FCA: la nuova Fiat avrà sede in Olanda, domicilio fiscale in Inghilterra, quotazione in America e cassa integrazione in Italia

La fiscalità europea: terreno di lotta di classe costituente

E se vi fosse l'unione fiscale?

29 / 1 / 2014

Cosa lega la partita Electrolux ed il sommovimento organizzativo della corporation FIAT in corso? Tanto e poco, dipende da che lettura assumiamo. E quale è la loro relazione con l'Unione Europea?

In entrambi i casi vi è un cambiamento importante degli assetti produttivi e di governance nei quali la direzione aziendale interpreta le mutate condizioni dei mercati di sbocco dei propri prodotti e quelli di approvvigionamento del lavoro.

Ma questo è bau (business as usal). L'obbiettivo di questo post è di invitare a sviluppare un'ulteriore e differente prospettiva di critica al comando di impresa sul lavoro.

FIAT cosa fa in buona sostanza? Livella i piani di produzione sull'asse atlantico in ragione della relazione tra fiscalità ed incentivi, tra uso sapiente dei dispositivi di assistenza sociale ed esazioni o dirette agevolazioni. FCA sceglie il proprio domicilio fiscale in UK per le note bassissime aliquote sull'EBIT (Earning Before Interest & Tax) – questo è il motivo per cui i tributaristi sono usi suggerire anche alle PMI italiane di creare scatole LTD con sede presso qualche avvocato in UK-, l'Olanda come sede sociale perchè accetta dei sistemi organizzativi di governance estremamente flessibili (le azioni non “pesano” nello stesso modo ed i Consigli di Gestione non devono riflettere i pesi reali della proprietà), Wall Street come piazza di quotazione per la confluenza interessante di capitale di rischio – il debito consolidato è mostruoso ed hanno bisogno di equity visto che, nonostante il debt sia pazzesco, continuano a distribuire dividendi.

Cosa voglio dire? Che in UE esiste un vero e proprio dumpig fiscale intracomunitario che gioca abilmente con i differenti profili fiscali violando qualunque logica di mercato omogeneo. É un po' come dire che nel Medioevo le merci in ingresso in una città conviene farle entrare via carro da una porta piuttosto che da un'altra in ragione dei balzelli variabili mentre il pirla Vassallo dorme tra le lussurie parassitarie di corte.

Badate: i problemi di produzione e di mercato vengono dopo, contano molto di meno e comunque gli impianti industriali dei mercati BRICS non subiscono cambi radicali.

Veniamo ad Electrolux. Che il ciclo del “bianco” sia in crisi da quindici anni è cosa nota; come mai esplode ora questo ricatto? Perchè la posta in gioco è drenare dispositivi di favore per gli impianti esistenti con leggi ad hoc, regionali, statali, comunali. Se potessimo avere il costo industriale del prodotto o come esso impatta sul prezzo di prodotto potremmo dimostrare che non è vero che la sua incidenza rende più competitiva la ricollocazione degli impianti al di fuori dei confini italiani.

Voglio dire che il gain (“la ciccia”) queste società non la vogliono fare con miglioramenti di prodotto o di processo, bensì drenando denaro dai sistemi fiscali, intesi nella loro accezione più ampia.

Tax elusion is not a crime, dicono i direttori finanziari ed amministrativi delle corporations; aggiungiamoci anche che tax premium is orgasmic e allora capiamo la posta in gioco ed indaghiamo che rapporto c'è tra rendita e battaglia fiscale.

I costi di questi movimenti di capitale ricadono immediatamente sul lavoro vivo sociale; senza girarci intorno prendiamo i dati del Sole: nel 2013 i trasferimenti dello Stato all'INPS toccano i 113mld€ (+6,6%), anche a causa di un differenziale negativo di 90mld€ malcontati tra prestazioni erogate (previdenza ed assistenza) e contributi versati. Le previsioni sono di un aumento del trasferimento fino a 120mld€ nel 2014 e di 122mld€ nel 2016!

Vogliamo dirla ancora più esplicitamente? Il gioco è fottere la fiscalità nazionale, avvalersi dell'incapacità di armonizzare i sistemi fiscali comunitari (europei!) e scaricare sull'insieme della cittadinanza attiva i cocci del gioco, maledettamente legale.

