Irlanda: morta perchè le viene negato di abortire

Una donna a rischio di vita chiede di interrompere la gravidanza ma i medici lo impediscono: "Siamo in un paese cattolico"

Utente: saraeva
16 / 11 / 2012

Come un cattivo presagio, qualche giorno fa su questo stesso sito è stato pubblicato un articolo sulla 194 in cui si diceva che quando la legge non consente l’aborto perciò non tutela la salute delle donne queste rischiano la vita: il 28 ottobre una 31enne di origine indiana che viveva a Galway, sulla costa occidentale dell’Irlanda, è morta perché non le è stato permesso di abortire. Dopo due giorni di dolori atroci, a causa di un aborto spontaneo in corso, il suo corpo è stato invaso da una setticemia che l’ha uccisa: farla abortire l’avrebbe salvata ma i ginecologi hanno dichiarato di non poterlo fare finché fosse rilevabile il battito cardiaco del feto, di 17 settimane, perché “questo è un paese cattolico”.

In Irlanda, paese dalla radicatissima tradizione cattolica, l’interruzione di gravidanza è consentita solo nel caso in cui la vita della donna sia a rischio, evidentemente però esistono margini discrezionali (forse imputabili all’obiezione di coscienza di “alcuni” ginecologi?) visto che Savita Halappanavar è morta ma secondo la legge avrebbe potuto e dovuto essere salvata (lei stessa aveva chiesto di abortire vista la situazione di rischio e sofferenza che stava vivendo). Ma l’asportazione del feto è arrivata troppo tardi e, dopo una settimana in ospedale, la donna è stata uccisa dalla grave infezione che aveva intaccato ormai tutto l'organismo.

Una morte voluta e colpevole, quella di Savita: per salvare una “vita” incapace di crescere al di fuori del grembo materno (quella vita di cui dio - che in questo caso si traduce sfiga - sarebbe l’unico autorizzato a decidere, anche quando si trova dentro ai corpi femminili) ne è stata distrutta un’altra, quella di una donna adulta e consapevole, che aveva espresso con chiarezza la sua volontà di interrompere la gravidanza per salvarsi.

Che in Irlanda (dove negli ultimi giorni si sono svolte diverse e partecipate mobilitazioni per contestare il comportamento dei medici nei confronti di Savita) ci sia un vuoto legislativo appare evidente, se la normativa risulta essere tanto “elastica” da poter essere interpretata dai medici di turno. Forse meno evidente, ma altrettanto problematico, è il fatto che le irlandesi che scelgono di abortire sono costrette a recarsi all’estero per essere ricoverate (e forse non tutte ne hanno le possibilità economiche), oppure a ricorrere alle rischiose pratiche clandestine. Un caso particolare, e per una volta ecco una buona notizia, è quello di Women on waves: un ambulatorio medico “marittimo” tutto dedicato alle donne e alla salute riproduttiva, che diverse volte negli ultimi dieci anni ha avvicinato le coste irlandesi. Da diversi anni un team di ginecologhe, infermiere e volontarie, guidato dalla dottoressa olandese Rebecca Gompert, ha allestito un centro medico sopra una nave, che approda nei porti dei paesi dove l’aborto non è legale, accoglie le donne e le porta in acque extraterritoriali, dove è possibile effettuare l’interruzione di gravidanza in modo sicuro (oltre che avere assistenza per tutto quanto riguarda la salute riproduttiva).

Chissà quante storie come quella di Savita succedono ogni giorno sul pianeta, e quante volte il diritto delle donne alla tutela della propria salute e all'autodeterminazione viene negato o messo in discussione. L'Italia non fa eccezione, perchè anche qui il movimento pro-life antiabortista ha messo solide radici all'interno degli ospedali e delle istituzioni pubbliche, in un gioco all'erosione dei diritti previsti dalla legge 194 che si fa ogni giorno più pericoloso: per le donne, quindi per tutti.