti di guerriglia urbana…". Responsabili? Responsabili di che cosa? Quindi: fermato (rastrellato, preso a caso, malmenato, inciampato mentre tentava di sottrarsi a un blindato assassino ecc.) uguale responsabile. E' anticipato il giudizio, con buona pace di quel procuratore della Cassazione, probabilmente una toga rossa. E' il pensiero del ministro di Giustizia. Ma il capogruppo Pdl Gasparri supera tutti proponendo arresti preventivi e invocando un nuovo 7 aprile (era il '79, scemo, non il '78).

Niente di particolarmente nuovo e originale, in realtà. Prevenzione fatta di misure amministrative che prescindono dalla commissione di un reato. Rafforzamento della blindatura delle zone rosse. Un altro giro alla vite che governa gli impedimenti al diritto di manifestare. Verosimile maggiore durezza nella gestione degli uomini in assetto antisommossa. Possiamo interpretare questi come segni di preoccupazione e debolezza. Proprio mentre la Corte di Appello di Genova rende pubbliche le motivazioni che hanno portato alla condanna a un anno e quattro mesi per l'ex capo della Polizia De Gennaro: induzione alla falsa testimonianza in coda all'irruzione alla Diaz. Possiamo registrare affanno e disorientamento davanti a un movimento nuovo, composito, energico e spiazzante. Come la bufala dei black bloc e degli infiltrati tra i manifestanti "buoni" (ma guardate bene la sequenza del finanziere con la pistola, a proposito di infiltrati) tutto va indirizzato a paralizzare questa potente ondata di dissenso. Quanto all'applicazione della giustizia penale contro i movimenti la conosciamo da tempo e le condizioni di detenzione nel centro di identificazione di Tor Cervara sono solo un triste simulacro di Bolzaneto e San Giuliano. Però. Il Diritto di Polizia è sempre in vigore. C'è fibrillazione tra gli uomini che governano l'ordine pubblico nel ricordare che le manifestazioni non segnalate sono un reato. Chi sarà fuori dal Senato il 22 contro la riforma Gelmini è avvisato.