Qualche ora fa Toni dice alla nostra testata (riporto per comodità):

Altrimenti ci troviamo in una situazione classica di chi non è “né carne, né pesce”, di chi attacca la fiscalità, da un lato, e fa finta di essere liberale e di chi, dall’altro, non attacca la fiscalità e fa finta di essere comunista. Il problema è che la fiscalità va attaccata secondo i criteri da sempre validi all’interno del nostro discorso: una fiscalità che non sia semplicemente legata al profitto capitalistico e all’obiettivo di aiutare lo Stato a mantenerlo, ma una fiscalità che arrivi a distruggere il profitto, fino al punto in cui possa essere essa stessa eliminata. Il discorso sulla fiscalità non può quindi che essere ripreso in questi termini classici, in una prospettiva di radicale trasformazione di questa società. E sappiamo oggi come la fiscalità e la moneta siano il cemento, anzi la macchina che crea il cemento del contratto sociale di oggi. Parlare della fiscalità oggi è come parlare una volta del salario: a livello del capitale estrattivo la fiscalità rappresenta quello che una volta, a livello di capitale industriale, rappresentava il salario. Questo tipo di fiscalità estrattiva è anche l’esempio di una sorta di “cattivo comunismo” del capitale: attacca tutti, rendendoli più miseri di quello che sono, ma in maniera eguale. C’è un concetto di eguaglianza in questo tipo di fiscalità, davvero “equi-Italia”, che è effettivamente un’eguaglianza rovesciata nella miseria. Bisogna scoprire e cogliere quali siano gli elementi d’intervento esattamente sul processo opposto. In questo non si fa altro che rinnovare da questo punto di vista la vecchia tematica socialista, un tempo legata solo a certi settori ed oggi riproposta dai sindacati con una classica soluzione balorda, che è quella di ridurre agli industriali la tassazione sul lavoro. Perché volete togliere quest’imposizione? “Perché vogliamo rilanciare l’industria” rispondono. Ma qui invece bisogna rilanciare il sociale, la società intera perché è la società intera che produce.”

Sono parole sacrosante, quasi un'indicazione di programma se le facciamo diventare immediatamente europee: è possibile che i movimenti rivendichino l'abolizione delle differenze di tassazione in UE e che chiedano un solo ed integrato sistema di welfare basato sul reddito di cittadinanza europeo? E' possibile che questo reddito sia livellato al salario operaio di base così da restituire potere negoziale alle comunità dei lavoratori e delle lavoratrici? E' possibile che questo denaro venga ottenuto dalla riappropriazione dell'elusione fiscale e smettendo di incentivare questi comportamenti da banditi? E ancora, è possibile spingere sindacati e lavoratori a non accettare di contrastare la battaglia fiscale dei padroni tagliandosi il salario e ricorrendo alla c.d. fiscalità generale nazionale per pagare un di più ai padroni per mantenere gli impianti qua e non spostarli là, ove il là e qua sono interni al territorio politico europeo? É assurdo sognare che si apra una stagione di lotte operaie che agiscano immediatamente sul terreno transnazionale? Proviamoci, le chance di successo sono enormemente superiori; non parliamo inglese? Impariamolo o inventiamoci una lingua che permetta ai proletari europei di organizzarsi e sabotare l'attacco transnazionale del capitalista collettivo.

Chiudo dicendo che siamo europeisti in questa battaglia. Per scelta e per necessità. Mai cosi distanti come ora da chi vuole tornare ai salvifici stati nazione ed alla sovranità monetaria; entrambi, peraltro, sarebbero leve per fottere l'unica strategia che da sempre funziona: unire le lotte, rilanciare sul un piano generale il conflitto di classe.

Europei ed europeisti di tutta l'UE: uniamoci.

P.S. La logistica in Italia è un segmento produttivo con un ruolo strategico che ha avuto un rilancio dalla seconda metà degli anni '90 e finalmente ora è impattata da una stagione straordinaria di lotta di classe e di sperimentazione di nuovo sindacalismo sociale. I senatori dell'Emilia Romagna invece di riconoscere il valore sociale e generale dei conflitti in corso, si appellano al Governo affinchè la polizia intervenga, i picchetti vengano rimossi, riprenda la catena dello sfruttamento più brutale.

I “democratici” Rita Ghedini, Maria Teresa Bertuzzi, Sergio Lo Giudice, Leana Pignedoli, Giancarlo Sangalli, Francesca Puglisi e Daniele Valentini a cui si aggiungono Anna Maria Bernini (Fi), Luigi Marino (per l'Italia), dell'ex 5 stelle Adele Gambaro sono i firmatari di una documentatissima -l'ha scritta Granarolo?- interrogazione parlamentare depositata in queste ore.

Bene, sappiamo chi sono e fino a che punto è arrivata la loro collateralità allo sfruttamento.